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Giovani e lavoro: più comunicazione tra scuola e mercato

07/02/2012

I recenti dati Istat hanno messo in luce una situazione dell’occupazione in Italia piuttosto preoccupante: non tanto per la contrazione del mercato del lavoro quanto per il tasso di disoccupazione giovanile. Il problema va affrontato ma per farlo concretamente occorrono una nuova logica di stampo meritocratico ed una preparazione che parta dalla scuola e dall’università. La riflessione di _Daniele Salvaggio._

di Daniele Salvaggio
Scorrendo gli ultimi dati Istat annunciati qualche giorno fa, si rimane colpiti non solo e non tanto dalla diminuzione ormai fisiologica del tasso di occupazione, quanto soprattutto la contrazione del mercato del lavoro per quanto riguarda il mondo dei giovani. Il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 31%, questo vuol dire che un giovane su tre, potenzialmente abile ed arruolato per il mondo del lavoro, è in realtà senza impiego. Le reazioni da parte dell’Ue non si sono fatte attendere anche perché è vero che nel nostro Paese si è sempre fatto molto poco a sostegno dell’occupazione giovanile, è altrettanto vero però, che si tratta di un problema internazionale, reso ancor più evidente dal momento di crisi in cui versano le principali economie mondiali.
Al di là quindi di interventi urgenti, sollecitati anche in una lettera inviata dal Presidente della Commissione Europea, Barroso, ad otto Paesi dell’Eurozona, tra cui l’Italia, indispensabili per aprire dei varchi verso un mercato del lavoro che continua a non avere e dare fiducia, serve una nuova cultura, un modello di valorizzazione che metta in cima la meritocrazia, la flessibilità e premi la determinazione di chi crede nella propria professione.
Oggi vi è una forte discrasia tra ciò che viene insegnato nelle scuole, di qualsiasi livello e grado, e ciò che invece il mercato del lavoro richiede: quello che oggi sembra percepito come straordinario, come un lusso, in realtà rappresenta uno stato di diritto. L’articolo 1 della nostra Costituzione parla chiaro: l’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro.
Oggi invece ci troviamo una situazione imbarazzante dove da una parte le università preparano flotte di studenti a vivere un mercato del lavoro che è solo teorizzato, totalmente empirico. Manca la comunicazione tra scuola e mercato, manca l’orientamento e la spinta propulsiva verso quei valori fondamentali nella vita di ciascun individuo, valori come la crescita per merito, politiche di indirizzo verso la formazione, la flessibilità, la valorizzazione di chi con tenacia e passione crede in quello che fa. Bisogna farci carico soprattutto di sovvertire quell’atteggiamento molto italiano dove il clientelismo, dove la “segnalazione”, dove il favoritismo, rappresentino la regola, lo status quo di un mercato globalizzato che non è più in grado di rimanere seduto secondo vecchie logiche di baronato.
Le imprese parlano di competitività, di sgravi fiscali, di incentivi agli investimenti, forse sarebbe importante che introducessero anche politiche che agevolino l’ingresso dei giovani e soprattutto che li formino, che permettano ai più meritevoli di crescere secondo logiche meritocratiche. Al contempo è fondamentale che il sistema scuola prepari i giovani ad un mercato reale, un mercato che non si trova scritto sui libri, un mercato fatto di decisioni rapide ed interventi coraggiosi, un mercato che è ancora troppo condizionato da un establishment vecchio stampo, un mercato che ha bisogno di gente che vuole sporcarsi le mani, un mercato che ha bisogno di creatività, di vivacità, di azione, di esperienza.
Per permettere al nostro Paese di guardare in prospettiva e pensare alla nuova classe dirigente, è indispensabile cercare di superare certi limiti, particolarmente evidenti in Italia, visto che continuiamo ad essere guidati da management old style, e provare a rispolverare valori nuovi, in grado di aprire opportunità e spazi professionali verso giovani che non hanno perso la voglia di lottare, la passione verso il cambiamento, ma sono solo frenati da un anacronistico senso di stagnazione che in un’economia globalizzata non può continuare a sopravvivere.
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