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Comunicazione in emergenza: ad Amatrice presentata la Carta di Rieti

26/11/2019

Diana Daneluz

Cambia il modo di fare informazione e di fruirne, è mutato l’intero ecosistema della comunicazione. Esistono però ambiti comunicativi che hanno un costante bisogno di responsabilità nel porgere l’informazione, nel gestirne tempi e modi, nel monitorarne gli effetti. Tra questi, la comunicazione in emergenza. Se ne è parlato lo scorso 23 durante un corso organizzato da UCSI LAZIO e da Ferpi, in cui è stata anche presentata la Carta di Rieti.

Si è svolto ad Amatrice il 23 novembre scorso il corso per giornalisti su “Il racconto responsabile dei disastri naturali. La Carta di Rieti”, organizzato da UCSI LAZIO e dalla Commissione di Aggiornamento e Specializzazione Professionale (CASP) di Ferpi, durante il  quale è stata presentata la Carta di Rieti. Coordinato negli interventi dal giornalista di Tv2000 Fabio Bolzetta, vi hanno partecipato: il Vescovo di Rieti Mons. Domenico Pompili; il giornalista RAI Rosario Carello; il Ten. Col. Salvatore Verde; il co-autore della Carta di Rieti, Stefano Martello; l’architetto Ginevra Selli, il Consigliere nazionale Ferpi e senior partner di Amapola Sergio Vazzoler e Diana Daneluz, consigliere regionale Ferpi Lazio.

Nei saluti di Ferpi Lazio, un cenno ai cambiamenti nel modo di fare informazione e di fruirne, dell’intero ecosistema della comunicazione, un’infosfera dove la tecnologia prima e l’algoritmo poi sono entrati a gamba tesa, imponendo nuove vie al comunicare, creando l’esigenza di specifiche professionalità. La Ferpi ne è conscia, tanto che tra le sue priorità c’è proprio l’implementazione di una formazione costantemente aggiornata e facilmente fruibile per i propri iscritti. Oggi, però, è anche quel momento storico in cui tutti comunicano tutto a tutti, con le derive in alcuni casi negative che abbiamo potuto sperimentare, in virtù della disintermediazione, della pervasività del digitale e della cresciuta rilevanza della percezione sociale rispetto all’ascolto della notizia e dell’informazione. Tuttavia, ci sono ambiti comunicativi che, in virtù della loro complessità, hanno un costante bisogno di responsabilità nel porgere l’informazione, nel gestirne tempi e modi, nel monitorarne gli effetti. Tra questi, la comunicazione in emergenza – tornata prepotentemente alla ribalta in ragione dei tanti, continui, disastri naturali che stanno investendo il nostro Paese –, che ha un ruolo di primo piano, soprattutto rispetto agli effetti che la stessa realizza nell’immediato, sulla vita stessa delle persone, sulle sue decisioni, sui suoi spostamenti e sulle paure che un disastro naturale innesca. Non può, quindi, essere lasciata al caso e all’improvvisazione o, peggio, affidata a persone impreparate. L’emergenza va comunicata bene. E comunicare bene l’emergenza significa intercettare la complessità e rispondere in maniera strutturata e non sovrapposta, tutelando il tessuto territoriale nel suo insieme e nelle sue tante sfaccettature. In tal senso, una risposta responsabile è una risposta pianificata tra i vari attori che partecipano ai processi di contrasto e di rilancio, in un clima di conoscenza e di riconoscimento reciproco. Funzionale ad una dinamica comunicativa che non contempli solo il mero contrasto ma, ancora di più, il rilancio del territorio colpito.

In questo contesto è nata la “Carta di Rieti per una comunicazione responsabile nei disastri naturali” (www.cartadirieti.org). Curata da Stefano Martello, giornalista, e dal Consigliere Nazionale Ferpi Biagio Oppi, e realizzata con la collaborazione di FERPI Emilia-Romagna, di Bononia University Press, di CommtoAction e di StudioKiro, la Carta è l’esito di un progetto di ricerca e azione che ha coinvolto negli anni diversi professionisti di relazioni pubbliche - tra questi, Massimo Alesii, Sergio Vazzoler, Luca Poma, Giulia Pigliucci - a partire dal terremoto de L’Aquila del 2009, passando per quello dell’Emilia e fino a terremoto del Centro-Italia, idealmente coordinati dal Vescovo Mons. Domenico Pompili.

Carta di Rieti come un “post-it”. Nelle intenzioni di Stefano Martello, un memo su un metodo, che il giornalista e il comunicatore possono interiorizzare come insieme di linee guida lungo le quali costruire una narrazione del disastro che sia funzionale, però, anche al percorso post-crisi, di rilancio dei territori colpiti e valorizzazione delle comunità locali. Il linguaggio emotivo-emozionale di cui si nutre la comunicazione, ad esempio, inevitabilmente diffuso con i social, può essere di contrasto al successivo percorso post-crisi e sarebbe necessaria invece una maggiore conoscenza che possa integrare queste forme di racconto in una narrazione più sistemica e ordinata. La Carta di Rieti indica quindi un metodo e come tale lo affida agli attori della comunicazione del disastro naturale, declinato in principi che possano essere poi messi in pratica nei vari momenti informativi affinché sia garantita una comunicazione efficace dei diversi momenti della crisi davvero al servizio del cittadino, della comunità e del territorio colpito. Lo strumento è nato dalla consapevolezza di una macro-evidenza: una chiara sottovalutazione del rischio, con una concentrazione troppo marcata sulla fase di contrasto a fronte di una indifferenza nei confronti della preparazione e, dunque, del rilancio. Scopo della Carta di Rieti è, invece, quello di contribuire a tutelare l’identità territoriale nel suo insieme, stimolando una cultura della prevenzione del rischio, esortando ad un confronto tra le diverse “grammatiche” dei linguaggi degli attori in campo durante una emergenza e tenendo conto della complessità e delle peculiarità che ogni territorio esprime. In tal senso, la Carta non contiene elementi prescrittivi, né indica tempistiche nella comunicazione del disastro naturale, ma esprime nove comportamenti, nove principi fondanti che qui sono elencati rimandando poi alla lettura integrale della Carta stessa: Agire con responsabilità; Ascoltare gli stakeholder; Promuovere (per tempo) cultura della prevenzione; Comunicare (con) la scienza; Formare alla comunicazione; Valorizzare le identità locali; Valorizzare il linguaggio; Stimolare credibilità e autorevolezza; Tutelare la comunità.

Per una cultura della prevenzione. Proprio sulla carenza della cultura del rischio si è soffermato durante la presentazione Sergio Vazzoler, senior partner di Amapola. Tenere vivo il tema delle emergenze ambientali in tempo di pace sarebbe fondamentale per affrontare preparati l’aumento esponenziale dei disastri naturali degli ultimi tempi e invece viene velocemente derubricato dall’agenda comunicativa e non solo. Le ragioni sono diverse. Disponiamo di molte risorse e ci è difficile percepire come una di queste possa venire a mancare; il senso di frustrazione del singolo davanti ai dati sui grandi fenomeni come, ad esempio, l’inquinamento, e, infine, il fatto che la consapevolezza, ove maturata, sia inibita nelle nostre azioni quotidiane da altri elementi psicologici o di altra natura. Sarebbe invece auspicabile da parte di tutti uno “sforzo di immaginazione sui cambiamenti climatici”, che conduca a coscienza e consapevolezza e, di conseguenza, all’azione. La questione del cambiamento climatico, per Vazzoler, non è (solo) un problema scientifico, ma radicalmente culturale. It’s time to act: quale comunicazione? È necessario ripensare uno stile narrativo e anche iconografico diverso, capace di innescare comportamenti positivi dei singoli nella loro vita reale e quotidiana.

Complessità e diritto di cronaca. Rosario Carello, giornalista del TGR Lazio RAI, ha portato la testimonianza della capillare copertura della sua testata in occasione del terremoto in Umbria, evidenziando la complessità degli scenari che il giornalista si trova a dover restituire - il racconto della tragedia, la fragilità degli interlocutori, le pressioni subite da chi vuole far cessare, forse prematuramente, l’allarme sulle zone colpite per limitare danni all’economia del territorio - poiché è inevitabilmente portatore involontario di interessi diversi. Dal suo punto di vista, quello del servizio pubblico, il terremoto pone sfide, decisioni comunicative da prendere, scelte alle quali le tante Carte deontologiche - cui quella di Rieti va ad aggiungersi - possono offrire un aiuto. Certamente, avverte, che siano “carte che non incartino”, perché la sua opinione resta quella di una narrazione giornalistica che sia al 100% responsabilità, al 100% rispetto, ma anche al 100% racconto.

Sinergie sul campo: #noicisiamosempre #dipiuinsieme. Non poteva mancare la voce della Difesa in un momento dedicato all’informazione sul disastro naturale. Il Ten. Col. Salvatore Verde - Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione dello Stato Maggiore dell’Esercito - sotto i due hashtag proposti ha restituito numeri - 2500 militari impegnati nel solo terremoto del Centro-Italia - e immagini della presenza costante dell’Esercito e di altre identità militari, accanto alle altre strutture civili, lungo tutto l’arco delle emergenze verificatesi in Italia, testimoniando l’eccellenza dell’opera dei militari nell’intervento tecnico e comunicativo. Oggi ben 12 reggimenti del Genio dispongono dell’assetto PUCA (assetto di pubblica calamità); dei veri e propri asset composti da personale con specifiche competenze e mezzi adeguati pronti ad intervenire insieme al resto dei reggimenti. Proprio in parallelo alla catena logistica-operativa parte immediatamente la catena informativa-comunicativa da parte delle forze militari operanti sul territorio colpito, con un responsabile della comunicazione, punto di riferimento per tutti gli altri racconti provenienti dal territorio. Circa 130 i servizi quotidiani diffusi nei primi 20 giorni, attraverso i canali social e web TV dell’Esercito, con una precisa scelta comunicativa concentrata sulla qualità e sull’affidabilità delle informazioni rilasciate all’esterno.

Una questione dell’Italia Centrale? Il Vescovo di Rieti, Mons. Domenico Pompili, è partito dalle sue considerazioni sulla comunicazione di emergenza durante e dopo gli accadimenti per lanciare una provocazione. Il surplus informativo erogato a caldo ha lasciato spazio, secondo lui quasi in concomitanza con il disastro del ponte di Genova, alla assenza di informazioni e racconto della fase successiva, quella della ricostruzione. E se manca quella, ha ricordato, anche la classe dirigente, già rallentata nel suo operato dai continui cambi di Governo, volge altrove le proprie azioni. Di qui la sua riflessione: il territorio del Centro-Italia colpito è frazionato in tanti piccoli insediamenti, che costituivano un tempo il genius loci del nostro Paese. Nel 1700, Amatrice contava 10.000 abitanti, il che spiega la presenza delle centodieci Chiese andate distrutte durante il terremoto. Lasciar morire questi piccoli centri, in nome di una tendenza alla urbanizzazione che sta virando sempre più verso città sovrappopolate, caotiche, scarsamente vivibili è la strada giusta? Per questo rilancia - come possibile punto di un’agenda politica - una questione dell’Italia centrale, che ha a che fare con la dorsale appenninica, con tanti centri medio-piccoli, un tempo importanti, ma poi progressivamente spopolati.

La Bellezza come chiave di un ritorno alla normalità. Non si comunica solo con le parole, anche l’architettura può comunicare. Ne è convinta Ginevra Selli, architetto, che, intervenuta al Corso, ha raccontato un suo progetto volto a dare una possibile risposta ad uno degli aspetti problematici della ricostruzione. L’idea nasce dai ricorrenti disastri naturali e dal loro portato in termini di perdita di identità e di patrimonio culturale. Se le cd. “casette” forniscono dopo un terremoto una soluzione abitativa che consente di restare sul territorio colpito e, quindi, il radicamento degli abitanti, gli spazi in cui vengono ubicate e la loro disposizione seppure funzionale favoriscono spesso, invece, l’isolamento delle persone per la mancanza di uno spazio comune aggregativo, quello che era rappresentato dal centro storico o dalle piazze del paese. Il progetto mira, così, a definire il modello di un edificio “bello”, un’opera architettonica capace di veicolare messaggi di spiritualità rigorosamente inter-religiosi per l’ovvia multiculturalità attuale degli insediamenti, edificato secondo i più moderni principi di sostenibilità. Filo rosso della costruzione l’armonia delle parti, che vada a contrastare la disarmonia forzata del territorio che la ospiterà, e la natura del manufatto in sé, immaginato sì come luogo di raccoglimento, al pari di una Chiesa, ma anche e soprattutto di incontro, di cultura, di recupero di tradizioni del posto, che possa essere “riconosciuto” dagli abitanti e restituire loro un senso di comunità.

Parola d’ordine: responsabilità. È evidente la delicatezza dei temi legati alle conseguenze dei disastri naturali e l’importanza fondamentale, accanto alle azioni, di narrazioni capaci di misurarsi con complessità crescenti. È opportuno, dunque, favorire confronti e sinergie sul campo tra i vari attori della comunicazione, è importante una formazione innovativa, è necessario ascoltarsi. Su tutto, l’assunzione di responsabilità personale da parte di chi ha il compito di informare su questi contesti. La Carta di Rieti è l’ultimo in ordine di tempo dei “post-it” su ciò che va tenuto ben presente e a mente in caso di comunicazione ambientale, d’emergenza e del disastro naturale.

 

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