Ferpi > News > Formazione: i primi dieci anni del master di Tor Vergata

Formazione: i primi dieci anni del master di Tor Vergata

17/09/2012

Come si è evoluto il mondo dei media e della comunicazione? Il punto di _Simonetta Pattuglia_ in occasione del decennale del _Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media_ dell’Università Tor Vergata, da sempre patrocinato da Ferpi, e una delle eccellenze della formazione del settore in Italia.

di Simonetta Pattuglia
I compleanni hanno sempre un non so che li fa assomigliare – nel bene e nel male – ad un bilancio sulle aspettative che si avevano e sulle realizzazioni che si è portati a compimento. Il decennale di un master – e di fatto l’undicesima edizione che sta per essere lanciata – non sfugge a questa pesante legge umana dei singoli, dei gruppi come delle organizzazioni più o meno complesse. Il Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata compie in questi giorni il suo decimo anno e l’evento dei festeggiamenti indetti con studenti ormai professionisti (quasi 200!), docenti e manager aziendali che da sempre ne hanno seguito il percorso porge la fortunata occasione di scrivere qualche nota a margine di un’evoluzione – quella della comunicazione, dei media e delle relative sottese tecnologie – che ha decisamente capovolto e sconvolto la nostra visione del panorama globale nell’ultimo decennio.
Il Master fu infatti ideato e pensato – erano i primi anni del nuovo secolo e del nuovo Millennio – in contemporanea ad eventi di portata planetaria : il famigerato 11 settembre e lo scoppiare della bolla prima tecnologica poi finanziaria che ne avrebbero connotato ulteriormente le sorti. Già da allora sembrava – a chi studiava economicamente i fenomeni – che i nuovi media sarebbero diventati la piattaforma convergente verso la quale tutte le altre, quella economica e delle risorse fisiche e umane, quella delle risorse comunicative e relazionali, avrebbero rivolto la loro prua in un passaggio epocale – per i media stessi – dall’essere appunto mezzi (gli uni fra i tanti) al divenire “i” mezzi per eccellenza e addirittura il punto di convergenza di finalità, strategie, strumenti.
Il Master nasce all’epoca pertanto per dare – nella formazione post-universitaria – una doppia risposta: a chi riteneva che l’area funzionale del marketing e della comunicazione fossero divenute da funzioni trasversali e di supporto alle altre tradizionalmente core d’impresa (pensiamo alla produzione, innanzi tutto) a funzioni focali per la creazione del vantaggio competitivo d’impresa e per il perdurare dell’impresa stessa nel suo ambiente e in uno scenario in forte e costante, nonché velocissimo, cambiamento; e a chi riteneva, parimenti e specularmente, che la convergenza tecnologica che si stava dispiegando in merito ad alcuni mezzi in forte evoluzione come internet, la televisione e il mobile – soprattutto – non potesse lasciare intonsi processi, prodotti e coloro che sarebbero stati chiamati a idearli, gestirli, promuoverli e farli fruttare, ovvero i nuovi manager d’impresa.
Da allora tanta acqua è scorsa sotto i ponti dell’innovazione tecnologica e mediale: le “protesi” tecnologiche ed emozionali hanno cominciato a riconfigurare davvero il nostro mondo umano e professionale. Nel lungo periodo – dieci anni, nel nuovo millennio, corrispondono ad un secolo! – si sono via via palesati alcuni grandi trend di cui oggi rintracciamo costantemente lo sviluppo e l’esplosione (anche quantitativa): parliamo dell’affermazione del nuovo consumatore non più solo ma in un gruppo social seppur spesso virtuale; del fenomeno dell’ high tech high touch e del consumo come esperienza; del commu-tainment come di una comunicazione che diviene efficace se si fa entertainment; dello svilupparsi di una nuova forma di coinvolgimento, l’engagement.
In primo luogo, gli ultimi anni hanno evidenziato come il consumatore, da sempre asimmetrico rispetto alla impresa e alle sue molteplici forme di contatto e collegamento comunicativo, nonché di legame finalizzato alla vendita e al consumo, abbia ripreso in mano il proprio ruolo e quindi il proprio statuto di influencer.
La motivazione che ha portato alla necessità di darsi nuove possibilità di interazione e di influenza via internet, attraverso definitivamente i social media e i social network, sembra essere stato il desiderio per un consumatore oggi più avveduto e disincantato di esercitare un controllo sui contenuti usercentrici che l’avvio di internet aveva garantito e che, invece, le forme di marketing digitale spinto (a partire dallo spamming per arrivare al behavioural targeting ) stavano via via sconfessando.
Il web sociale nasce per dare risposte da pari a pari alle persone che sentivano di perdere terreno a fronte del marketing e della comunicazione d’impresa che, attraverso siti, portali, web advertising, avevano gradualmente preso anche il controllo del mezzo, per eccellenza, della comunicazione innovativa.
Un’altra lettura, meno market oriented, e influenzata maggiormente dagli studi socio-psicologici, fa del web sociale, e dei suoi singoli strumenti, la risposta necessitata da uno scenario di globalizzazione che si caratterizza attraverso la perdita dei confini naturali di un mondo sempre più interconnesso ma frammentato nelle sue espressioni di aggregazione culturale e sociale e che quindi, esprimendo disorientamento nell’individuo e senso di alienazione, riporta nell’alveo di una conversazione sociale virtuale la possibilità e il desiderio umani di connettersi, collegarsi, esprimere amicizia, frequentarsi.
Secondariamente, il 2010 vede il deciso concretizzarsi della convergenza delle esperienze mediali: il 70% degli utilizzatori di internet via mobile usa contemporaneamente altri mezzi, il 48% guarda la tv, ad esempio (dati europei, EIAA, 2008,2010), e con essi interagisce. Alcune considerazioni sono necessarie:
• i media innovativi – e di conseguenza anche quelli tradizionali utilizzati in quantità e in combinazioni diverse – non si usano più isolatamente e sequenzialmente uno alla volta: l’individuo è mobile continuamente e li utilizza in maniera simultanea, convergente e integrata con gli altri mezzi che, giocoforza, si trovano essi stessi ad integrarsi (meshing media);
• la diversità nelle opportunità di utilizzare la pubblicità e il suo linguaggio, quindi, per converso da parte dei marketer e dei comunicatori, di pianificarla;
• si segnala come preponderante l’accesso all’informazione digitale nel contempo alle forme di coinvolgimento e intrattenimento anche fisici non solo virtuali (high tech high touch);
• sono ormai assolutamente considerate complementari tutte le piattaforme interattive – virtuali come fisiche – nell’ambito di un moderno ed efficace marketing mix.
Al di là dei singoli strumenti, e quindi dei singoli media, quel che è importante sottolineare è che in un decennio si è passati ad una fase in cui il digital non va più considerato come uno degli strumenti o uno dei linguaggi, il più innovativo, da integrare agli altri, considerati tradizionali, classici, a partire dalla pubblicità per arrivare alle relazioni pubbliche e ai rapporti con i mass media. Oggi il digital è “la” piattaforma in termini di strategie perseguite, di media mix pianificati, di contenuti elaborati, di linguaggio comunicativo che informa olisticamente il posizionamento di marketing e di comunicazione dell’impresa, e dei suoi prodotti e servizi, nel suo contesto di mercato e in rapporto ad un dato scenario.
E ciò è talmente vero che l’impresa stessa può oggi essere considerata un medium comunicativo nel suo complesso non potendosi e dovendosi fare più distinzioni fra la funzione comunicazione, verticalmente adibita alle emissioni e alla mappatura e allo studio degli interlocutori, e le funzioni finanza, risorse umane, corporate social responsibility, come procurement e relazioni con i fornitori piuttosto che con il territorio locale e nazionale, anch’esse ormai portatrici di istanze comunicative e di conoscenza degli stakeholder.
In terzo luogo, questi dieci anni – e il percorso formativo che oggi commentiamo ne tiene amplissimamente conto – hanno focalizzato il passaggio dell’entertainment da mera industry di prodotti e servizi – seppur composta da oltre 100 sottosegmenti (che vanno dalla fruizione dei media come televisione, cinema, web, social media e network, alla comunicazione come intrattenimento, dal publishing agli eventi; all’arte, ai beni culturali come ai prodotti di merchandising; alle performing arts; al wagering e ai giochi, come ai recommendation software; alla pratica o alla fruizione di servizi di viaggio, turismo ed enogastronomia, di sport e di eventi, sino allo shopping e alla frequentazione anche ricreativa delle nuove forme di punti vendita (mall, shopping center, factory outlet,…), fino al design visto come apporto estetico e funzionale, fino a quelle forme battezzate location-based entertainment in una tassonomia in corso di continua integrazione grazie alla sempre aperta inclusione di forme di intrattenimento, marketing e comunicazione innovative – all’entertainment come fattore comunicativo e di marketing di successo e come fattore contribuente alla creazione di valore nell’impresa di tutti i settori, sia di prodotto, sia di servizio, sia privata, sia pubblica.
L’entertainment si fa comunicazione per dotare l’impresa di nuove strategie di coinvolgimento degli interlocutori e creazione di legami con gli stessi (siano essi i clienti come gli altri stakeholder); di contenuti adattati ai nuovi media integrati e social, per rispondere ad un sempre più allargato spettro di target/comunità, nella definizione continua di un branding che nella nostra economia dell’esperienza e della coda lunga risulta sempre più centrale nel raggiungimento di identità e valore di prodotti, servizi, imprese.
L’ultimo trend evidenziabile, fra i maggiori, nel periodo analizzato è quello che – forse – percepiamo di già come il più abusato in quanto non considerato appropriatamente e in tutte le sue interdipendenze. Parliamo dell’engagement ovvero del modo di finalizzare le azioni di marketing e di comunicazione, nonchè l’integrazione fra i media, tanto da potere raggiungere il pieno coinvolgimento, l’ingaggio, o anche il fidanzamento – engagement – con il consumatore-cliente o con lo stakeholder di altro profilo. Tale finalità è ormai universalmente riconosciuta come l’essere il meta-obiettivo che tutti i media, e le varie piattaforme integrate, portano con sé.
Per l’Advertising Research Foundation l’engagement è “turning on a prospect to a brand idea enhanced by the surrounding context” ovvero attivare associazioni cognitive ed emotive positive che aumentino la rilevanza del brand. Per molti di noi studiosi è la reale partecipazione e non solo l’attenzione esercitata dal consumatore-cliente-interlocutore verso l’impresa-brand-prodotto che lo interessa.
L’engagement in questo ultimo anno è divenuta la parola taumaturgica nel panorama del marketing contemporaneo: se il consumatore è coinvolto, l’impresa avrà la riprova di aver stabilito con lui una relazione di lunga durata (un “fidanzamento”, appunto). L’approccio relazionale innovativo attorno al consumatore-cliente-stakeholder crea così un nuovo valore del brand. Valore determinato dalla qualità, dalla credibilità e dal prodotto, e quindi dell’impresa che lo propone, ma anche dalla fedeltà che questo prodotto di qualità e di successo è in grado di generare. Fedeltà – tradizionalmente – verso se stesso e verso l’impresa, verso la marca e più modernamente verso la comunità, la community, che se ne è fatta portatrice e portavoce.
Questi quattro nuovi trend – che nel master sono fra i più importanti fil rouge che vengono tesi ad interpretare i nuovi modi necessari per fare un marketing e una comunicazione efficaci, oltre che efficienti soprattutto in epoca di crisi – portano i marketer e i comunicatori innovativi a dover creare un sistema integrato brand-media-contenuti che divenga coinvolgente, spesso intrattenimento in se stesso e attraverso se stesso, e a dover creare modi per generare must: dover fare, dover leggere, dover vedere, dover sentire, partecipare, intervenire a qualcosa; per creare buzz (spontaneo e non buzz marketing), passaparola autentico e non pianificato.
Il Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media è tutto questo, e molto di più: lo studio dei grandi trend si deve accompagnare all’elaborazione di strategie conseguenti e di pianificazioni simulate e concrete su progetto. Finora il Corso ha avuto ottimi risultati, con un placement che si attesta costantemente sul 90% degli inseriti ad un anno dal conseguimento del titolo. Circa il 55% degli studenti ha trovato infatti collocazione nella funzione marketing e comunicazione di aziende, e il 45% nei vari media tv, cinema, web, a confermare l’intuizione iniziale di una proposta didattica e teorico-pratica ambivalente. Una delle possibilità più interessanti offerte a chi frequenta il Master è infatti quella di lavorare, durante il periodo d’aula, su progetti specifici proposti dalle aziende partner e facenti parte del network; in questo modo l’output del lavoro degli studenti potrà poi essere implementato presso le imprese all’interno delle quali andranno a collocarsi più o meno stabilmente. Un florilegio della (entusiastica) viva voce degli studenti può essere rintracciato alla pagina del master.
Da una recente ricerca su questionario volta a comprendere meglio i profili, la provenienza e le destinazioni dei frequentanti il Master di tutte le edizioni, è emerso che il 36% proviene dai corsi di scienze della comunicazione, Dams e sociologia, a fronte di un 31% di laureati in economia, insieme al 20% di laureati in lettere e filosofia, lingue, giornalismo, con il 12% di laureati in giurisprudenza e addirittura l’1% di graduate in matematica (che trovano felice collocazione in un’area sempre più ambita della comunicazione, quella del measurement e delle metrics).
I settori di inserimento vedono, primariamente, quello della comunicazione (in tutti i settori industriali) nel 42% dei casi, quello televisivo nel 26% e del cinema nel 14%; il 4% dei titolati è impiegato nelle web companies a fronte di un 1% nelle case editrici e di una pari entità che si dedica alla libera professione. Se, invece, guardiamo alle funzioni ricoperte, il 30% copre ruoli di comunicazione più l’8% specificamente dedicato alle relazioni con la stampa, il 18% si occupa di marketing e il 19% di produzione e redazione televisiva, il 5% si colloca in posizioni di cura editoriale e redazionale, il 4% è nell’amministrazione e controllo di media companies, e il 3% nella produzione video-cinematografica, il 3% nella consulenza, anche legale, il 3% ricopre funzioni legate alle tecnologie web.
Il panorama incrociato dei settori industriali coperti e delle funzioni svolte dimostra la validità di un’impostazione che vede le aree marketing e comunicazione, nonché i complementari e interdipendenti media, strumenti ma anche settori essi stessi industriali, finalmente arrivate nella “stanza dei bottoni” d’impresa. Il ruolo strategico che tali funzioni oggi ricoprono è pertanto convalidato dalla collocazione sempre più pervasiva e diffusa, ed anche apicale, che i suoi manager trovano nelle organizzazioni complesse e meno complesse. Un ulteriore stimolo a portare avanti di pari passo didattica e ricerca in questi campi, senza appiattirsi sulle routine di practitioner seppur abili, ma senza parimenti pensare esclusivamente alle teorie accademiche non suffragate da logiche operative performanti. Un approccio integrato per stare al passo con i tempi nella formazione universitaria e post-universitaria finalizzato alla costruzione, sempre continua, di profili interdisciplinari nelle competenze e multifaceted negli skill.

I temi contenuti nell’articolo possono essere approfonditi, in particolare, nei seguenti volumi:

Cherubini S., Pattuglia S., Marketingcube. Electronic, emotional, experiential, Milano, Egea, 2012, seconda edizione;
Cherubini S., Pattuglia S. (cura di), Entertainment e comunicazione, Milano, Franco Angeli, 2012;
Cherubini S.Pattuglia S. (a cura di), La comunicazione fra reale e virtuale. High tech o High touch?, Milano, Franco Angeli, 2009.
Eventi