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Comunicazione politica: cambiare tutto e subito

04/03/2013

“Comunicare in politica è un gioco senza fine che può vedere dei cambiamenti di stato ma non può interrompersi. È un flusso, perché l’agire politico è di per sé comunicativo”. A fronte dei risultati delle elezioni, piuttosto che fare bilanci è necessario un cambiamento, che non può essere tattico ma deve essere profondo, “figlio di un ripensamento culturale serio”. La riflessione di _Mario Rodriguez._

di Mario Rodriguez
L’azione politica è una campagna elettorale permanente. La tv ha acceso i riflettori sul dietro le quinte, sul backstage. E i social network stanno affollando di intrecci i diversi ambiti della nostra vita quotidiana. Comunicare in politica è un gioco senza fine che può vedere dei cambiamenti di stato ma non può interrompersi. È un flusso, perché l’agire politico è di per sé comunicativo.
In queste ore, vista l’incertezza del risultato, è diffusa la convinzione che un’altra tornata elettorale sia alle porte. Forse addirittura prima che l’anno finisca.
Allora le valutazioni sui risultati e quelle su cosa si deve mettere in cantiere non possono non accavallarsi. Piuttosto che fare bilanci conviene subito riflettere su come comportarsi nelle prossime settimane. Allora, detto senza nessuna vis polemica, una cosa deve essere chiara: bisogna cambiare. E il cambiamento deve essere netto. Verificabile nei comportamenti e nelle frasi, forse anche nelle metafore, nel modo di stare nelle piazze, nei teatri, tra la gente ma anche davanti alle telecamere, negli studi tv e sui social network.
Se si è riconosciuto che il cambiamento che il paese attende è maggiore di quello che si è saputo proporre in campagna elettorale si deve riconoscere che questo adeguamento deve essere reso credibile a tutti i livelli. Non può essere tattico, superficiale strumentale. Deve essere profondo. Deve essere figlio di un ripensamento culturale serio.
Deve interessare sia le modalità di uscita che quelle in entrata. Se qualcuno non se la sente, se qualcuno pensa che non si possa agire diversamente da come si è fatto sinora, si faccia da parte. Si lasci spazio a coloro che da mesi sempre più flebilmente per non apparire disfattisti e i soliti bastian contrari, ricordavano che l’uso propagandistico del web non era lo strumento per costruire senso, che certi approcci nostalgici degli anni ’70 e della vecchia ditta allontanavano da tutte le riflessioni che si stanno sviluppando nel mondo della comunicazione. Si cominci a riconoscere che avere una narrazione che motivi all’azione e alla costruzione di senso non significa raccontare balle. Che lo storytelling non significa raccontare favole ma agire consapevolmente sulla dimensione della costruzione dei significati e dei valori simbolici. Un po’ più di lavoro e un po’ più di equità non bastano a motivare alla grande sofferenza morale e materiale della crisi che stiamo vivendo. Da anni coloro che si occupano professionalmente non solo di comunicazione ma anche di scienza politica convergono su alcune affermazioni come «tutti i dolori sono sopportabili se li si inserisce in una storia» (Blixen) o che «la storia rivela il significato di ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi» (Arendt). La comunicazione che invece ha dominato nel Pd degli ultimi anni ha rifiutato sprezzantemente questo approccio. Si sono fatti spot evocativi ma non li si sono inseriti in una identità coordinata che è rimasta invece dominata dalla propaganda autoreferenziale solo leggermente modernizzata dall’uso del web.
Bisogna cambiare. Bisogna aprirsi al voto umile, riconoscere appunto con umiltà, senza l’arroganza di chi crede di avere la verità in tasca, che la propria cultura, il proprio modo di affrontare il presente, è inadeguato. E bisogna farlo in modo credibile con atti, azioni, decisioni verificabili.
Non si possono passare settimane ad accusare la tv di essere la mamma della mutazione antropologica negativa e poi riconoscerne il ruolo centrale nella costruzione della realtà sociale. E non si può fare questo riconoscimento e poi snobbare i talk-show post elettorali non capendo che quella è la tolda della nave dalla quale non possono che parlare gli ufficiali di bordo, se non il capitano. Passeggeri ed equipaggio hanno bisogno che il comandante li convinca che buscando occidente si arriverà a oriente.
Fonte: Europa http://www.europaquotidiano.it/2013/03/01/cambiare-tutto-e-subito-la-tattica-non-basta-piu/
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