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Andy Warhol: fra pubblicità, arte e relazioni pubbliche

#Ferpi2Be

05/06/2023

Pietro Bonifacio

Se, come sosteneva Andy Warhol, un supermercato non è diverso da un museo, allora le opere d’arte non sono diverse dai prodotti. Ed effettivamente per l’artista americano le cose stavano proprio così. L’arte, infatti, era una opportunità di business a patto che, ovviamente, venisse comunicata nel modo giusto. La riflessione di Pietro Bonifacio per la rubrica #Ferpi2Be.

Le vivide e sgargianti tonalità della Pop Art hanno poco a che fare con Pittsburgh, eppure è proprio nella “Steel City” che è cresciuto Andy Warhol. Cresciuto, dato che in giovane età ai fumi dell’industria metallurgica ha preferito le Luci di Times Square. Dopo gli studi universitari, infatti, Warhol lascia la Pennsylvania per la grande mela. Qui, nel giro di pochi anni diventa un affermato grafico pubblicitario. Lavora per Vogue, Glamour e Harper’s Bazar, ma Andy vuole qualcosa di più delle copertine: vuole le tele. Il suo obbiettivo è quello diventare un’artista, o meglio, un artista-imprenditore. L’arte per Warhol non è infatti soltanto uno strumento di critica sociale ma anche una opportunità di business: è un prodotto da cui si possono trarre profitti a patto che, ovviamente, venga presentato nel modo giusto.

Warhol, d’altronde, in materia di comunicazione aveva esperienza. Per anni aveva lavorato con successo nel mondo della pubblicità, un mondo che perciò influenza profondamente la sua opera. In essa, infatti, viene applicato il linguaggio pubblicitario con un preciso obiettivo. Quale? Quello di rendere i suoi lavori iconici. Ed è in questi termini che si spiega la riproduzione seriale delle sue opere.

Esattamente come accade nel mondo dei beni di largo consumo, infatti, Warhol bombarda il fruitore con una immagine affinché quest’ultimo, dopo esserne stato colpito in maniera subliminale, inizi ad associare l’opera ad un determinato artista. Inoltre, ad essere “pubblicitarie” sono le scelte di colori sgargianti ed il continuo ricorso ad immagini ammiccanti ed evocative poste sempre in primissimo piano. Come in primo piano era sempre Andy Warhol. Che fosse sulla copertina di un noto magazine oppure ospite al Saturday Night Live, l’artista più pop di sempre era sempre sulla bocca di tutti. Narcisismo? No, semplicemente relazioni pubbliche. Warhol d’altronde aveva capito che un’opera, per dirsi iconica, deve necessariamente essere nota a quel grande pubblico che può essere raggiunto soltanto tramite i media. Inoltre Andrew Warhola Jr. aveva un vero e proprio “personal brand” da coltivare, per cui l’esposizione mediatica era per lui un vero alleato.

Ed il personal brand è uno degli aspetti più interessanti di una figura che, come abbiamo visto, non lasciava nulla al caso, tanto meno il proprio look. Capelli color argento, viso cereo fortemente in contrasto con abiti neri come la pece e un bassotto sempre in braccio: Andy Warhol si presentava così. Oggi lo definiremmo un “personaggio”, una di quelle persone che viste una volta le si ricorda per sempre, e non ci sbaglieremmo affatto.

L’obiettivo dell’artista, infatti, era quello di creare un “personaggio” che chiunque avrebbe facilmente riconosciuto e che, di conseguenza, gli avrebbe permesso di promuovere la sua arte. “Un testimonial della sua stessa arte”: è così che potremmo definire Warhol. E, non a caso, la sua immagine ha assunto tanta rilevanza e valenza da fargli ottenere il ruolo di Brand Ambassador per marchi come Commodore e Vogue America. Brand Ambassador, artista, imprenditore, manager dei Velvet Underground… ma che cos’è stato realmente Warhol? Difficile definirlo chiaramente, ma è stato sicuramente geniale. Infatti in un periodo di profonda crisi dell’arte, in cui l’immagine sembrava soltanto essere alla mercé del mondo pubblicitario, Warhol è riuscito in qualcosa di incredibile, ossia nel rivalorizzare l’arte attraverso il ricorso al linguaggio pubblicitario. Ha applicato il linguaggio pubblicitario all’arte e così facendo ha trasformato quest’ultimo in vera e propria arte. Indubbiamente non è da tutti, a meno di non essere un geniale comunicatore.

 

 

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