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Coesione sociale: un valore su cui puntare per uscire dalla crisi

15/01/2021

Rossella Sobrero

Nuovo logo e nuova campagna. Per i suoi 50 anni Fondazione Pubblicità Progresso si rinnova e presenta #primopasso, la nuova campagna di Pubblicità Progresso, dedicata alla coesione sociale. L'intervista al Presidente di Fondazione Pubblicità Progresso, Andrea Farinet.

Quali motivi hanno portato alla scelta di una Campagna sulla Coesione Sociale?

Il tema della Coesione Sociale è di grande attualità. La Fondazione Pubblicità Progresso ha, quindi, deciso di impegnarsi a collaborare attivamente alla sua promozione.
Perché la scelta della coesione sociale come tema per i nostri cinquanta anni? La coesione sociale e l’Italia durante e dopo la pandemia ha tratti specifici.

Carattere sistemico e pervasività
sono i tratti peculiari dello shock generato dalla pandemia, con riferimento alla numerosità di sfere investite – non soltanto quella sanitaria e di cura, la sfera economica, finanziaria, occupazionale e sociale, ma anche le sfere politico-istituzionale, organizzativa, relazionale, affettiva e la sfera delle libertà personali.

Il nostro SSN ha assicurato e continua ad assicurare una buona qualità della cura; tuttavia, esso presenta tre elementi critici: la limitatezza delle risorse economiche messe a disposizione del SSN stesso; l’eccessivo carico posto sulle spalle degli operatori della sanità in termini di condizioni di lavoro; le diseguaglianze nell’accesso ai servizi.

L’Italia è un Paese che ormai da due decenni spende molto meno per la salute di ciascuno di noi rispetto all’Europa occidentale
. Nel 2000 per ogni 100 euro spesi in sanità pubblica per un cittadino dell’Europa occidentale, l’Italia ne spendeva 91.
Nel 2018 il nostro paese spendeva oltre un quarto di meno per ciascuno di noi rispetto alla media dell’UE-15.

L’Italia ha fatto tagli nell’ultimo decennio e soprattutto spende per ognuno di noi molto meno di quanto fanno mediamente gli altri paesi dell’Europa occidentale
. A pagare le spese in questi ultimi decenni di un sistema che regge sotto il profilo della performance, ma con risorse finanziarie calanti, sono stati i lavoratori e alcuni gruppi sociali.

Due problemi: la scarsa presenza relativa di infermieri e una forza lavoro di medici che va invecchiando e calando numericamente (oltre la metà dei medici italiani ha più di 55 anni).

Vi è una fetta di popolazione comparativamente più consistente, concentrata fra quella a redditi bassi e medio-bassi, che afferma di dover rinunciare ad alcune cure sanitarie per motivi di costo, distanza o liste di attesa. Inoltre, i problemi di accesso e di qualità delle cure assumono un grado e una intensità differenti a seconda del territorio, con le regioni del Sud Italia in genere nettamente più svantaggiate rispetto a quelle del Centro-Nord.

Per combattere queste criticità, il pensiero che si è affermato è  quello di dover rafforzare il sistema di intervento verso la cura delle cronicità.

La logica che ha guidato la trasformazione di molti sistemi sanitari occidentali è stata: meno posti letto per acuti in ospedale e più attività di ambulatoriale/specialistica sul territorio, più strutture socio-sanitarie residenziali e più interventi domiciliari.

L’Italia è rimasta in mezzo al guado. Si sono chiusi reparti ospedalieri e in una parte del Paese non si sono rafforzate adeguatamente le reti di intervento territoriali. Davanti alla pandemia il nostro Paese si è trovato con meno posti letto in ospedale, ma senza un’adeguata dotazione di servizi socio-sanitari residenziali e territoriali, e con un numero decrescente di medici ed infermieri, che già da un decennio stavano (sup-) portando sulle proprie spalle i tagli alla sanità.

La società italiana è quella che sta invecchiando più velocemente nell’Unione Europea
(UE).

Sono quasi 14 milioni (22,8%) le persone che vivono in Italia e hanno più di 65 anni; inoltre, l’11,7% è ultrasettantacinquenne.

Tuttavia, se gli italiani hanno un'aspettativa di vita a 65 anni superiore rispetto alla maggior parte dei paesi dell'UE, ne presentano una inferiore in termini di anni di vita in buona salute. Infatti, in Italia, vi è una presenza di anziani fragili ben più pronunciata rispetto a molti altri Paesi.

L’Italia nel suo insieme è arrivata alla sfida della pandemia con un sistema per la non autosufficienza che fa fortemente affidamento sulle assistenti familiari e offre pochi servizi sia domiciliari che residenziali.

Un modello, basato su un mix fra cure informali, assistenti familiari, servizi residenziali, ma anche territoriali/domiciliari, appare quello che meglio ha saputo o saprebbe contenere o limitare la diffusione e le conseguenze della pandemia.

Vi sono, pertanto, due grandi lezioni da imparare: primo l'Italia ha bisogno di servizi di assistenza domiciliare e territoriale più forti e integrati, organizzati intorno ai professionisti, in grado di aiutare presso il proprio domicilio le persone fragili e sostenere le loro famiglie; secondo, l’Italia ha bisogno di aumentare l’investimento nelle RSA. Tale investimento dovrà non solo riguardare un aumento dell’offerta di posti letto, ma anche una maggiore attenzione alle possibilità di assicurare maggiori spazi e distanziamento sociale, se necessario, dentro le strutture stesse, anche tramite lavori di ristrutturazione e ammodernamento delle residenze attuali.

Quattro temi sono al centro del dibattito politico ed economico:
1. L’istruzione - oltre un terzo delle istituzioni scolastiche del paese è privo delle tecnologie (e delle competenze) necessarie per la didattica a distanza, e ciò trova un riscontro ancora più significativo nelle regioni meridionali. La chiusura delle scuole rischia, inoltre, di rendere ancora più grave il fenomeno dell’uscita precoce dal sistema istruzione-formazione e dell’abbandono scolastico, fenomeni assai più diffusi al Sud. Da ultimo, appaiono non meno gravi gli effetti della chiusura dei servizi per l’infanzia (nidi e scuole dell’infanzia), la cui importanza strategica per interrompere o attenuare la trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze è cosa ben nota.
2. La sanità - le regioni in cui si vive meglio e in cui i sistemi sanitari sono più performanti sono quelle centro settentrionali, mentre le regioni in cui le situazioni di salute sono più critiche e in cui i servizi mostrano maggiore affanno sono quelle del Sud. Queste carenze rendono concreto il rischio di depauperare ulteriormente l’insieme dei servizi riservati alle persone non COVID-19. È facilmente prevedibile che, cessato il lockdown, si allungheranno ulteriormente i tempi di attesa e aumenteranno le migrazioni sanitarie.
3. Il digital divide - una delle conseguenze dell’attuale pandemia è anche l’accelerazione dei processi di digitalizzazione in tutti i settori della vita economica e sociale.  L’Italia occupa, già prima della pandemia, il quart’ultimo posto in Europa in tema di digitalizzazione dell’economia e della società; a conferma di ciò, tre italiani su dieci non utilizzano Internet, oltre il 50% della popolazione non sembra possedere competenze digitali di base. Questa mancanza è molto più evidente al Sud e, a causa della pandemia, la digital divide corre seri rischi di allargarsi.
4. I servizi socio-assistenziali: le risposte del pubblico, le fragilità del Terzo Settore - c’è il concreto rischio di un aumento assai rilevante della povertà e della disoccupazione, così come di una minore capacità sociale di ‘difesa’ rispetto ai richiami criminosi. Il generale deterioramento dell’economia rischia di comportare una maggiore esigenza di ricorrere a servizi socio-assistenziali al fine di contrastare indigenza, solitudine, disperazione, sfiducia e paura del futuro. A fronte della riduzione delle organizzazioni con volontari, il numero di volontari (+17,7%) e quello delle risorse umane retribuite (+36,1%) crescono, ma con variazioni percentuali molto inferiori al Sud rispetto quelle osservate nelle altre ripartizioni geografiche. Per quanto concerne le organizzazioni di volontariato del Sud vanno evidenziate una maggiore fragilità, con grandi problemi di continuità e durata, oltreché dimensioni mediamente minori rispetto al Centro-Nord; tali caratteristiche ne condizionano fortemente la capacità di rispondere in modo efficace alle crescenti domande sociali dei territori. La domanda di servizi socio-assistenziali e di interventi per situazioni emergenziali appare destinata a trovare una risposta debole e assolutamente insufficiente. Ciò rischia di provocare un ulteriore aggravamento delle disuguaglianze sociali all’interno di tali regioni.

L’Italia si presenterà perciò al termine della pandemia con una disuguaglianza sociale tra le regioni settentrionali e meridionali ancora più accentuata e, inoltre, con una situazione ancora più drammatica a livello di: istruzione, sanità, digitalizzazione e povertà nelle regioni del Mezzogiorno.

Gli schemi di reddito minimo presentano ben noti limiti– primi tra tutti, l’incapacità di raggiungere l’intera platea delle persone bisognose e un importo nella maggioranza dei casi inadeguato a garantire standard di vita dignitosi.

Le misure presentano caratteristiche che fanno sì che esista una platea di individui che, pur avendone diritto, non fanno domanda, perché non possiedono le informazioni necessarie, ritengono le procedure umilianti o stigmatizzanti, oppure temono i controlli e/o le condizionalità associate con tali misure.

Essendo strumenti ordinari di contrasto alla povertà, gli schemi di reddito minimo non sono disegnati per proteggere da un improvviso e inaspettato blocco completo dell’economia in quanto, tra le altre cose, richiedono procedure di accesso complesse, lunghe e spesso dotate di elementi stigmatizzanti.

Le ‘nuove povertà’ causate dal COVID-19 non possono venire protette dagli schemi ordinari di reddito minimo, a meno di interventi straordinari volti ad incrementare la capacità protettiva di questi ultimi.

Nonostante gli interventi, l’Italia uscirà dalla pandemia con una “nuova povertà” sempre meno protetta dal Governo.

Per effetto delle misure di distanziamento sociale e della chiusura delle attività economiche considerate ‘non essenziali’, molti lavoratori e lavoratrici sono stati costretti a lavorare da casa facendo uso delle reti informatiche e degli strumenti telematici.

Nel contesto italiano, il ricorso al lavoro online da casa durante l’emergenza sanitaria causata dal COVID-19 rappresenta un’opportunità per incentivare l’uso di forme di lavoro flessibili: nel 2019 solo il 3,4% degli occupati lavorava regolarmente da casa, un valore ben al di sotto della media Europea (UE-28 5,3%); ma genera anche numerosi problemi, che sono stati accentuati dalla rapidità del cambiamento.

Nell’emergenza sanitaria circa il 40% dei lavoratori/rici italiani/e ha iniziato a lavorare da casafacendo uso di strumenti informatici, uno degli incrementi di maggiore entità tra i paesi dell’UE.

L’incremento improvviso del telelavoro da casa durante la pandemia offre un’opportunità inedita per accelerare la trasformazione digitale del lavoro in Italia, in particolare in quelle aziende, settori e realtà territoriali che in passato hanno mostrato poca propensione all’uso di forme di lavoro flessibili e/o a distanza prima della pandemia.

Nonostante questa opportunità il telelavoro porta con sé anche una serie di criticità: il rischio di intensificazione del lavoro, orari di lavoro lunghi, la difficoltà a mantenere separate vita privata e vita lavorativa e l’uso di sistemi invasivi di sorveglianza e controllo dei lavoratori. 

Inoltre, la rapidità del passaggio al lavoro online da casa durante il COVID-19 ha generato nuove problematiche:
1. la transizioneal lavoro online da casa durante il COVID-19 è forzata più che volontaria che porta a stress, ansia e malumore;
2. effetti negativi sulle diseguaglianze sociali. Un primo livello di diseguaglianza riguarda la distinzione tra coloro che possono e coloro che non possono lavorare da casa (non tutti posseggono le corrette risorse, competenze e possibilità). Il secondo livello di diseguaglianza si colloca all’interno della categoria di coloro che lavorano da casa (il lavoratori “essenziali” non hanno la possibilità di lavorare da casa mettendo a rischio la propria salute). Il passaggio a modalità di lavoro online produce impatti differenziati in base a caratteristiche sociali quali il genere, le responsabilità di cura, il reddito, la disabilità, la stabilità contrattuale e la condizione migratoria. A queste diseguaglianze, dobbiamo aggiungere le disparità territoriali nell’accesso a connessioni internet ad alta velocità.
3. Conseguenze negative sugli equilibri vita-lavoro. La chiusura prolungata delle scuole e degli asili ha significato che i/le lavoratori/rici si sono ritrovati/e a doversi prendere cura per conto proprio ininterrottamente dei/lle figli/e, e in molti casi a doverli assistere nella fruizione della didattica a distanza. Il fatto che la cura dei figli/e e il lavoro vengano svolti allo stesso tempo negli spazi limitati della casa crea stress e sensazioni di sovraccarico tra i genitori (soprattutto le madri) e una riduzione del benessere tra i/le bambini/e.
4. L’obbligo per i datori di lavoro di fornire e mantenere gli strumenti necessari allo svolgimento del lavoro e di valutare la sicurezza degli spazi di lavoro non è stato rispettato a causa della rapidità del passaggio.
5. Impatto negativo su lavoratori e lavoratrici in condizioni di lavoro precarie per cui la mancanza di visibilità nelle sedi dei datori di lavoro può compromettere il rinnovo del contratto di lavoro e le possibilità di sviluppo di carriera.
6. Ha spostato alcuni dei costi precedentemente sostenuti dai datori di lavoro sui/lle lavoratori/rici e lavoratrici (bollette energia elettrica ad esempio) causando costi sempre maggiori e difficili da sostenere per le persone.

Nonostante l’opportunità di un cambiamento in termini di innovazione e digitalizzazione, il cambiamento repentino causato dal Covid causerà, tra le altre cose, un aumento di stress, malumore, perdita di benessere, sfruttamento, costi che andandosi a sommare con le pressioni derivanti dall’esterno creeranno un malcontento generale sempre più diffuso e pericoloso.

L’emergenza sanitaria ha reso evidente la necessità di ripensare il patto sociale che regola la comunità sociale italiana.

Tale patto sociale deve essere rafforzato a partire da due principi che sono l’equità e la giustizia sociale. Principi che devono portare a misure urgenti di sostegno al reddito, aiuti alle imprese particolarmente in difficoltà e di condivisione dei costi della ripresa da sostenere non attraverso altro debito bensì attraverso uno sforzo di solidarietà.

In tempi rapidi, interventi strutturali quali la riforma fiscale, la revisione del finanziamento dello stato sociale devono porsi al centro dell’agenda politica. Tali linee di azione rappresentano il modo più efficace e socialmente sostenibile per superare l’emergenza e rafforzare la coesione sociale e l’unita nazionale.

Queste sono le basi logiche e valoriali della nostra scelta.

Campagna 2020-2021 Coesione Sociale: facciamo tutti un passo verso gli altri per ridurre le distanze sociali in questa fase storica così drammatica per la nostra società. Pubblicità Progresso è sempre stata al servizio della crescita civile e della coesione sociale del nostro Paese con campagne media che sono entrate nel cuore degli italiani. Serve fiducia per la coesione sociale, dice il nostro Capo dello Stato Sergio Mattarella. Le relazioni basate sulla logica del dono sono formidabili vettori di fiducia. La nostra campagna punta, perciò, a contrastare la caduta dei sentimenti più solidali promuovendo, con un tono di voce delicato, comportamenti ispirati alla solidarietà ed alla fratellanza.

La Campagna è stata ideata considerando tutte le varie problematiche relative alla crisi sociale causata dal coronavirus: psicologiche, relazionali, occupazionali e, non ultimo, il bisogno di assistenza alimentare. La nostra call to action vuole, con chiarezza, sintesi e semplicità, arrivare ad attivare tutto il grande pubblico, in particolare i giovani, all’ascolto e all’azione e sviluppare un comportamento virtuoso in termini di solidarietà e volontariato. Il bene comune al quale tutti i cittadini sono chiamati a partecipare.  Sono stati considerati tre esempi concreti di coesione sociale nei quali i cittadini possano identificarsi per dare il loro contributo, facendo leva sul senso di appartenenza e sull’importanza di essere tutti coesi, uniti. Una campagna che promuove la gratuità dei comportamenti individuali, ma che prefigura l’impegno successivo ad appoggiare il terzo settore.

La nostra Fondazione ha, tra i soci promotori, tutti i principali protagonisti del mondo della comunicazione. E’ una Fondazione privata, apartitica, areligiosa e apolitica che agisce per il bene comune, senza fini di lucro. La nostra nuova piattaforma tematica (Ambiente, Anima e Arte) sta raccogliendo un grande consenso da parte delle più importanti istituzioni e imprese del nostro Paese e pensiamo di poter dare un seguito importante ai valori di coesione evidenziati dalla nostra Campagna, proseguendo con il progetto, attraverso la creazione delle Stanze Sociali sulle principali piattaforme digitali.

Perché un nuovo logo?

Per i 50 anni di Pubblicità Progresso abbiamo sentito l’esigenza di conferire alla Fondazione un nuovo segno identificativo, attraverso un nuovo logo. Così dopo aver indetto una gara, dalla quale sono emerse numerose proposte interessanti, abbiamo analizzato con cura quelle che più ci hanno suggestionato, fino a scegliere il progetto che meglio potesse rappresentarci.

Una sfida resa ancora più complessa dal profondo radicamento del nostro logo storico, nella cultura della società e nella mente degli italiani.

Da quando Pubblicità Progresso ha lanciato la prima campagna sono passati 50 anni. Da allora i paradigmi della comunicazione contemporanea sono radicalmente cambiati, soprattutto in seguito all’avvento dei social media e di nuovi canali comunicativi. Il nuovo logo ha l’obiettivo di saper interpretare il nostro tempo, avvicinandosi al presente e stando al passo con i nuovi linguaggi. Per questo motivo abbiamo optato per un elemento polisemico, capace di avere più significati, che può rimandare ad una rondine stilizzata o ad un aquilone che vola verso l’alto, ma con un denominatore comune, ovvero la positività.

Il processo creativo trova il suo incipit in una lenta fase di decostruzione del logo storico, la quale porta con sé un importante significato, ovvero che il progresso non è un cambiamento netto, ma  si nutre della propria storia e delle proprie radici. Infatti, il colore blu intenso permane nel nuovo logo, colore della tradizione, ma che rimanda anche ad elementi naturali come l’acqua e il cielo; natura che oggi più che mai reclama la propria attenzione. È anche un blu che si coniuga alla luce fredda degli schermi su cui si muove oggi la comunicazione digitale. Infine, subentra nel logo in modo importante anche la parola “Fondazione”, per ricordare il valore sociale delle iniziative passate, attuali e future.

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