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Comunicare la ricerca scientifica

02/03/2017

Marta Bonatti

La ricerca scientifica è un settore spesso bistrattato nel nostro Paese, seppure di fondamentale importanza. Anche le Rp posso fornire il loro contributo offrendo molto di più come opportunità di visibilità, conoscenza, relazione appunto, ma anche fare in modo che i progetti di ricerca possano raggiungere i loro destinatari. L’analisi di Marta Bonatti.

 

C’è un ambito della comunicazione e delle relazioni pubbliche che appare tanto poco esplorato e studiato, quanto utile e strategico per lo sviluppo del nostro Paese: la comunicazione della ricerca scientifica. La ricerca in Italia è un topos pieno di luoghi comuni: nel nostro Paese non si fa, si fa solo all'estero, i cervelli in fuga, i nostri ricercatori sono sottopagati, e tante altre frasi fatte di cui tutti ci riempiamo la bocca, soprattutto nelle conversazioni informali, anche se la conoscenza di questo fenomeno si limita nella stragrande maggioranza dei casi ad un livello superficiale.

La ricerca invece si fa, anche in Italia, nelle Università e nelle aziende, però appartiene ad un ambito circoscritto, che in effetti pochi conoscono direttamente e non per sentito dire: si tratta dei ricercatori veri, i docenti universitari, coloro che nelle imprese si occupano di R&S (ma quante aziende lo fanno in modo dedicato?), esperti che operano nella pubblica amministrazione). Sicuramente la scarsa attenzione in generale offerta a quest'ambito, eccezione fatta per le startup che da qualche anno occupano spazi di quotidiani e fette importanti di web, ha le proprie radici nella diffidenza e reticenza italiana verso la cultura scientifica, come se fosse appannaggio di una élite che ha le competenze per dischiuderne i segreti.

Contribuisce a rendere poco conosciuto questo mondo il fatto che la ricerca spesso si svolge in ambiti chiusi e inaccessibili quali laboratori, tecnopoli, spin off, incubatori, che in genere non sono aperti al pubblico per molte ragioni. Quindi ciò che non si vede, non si tocca con mano, semplicemente nel linguaggio pubblico non esiste. Inoltre i risultati di processi di innovazione spesso vengono divulgati in canali specialistici, quali siti web per addetti ai lavori, riviste di settore molto spesso straniere, talvolta nelle fiere dove rischiano di perdersi nei rivoli dei mille convegni e workshop.

Inoltre la ricerca spesso è coperta da brevetti, che ne possono limitare la divulgazione in una fase iniziale perché può compromettere le opportunità stesse di protezione intellettuale delle innovazioni che produce.

Una delle contraddizioni che colpisce di più è proprio il fatto che mentre a questo argomento sono riservati spazi residuali, sia nei media tradizionali che anche nei social media, d’altro canto l’interesse della collettività verso tutto ciò che migliora la qualità della nostra vita sia altissimo, anche perché oggi disponiamo di molta scienza e tecnologia, non sempre utilizzata. Questa contraddizione a mio avviso è alimentata dal fatto che è un ambito di lavoro in cui la comunicazione non è ancora entrata in modo energico come negli ambiti di business tradizionali, in cui è una leva strategica per la commercializzazione dei prodotti e dei servizi. Le relazioni pubbliche, che tanto potrebbero offrire a questo mondo, ne sono rimaste ai margini, un po’ perché non interpellate da chi se ne occupa, un po’ perché indaffarate a contribuire ad altri processi o a studiare fenomeni più macroscopici.

Eppure la comunicazione della ricerca scientifica, soprattutto laddove vengono usate risorse pubbliche per finanziarla, dovrebbe essere un dovere e un orgoglio, una linea strategica su cui le istituzioni tutte dovrebbero convergere, una sensibilizzazione che nasce anche e soprattutto dal mondo economico e imprenditoriale, anche per favorire una cultura più diffusa su questi argomenti. Il mantra che infatti viene sempre ripetuto è che senza ricerca e innovazione non ci sono sviluppo, crescita economica, occupazione. Insomma, è la exit strategy dalla crisi, ma resta sempre in penombra.

Eppure la stessa UE prevede obblighi di comunicazione per i beneficiari dei finanziamenti, da molto tempo: si tratta di quella che nella nomenclatura europea è etichettata come “dissemination” e che deve essere prevista sin dall’inizio di un progetto (nella fase di domanda), ma che non sempre è ideata da professionisti della comunicazione.

Alcune amministrazioni pubbliche, tra cui la Regione Emilia-Romagna, prevedono anche scrupolose linee guida di comunicazione per i beneficiari di certi finanziamenti pubblici, a cui attenersi pena l’impossibilità di rendicontare quelle spese. In particolare si dice: “Comunicare è un dovere, è un compito importante, è un’occasione, un’opportunità”. Quindi non solo obbligo, ma anche risorsa.

Questi documenti fissano uno standard minimo da rispettare, un comun denominatore che tutti i progetti devono avere:

1. Principi dell’identità visiva e degli elementi grafici: un manuale dell’immagine coordinata degli enti finanziatori, secondo una certa sequenza e proporzione, da rispettare su tutti gli strumenti di comunicazione.
2. Cartelloni temporanei, poster e targhe, da affiggere nei luoghi dove si fa la ricerca: sono l’evidenza pubblica dell’utilizzo di risorse della collettività.

Sappiamo però che le relazioni pubbliche possono offrire molto di più come opportunità di visibilità, conoscenza, relazione appunto, anche per fare in modo che i progetti di ricerca possano raggiungere tutti i loro destinatari, soprattutto quelli che potrebbero avere un interesse a trasformarla in commercializzazione.

Pensiamo a dei piani di relazioni pubbliche integrate, anche per progetti di piccola – media entità: quanto potrebbero produrre in termine di risultato misurabile, per fare in modo che la ricerca non si arresti ai primi stadi ma prosegua? Pensiamo agli spin off e al loro bisogno di attrarre investitori e capitali, di dialogare con la PA, sia per ottenere agevolazioni che per disporre di autorizzazioni. Quanti di questi progetti e di queste idee possono contare su un’altrettanto valida progettualità e strategia di comunicazione?

Pur utilizzando alcune parole abusate, credo che questi progetti riescano ad uscire da questo limbo comunicativo quando riescono a mettere in pratica:

  • Linguaggio semplice: per spiegare con parole chiare e accessibili quale problema la ricerca intende risolvere, non solo agli addetti ai lavori.

  • Apertura dei luoghi: i laboratori, almeno una volta ogni tanto, non devono essere templi per pochi, bensì "beni comuni", perché spesso di proprietà pubblica, ma anche perché da quello che viene elaborato al loro interno dipende il futuro del nostro Paese.

  • Stakeholder engagement: per coinvolgere tutti i decisori, renderli consapevoli di quello che si sta provando a realizzare, usando gli strumenti di facilitazione e networking che possono offrire e dall’altra parte dare opportunità positive di visibilità agli stessi decisori;

  • Storytelling: raccontare le storie che stanno dietro ad ogni progetto. Sono storie di persone, prima di tutto, di giovani e ragazzi che si affacciano così al mondo del lavoro dopo la laurea. Sono storie di problemi che si risolvono, di miglioramenti introdotti nella nostra vita, di scommesse che spesso di vincono.


 

 
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