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CSR e comunicazione socialmente responsabile: il dibattito prosegue anche questa settimana.

28/03/2006

Dopo la riflessione di Silvia Scopelliti della scorsa settimana, due nuovi contributi al dibattito.

La discussione su CSR e comunicazione responsabile che il nostro sito ospita ormai da diverse settimane, continua a suscitare interesse e a stimolare opinioni. Oggi pubblichiamo tre nuove repliche all'intervento della scorsa settimana di Silvia Scopelliti.

Gentile redazione,
è la prima volta che commento la vostra newsletter che trovo molto interessante.Ho letto le riflessioni sul tema in oggetto di Silvia Scopelliti (Banca Intesa).Tralascio - perché fuori tema - le mie difficoltà professionali con i "comunicatori" di Banca Intesa. Noto che è già il/la seconda Csr manager in poco tempo (l'altro è Zangrandi dell'Enel, intervistato di recente dal mio giornale) che si riferisce all'ignoranza dei giornalisti e dei comunicatori in genere sul tema e sugli elementi della Csr.Conoscendo come vengono montati alcuni servizi nei giornali, non escludo affatto l'eventualità.Scrivo solo per dire banalmente che l'ignoranza non è mai giustificata. Ma mi/vi chiedo: se c'è qualcuno che ignora, chi detiene (e, a suo dire, mette in pratica) le conoscenze sta facendo un buon lavoro di mediazione e...comunicazione?In particolare risuona l'accusa a chi dovrebbe spiegare all'opinione pubblica cosa è la Csr di confonderla con le singole azioni di cause related marketing o di sponsorship che sono solo, nel migliore dei casi, pezzi di una strategia/filosofia globale di Csr. Noto che sono le aziende, spesse volte, a "giobbare" - scusate il termine gergale - su questo fronte, mediando al pubblico una sorta di propria "mistica" conversione all'etica della responsabilità sociale, mentre invece hanno solo messo in campo una pur lodevole, ma isolata e strumentale, iniziativa di solidarietà (e non entro nel dibattito, ormai avvitato, su quanto siano credibili le aziende in questi casi etc etc).Grazie.Simone Sereni

P iù essenza e meno autocelebrazione! Abbiamo adottato questo connubio da anni con un'azienda genovese del ramo industriale e l'azione in tal senso ha concretizzato il risultato della CSR rafforzando la sinergia tra l'azienda e il territorio.E' chiaro che cosa l'azienda fa per il suo territorio anche se non l'ha mai detto. I comitati cittadini, le istituzioni, i media ne sono consapevoli e il risultato è tangibile anche nelle situazioni più complesse di trasformazione della città.
Valutare l'importanza della comunicazione quando si parla di CSR è determinante. Comunicare la CSR non sempre corrisponde ad un impegno civile reale in tal senso. Talvolta la comunicazione di alcune azioni di responsabilità sociale si limita a compensare rapporti precari con gli stakeholder e pone l'azienda in una situazione di ulteriore instabilità con il territorio. 
Come si fa a cambiare tendenza? Azzerando gli ornamenti superflui e le forzature, badando all'essenza dell'impegno piuttosto che all'enfasi della comunicazione e soprattutto condividiamo maggiormente l'idea di un "lessico semplice" a misura dei non addetti ai lavori! Patrizia PetrettoResponsabile CSR della società Chiappe Revello di Genova che da un paio d'anni ha creato una specifica unit dedicata a queste problematiche.

Carissimi,
non sono moderno e mi capita molto raramente di intervenire ai dibattiti che si snodano sul web. Questa volta però il tema merita un'eccezione: il chiacchiericcio sulla CSR mi ha talmente rotto le scatole che ritengo sia giunto il momento di dire basta. Mi rendo conto che quello che vi sto proponendo è assolutamente negativo ma, pur nella sua negatività, a me pare un contributo alla serietà.A mio sommesso parere la CSR, intesa nella sua accezione più corrente, è mediaticamente morta e sepolta. E se lo è mediaticamente lo è in tutti i sensi perché chi l'ha inventata più di venti anni fa l'ha fatto per mettere una pezza pubblicitario-giornalistica alle proprie magagne. Sono infatti finiti i tempi delle "Missioni Bontà" finanziate da chi con i propri detersivi inquinava mezzo mondo e tentava di rifarsi la faccia costruendo un minuscolo ospedale in Africa.  Queste baggianate non solo non fanno più notizia ma non sono neppure più utilizzabili pubblicitariamente.Oggi lo stesso discorso vale, traslato nel tempo, anche per molti altri interlocutori e tra questi ci metterei pure la stessa Banca Intesa. E' inutile che si riempia la bocca con le sue iniziativa di CSR se prima non mette davvero ordine in casa sua. Come ? Facendoci pagare meno i suoi conti correnti, allineandosi cioè subito a quelli che sono gli standard europei in materia di costo dei servizi bancari. Solo se diventa competitiva in questo senso può permettersi il lusso di fare CSR perché, ricordiamocelo, la CSR ha sempre un costo e questo costo va finanziato da un ricavo, preferibilmente da un valore aggiunto creato con l'ingegno manageriale. E NON DA UNA "TASSA SUL MACINATO" IMPOSTA AI CLIENTI PIU' FEDELI.Silvia Scopelliti sostiene che non di costo si tratta ma di investimento a lungo termine. Le do perfettamente ragione ma allora la CSR deve assumere  uno spessore diverso. Dalle ceneri della vecchia,  deve nascere una nuova CSR, una CSR che, traendo risorse dalle superiori capacità competitive, guarda all'esterno e diffonde ai più bisognosi non solo soldi ma anche know-how sia manageriale che creativo.
Chiedo troppo ? Lascio al dibattito che seguirà l'onere del giudizio finale.Franco PerugiaMS&L Italia
 
 
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