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Giovani e comunicazione sociale

23/03/2011

Continua il dibattito sulla comunicazione sociale. Questa volta il focus è sui giovani. _Rossella Sobrero_ illustra tre delle principali criticità che fanno sì che la comunicazione sociale coinvolga ancora poco e con scarsi risultati questa “fascia di pubblico”.

di Rossella Sobrero
Proseguiamo il discorso sul futuro della comunicazione sociale affrontando un argomento apparentemente semplice ma in realtà complesso e soprattutto scarsamente analizzato: il rapporto tra comunicazione sociale e giovani.
Sembra quasi che coloro che realizzano campagne sociali, anche quelle destinate prevalentemente a questo pubblico, non si pongano il problema se la comunicazione riuscirà o meno a raggiungere i destinatari e sarà capace di coinvolgerli.
Ma di quali giovani parliamo?
Naturalmente sono necessarie alcune puntualizzazioni. La prima è relativa all’età: si dice comunemente che una certa iniziativa è destinata ai giovani ma è molto diverso se la campagna ha come obiettivo primario gli adolescenti o se invece la finalità principale è creare un dialogo con giovani adulti.
Una seconda puntualizzazione va fatta rispetto agli obiettivi: diverso è se parliamo, per esempio, di campagne di prevenzione della salute o se ci riferiamo a progetti di sensibilizzazione o di raccolta fondi.
Ci sono però alcune considerazioni di carattere generale che possono valere sempre quando si parla di “comunicazione sociale e giovani”.
Ve ne proponiamo alcune.
1 – I giovani non si sentono una categoria ma si considerano tanti pezzi unici. La comunicazione sociale non dovrebbe quindi essere pensata in modo generico per i giovani ma finalizzata a raggiungere il singolo individuo.
Da una recente indagine realizzata dal Master in Ricerche Qualitative dell’Università Cattolica di Milano per la Fondazione Pubblicità Progresso, emerge con chiarezza il desiderio profondo dei giovani di essere percepiti come individualità con problemi, speranze, attese differenti.
Per chiunque si occupi di comunicazione sociale, ma anche di comunicazione commerciale, questo rappresenta naturalmente un problema: anche se oggi grazie al web si possono articolare meglio concetti e diversificare i messaggi, non è semplice trovare la chiave giusta per agganciare persone diverse che sfuggono (o dichiarano di voler sfuggire) da ogni tipo di classificazione.
2 – La comunicazione sociale assume spesso un tono pedagogico : questo approccio sembra funzionare sempre meno perché i giovani non chiedono di ricevere ordini ma di essere coinvolti e di poter partecipare alla soluzione dei problemi.
Le campagne sociali in Italia utilizzano molte volte un linguaggio drammatico e un tono autoritario: si dice qual è il problema, si cerca di far scattare un meccanismo di colpa, si dice cosa si deve fare ma non si stimola una riflessione critica sull’argomento. La pubblicità sociale può assumere una funzione pedagogica ma bisogna che questa finalità sia il più possibile dichiarata e quindi trasparente.
Anche quando si chiede di passare all’azione lo si fa con un approccio a volte sbagliato comunicando, per esempio, cosa bisogna fare o non fare, insegnando come modificare i comportamenti mentre sarebbe meglio chiedere ai giovani di contribuire a risolvere il problema facendo capire che si ha fiducia nella loro capacità.
Come è noto, in molte campagne sociali manca una call to action chiara e precisa: un problema avvertito specialmente da quei giovani con un livello culturale alto e una maggiore capacità critica.
3 – I giovani sono sempre più crossmediali e _multitasking. _ Per entrare in contatto con loro, la comunicazione sociale dovrà sempre di più utilizzare il web, i loro strumenti, i loro canali.
Tutte le organizzazioni, ma anche le imprese, che vogliono parlare con i giovani devono rassegnarsi: sembra essere quasi inutile – o comunque scarsamente efficace – investire sui media classici. Meglio realizzare iniziative alternative: da progetti che si sviluppano in modo virale in rete a eventi di guerrilla marketing.
Infine sarebbe forse più saggio coinvolgere i giovani nella realizzazione della campagna piuttosto che accorgersi, a campagna fatta, che i messaggi e gli strumenti non sono quelli giusti per raggiungere un pubblico (o meglio tanti pubblici differenti) che si riconoscono solo nel loro gruppo, in tribù sempre più trasversali, che cambiano in funzione dell’interesse del momento.
La soluzione del problema è complessa ma non impossibile: bisogna però avere la capacità di coinvolgere concretamente i giovani (non solo ascoltare cosa dicono) e l’umiltà di considerare la loro collaborazione indispensabile.
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