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Associazioni e Ordini Professionali: facciamo il punto

06/12/2005

Un corsivo di Toni Muzi Falconi

Siamo in una campagna elettorale che durerà per mesi e mesi.Nessuno lascerà nulla di intentato, e il tema della differenza fra associazioni professionali e ordini professionali verrà cavalcato da tutti alla ricerca spasmodica di ogni singolo voto.
Essendo il tema di particolare interesse per noi, proviamo a fare il punto e a sollevare anche qualche confronto interno così da offrire elementi di riflessione.
1.Dal punto di vista dei fatti, è utile ricordare che quando nacque la Ferpi, nel 1970, ottenere l'istituzione di un ordine professionale dei relatori pubblici sarebbe stato facile.Fu quindi un scelta consapevole quella di rifiutare questa strada, proposta sia da destra che da sinistra.Ma come? -dicevamo allora- la nostra è una nuova professione e non può essere corporativa, ciascuno ha il diritto di fare relazioni pubbliche, siamo europeisti e favorevoli alla liberalizzazione delle professioni.Anche negli anni successivi, quando ad esempio nei primi anni ottanta in Parlamento si discusse della regolazione della lobby e la commissione lavoro della Camera votò a maggioranza la istituzione di un elenco "e non di un albo" del lobbisti, la Ferpi ribadì la sua posizione a favore del riconoscimento giuridico dell'associazione professionale e contraria alla istituzione dell'ordine.In associazione, qualche mugugno su questo c'è sempre stato e, verosimilmente, se si fosse fatto un referendum con la sola domanda saresti favorevole a un ordine?La maggioranza avrebbe risposto di sì. Forse anche oggi sarebbe così.La questione è tornata di attualità -dopo un lungo oblio interrotto soltanto da penosi tentativi del sempre debolissimo Cnel di sensibilizzare il Parlamento in favore del riconoscimento giuridico delle professioni, fra le quali anche le relazioni pubbliche- quando nel 2000 gli interessi congiunti dei nostri cugini della comunicazione pubblica e dei giornalisti sono riusciti a fare approvare nottetempo in Parlamento la legge 150 che al suo articolo 9 prevede che soltanto giornalisti iscritti all'ordine possano lavorare negli uffici stampa dell'amministrazione pubblica.Inutile ripercorrere le tante risse, sta di fatto che questa legge riserva agli iscritti all'ordine dei giornalisti (istituito nel 1963 e non, come molti ritengono, nel periodo fascista) una parte considerevole del lavoro dei relatori pubblici nel settore in cui massimo è il numero di addetti: quello pubblico.Questo vulnus rinfocola in molti il desiderio di ordine professionale e la Ferpi, per evitare erosioni, sceglie la polemica esplicita ed aperta contro la legge, peggiorando in tal modo le sue relazioni con l'associazione comunicazione pubblica.Nel mese di Febbraio di quest'anno, il Governo del Regno Unito è stato il primo paese della UE a riconoscere, con lo strumento del Royal Charter, l'associazione inglese.La Ferpi raggiunge un accordo con il CIPR e i soci Ferpi che si iscrivono anche al CIPR acquisiscono automaticamente il riconoscimento giuridico.Infine, in queste ultime settimane, essendo ormai politically correct schierarsi contro gli ordini professionali, anche i comunicatori pubblici si sono schierati per il riconoscimento giuridico e contro gli ordini.
2.Ma perché tutta questa materia è tornata di attualità? Quali sono le differenze? Quali i vantaggi?Si parte dal presupposto che una qualsiasi associazione di professionisti abbia la finalità di assicurare ai terzi (clienti, datori di lavoro, interlocutori) che l'esercizio professionale tenga conto dell'interesse pubblico e operi affinché sul mercato i suoi iscritti si comportino con deontologia, competenza ed economicità.In tutti i Paesi esistono associazioni professionali dei relatori pubblici.In alcuni (Panama, Nigeria, Brasile, Perù...) le associazioni sono regolamentate da leggi dello stato (ordini) e quindi soltanto gli associati possono esercitare la professione.In altri Paesi, come la Svizzera  e ora l'Inghilterra, esiste un accordo con il governo per cui all'associazione è delegata la selezione e la formazione permanente dei relatori pubblici che potranno fregiarsi del titolo di esperto, ma non esclude che altri possano esercitare la professione.Ci sono poi i Paesi, come l'Italia, in cui chiunque può esercitare la professione e l'appartenenza all'associazione professionale non comporta alcun vantaggio formale ed erga omnes.In sostanza nei Paesi in cui esiste un ordine (come in Italia per i giornalisti) soltanto gli iscritti possono esercitare la professione (ed è per questo che vengono definiti corporativi, poiché alla fine la loro funzione è soprattutto nel difendere quel privilegio di esclusività), mentre nei Paesi in cui esiste un riconoscimento giuridico dell'associazione, chiunque può esercitare la professione ma soltanto gli associati possono fregiarsi del riconoscimento giuridico.Solo poche righe di chiarimento, ma sarebbe utile che fossero chiare a tutti.Forse altri vorranno commentare e aggiungere elementi di valutazione.
(tmf)
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