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Conversazione ma soprattutto promozioni

19/11/2009

Prendendo spunto da una ricerca svolta negli Stati Uniti da Razorfish, una riflessione sull'utilizzo (e l'utilità) dei social media nel business aziendale.

Secondo una ricerca di Razorfish, agenzia internazionale di new media, i social network sono sì in grado di attivare conversazioni, fornendo al consumatore quel dialogo tra persone e marche da tempo ricercato, ma anche e soprattutto di essere, attraverso le promozioni, strumento di business.


L’avvento di Internet e la sua sempre più capillare diffusione hanno consentito al consumatore di instaurare con le aziende un rapporto orizzontale, di passare dall’esclusivo ricorso a mezzi top down come pubblicità o direct marketing all’utilizzo di Facebook, Twitter et similia per parlare, con voce più umana, di cose rilevanti, coinvolgendo la gente nel discorso. E di buoni esempi, anche in Italia non ne sono mancati.


La ricerca di Razorfish dimostra come però, anche a fronte di un rapporto più “egualitario”, il consumatore resti sempre “avido”. Un esempio su tutti: Dell, ha una trentina di attività su Twitter. Digital Nomads, il tweet di Dell dedicato al nomadismo digitale, ha circa 4.700 followers, IdeaStorm poco più di mille; il suo outlet (occasioni, refurbished, etc) è attorno al milione e quattro. Una bella differenza.


La ricerca cita specificamente il caso di WholeFoods con un milione e mezzo di followers, alimentato da offerte speciali e suggerimenti. E si parla di StarBucks che con oltre 483.000 utenti usa sì il canale per parlare di prodotti (e ci mancherebbe altro), ma senza pregiudicare l’aspetto conversazionale, mentre su Facebook raccoglie 5 milioni di utenti, stimolati da coupon per prodotti gratis.


Dalla ricerca emerge che il 44% segue una marca su Twitter principalmente per offerte e iniziative simili, percentuale che scende al 37% per Facebook e MySpace. Sono numeri che fanno pensare ai ricercatori che non si tratti tanto di una questione di passione condivisa per un marchio: più spesso è un puro e semplice fatto di buone occasioni.


È evidente a tutti che spesso ci sia la tendenza a tentare di ricondurre la comunicazione digitale ai paradigmi della comunicazione tradizionale, a quell’advertising che ha molti decenni di storia e teoria alle spalle. Un carico di conoscenze e competenze che per molti è difficile e sbagliato lasciare indietro: più facile applicare modelli consueti a mezzi inconsueti, mettendo talvolta in dubbio le analisi che vorrebbero i consumatori profondamente cambiati (e in realtà, è cambiata solo una parte di essi).


C’è la tentazione di rifare le stesse cose in modi nuovi, di riproporre il concetto che in fondo se il cliente propone è sempre l’azienda che dispone, magari dandosi una verniciata più social ma perseguendo le stesse pratiche. Per certi cluster di consumatori questo comportamento si più rivelare perfettamente valido, dal momento che solo una metà degli italiani è utilizza Internet, molti meno utilizzano i social network e ancora meno provano un impellente bisogno di parlare con le marche. Spesso ci si accontenta di sapere che cosa dicono gli altri consumatori, senza prendere in conto la legittima voce dell’azienda stessa e sentire che cosa ha da dire.


Rimane un problema di fondo, molto semplice: capire chi è il target, il target di oggi e dell’anno prossimo. Se parliamo alla massa che compra in modo acritico (e che però magari sta passando, complice la crisi, agli hard discount o alle marche dei supermercati, meno care e percepite altrettanto buone, marche con cui però molto probabilmente non ci si aspetta più di tanto una conversazione) questi discorsi hanno poco senso. Il potere dei social media, comunque, si tratti di relazione o promozione, non pare essere in discussione, se il 65% degli intervistati dichiara di essere stato influenzato (in bene o in male) da una interazione digitale con una marca. E se il 64% ha effettuato il suo primo acquisto di un prodotto come risultato di una di queste interazioni digitali.


Resta ancora da capire, dunque, quale sia il ruolo che le promozioni devono avere e quale quello del branding e della relazione. Dato che da decenni sappiamo che troppa promozione fa male alla marca perché la svaluta, ma che nessuna promozione fa male alle vendite a breve, non c’è che da riflettere e analizzare la novità e comprendere se il nuovo trend possa essere utile per il business del nostro prodotto.
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