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C'erano una volta i giornali americani

26/04/2004
Un'altra tegola si abbatte sul giornalismo statunitense e, dopo il New York Times, questa è la volta del secondo giornale americano, Usa Today.Uno stimato corrispondente straniero, Jack Kelley, parla in un proprio articolo di una donna cubana affogata durante una tempesta mentre cercava di lasciare Cuba per gli States. Peccato che quel giorno non ci fosse nessuna tempesta e la donna fosse regolarmente residente in Usa da più di un anno. Qualche articolo dopo si parla di una decapitazione mai verificatasi a Gerusalemme, in occasione di un attentato kamikaze. Le autorità israeliane smentiscono e lo stimato Kelley si dimette. Lo scorso anno ricordiamo che il direttore del New York Times Howell Raines e il suo vice Gerald Boyd si dimettevano in seguito al comportamento del giornalista Jayson Blair e del vincitore di un premio Pulitzer, Rick Bragg, scoperti a violare le regole deontologiche; colpa imperdonabile, quantomeno negli Usa.Blair falsificava le sue storie, qualche volta creandole, altre volte facendo credere di scriverle direttamente sul posto mentre in realtà restava seduto comodamente sulla sua poltrona, a Brooklyn."Un enorme occhio nero", dichiarava l'editore della prestigiosa testata Arthur Ochs Sulzberger commentando l'accaduto che per il giornale di Times Square fu veramente vergognoso.Ora che le due testate leader a stelle e strisce (la terza è il Wall Street Journal) hanno conosciuto lo scandalo, la "newspaper industry" americana va in crisi e gli specialisti si interrogano sui perchè di queste vicende, che non si limitano ai due giornali citati. Recentemente, per esempio, un reporter del New Republic, Stephen Glass, tentava il suicidio dopo esser stato scoperto a mentire. Ora in un romanzo Glass spiega le proprie ragioni.L'Economist dedica una riflessione all'industria dell'informazione americana, ipotizzando le ragioni di questa graduale perdita di affidabilità. Howell Raines parla di "smug complacency", alludendo a quella cultura di presuntosa autocompiacenza che si è impadronita di molti e che bisognerebbe superare. La smug complacency è la conseguenza inevitabile di un'aggressiva competizione, che porta a sua volta alla ricerca del sensazionalismo.Inoltre c'è la Rete e la voglia (legittima quanto impoossibile da esaudirsi) dei giornali cartacei di gareggiare con la sua tempestività.Si annunciano momenti di crisi per i quotidiani d'America, ma la scelta è quella di affrontarli all'insegna della totale trasparenza.
Emanuela Di Pasqua - Totem
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