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Giù le mani dalla responsabilità sociale

11/01/2005

La csr... solo immagine? Chi guida la csr nelle imprese? Da VITA un articolo di Toni Muzi Falconi

La Global Alliance è una sorta di 'Nazioni Unite' della comunicazione che comprende 65 associazioni nazionali di altrettanti Paesi in rappresentanza di quasi 350 mila professionisti. Le sua visione dichiarata è 'una professione - una voce', e le sue attività si focalizzano prevalentemente nella definizione e diffusione a livello globale di linee guida condivise su tematiche ove più facilmente si intrecciano i comportamenti professionali con l'interesse pubblico. Dopo essere riuscita nel 2003 a fare approvare ai soci un protocollo etico globale in cui si sostiene fra l'altro che, in un conflitto fra interesse del datore di lavoro e quello pubblico, il professionista è tenuto a privilegiare quest'ultimo, la Global è impegnata dai primi mesi del 2004, in un intenso e acceso dibattito sulla connessione fra la responsabilità sociale dell'impresa e le relazioni pubbliche.Sul sito associativo (www.globalpr.org)  è possibile leggere una bozza intermedia del gruppo di lavoro che ci lavora dal mese di Febbraio e che è guidato dallo statunitense John Paluszek, Senior Counsel della Ketchum -cui hanno partecipato professionisti ed accademici volontari australiani, sud africani, canadesi, italiani e britannici- insieme alle repliche polemiche, finora italiane e britanniche.L'impegno è di arrivare alla stesura di un documento definitivo entro Gennaio, che a sua volta sarà sottoposto all'approvazione delle 65 associazioni che compongono l'organismo.Alla base della discussione è la risposta alle domande:°A chi 'appartiene' nell'organizzazione la responsabilità sociale?°Chi definisce le politiche? °Chi le attua?°Dove si collocano le relazioni pubbliche (comunicazione)?Tutte le ricerche fin qui realizzate nei diversi Paesi (per l'Italia rimandiamo il lettore al recente libro edito da Franco Angeli a cura di Nicoletta Cerana dal titolo: Comunicare la responsabilità sociale, ma sono recentissime le ricerche in Uk, Canada e Usa) segnalano una forte crescita della tendenza delle organizzazioni ad affidare la tematica della responsabilità sociale alle direzioni relazioni pubbliche e comunicazione.Per la maggioranza del gruppo di lavoro che ha steso la prima bozza della ‘policy' della Global, questa tendenza va accolta con favore e stimolata…anche se riconosce che la materia è diversa dal solito e quindi segnala la necessità per i comunicatori di acquisire nuove competenze specifiche.
Per i critici, al contrario, questa tendenza è rischiosa per due ragioni:a)  perché 'dà ragione' a quei critici che rimproverano alle imprese il fatto che le loro politiche di responsabilità sociale vanno a tutti gli effetti considerate azioni di relazioni pubbliche o, peggio ancora, di 'immagine';b)  perché 'scaricando' la tematica sulla funzione delle relazioni pubbliche, l'organizzazione perde il maggiore vantaggio di una auentica politica di responsabilità sociale: la trasversale diffusione interna di una cultura organizzativa che mette al centro dell'impresa i suoi sistemi di relazione con gli stakeholder e con i pubblici influenti.Per quanto riguarda il nostro Paese e leggendo con attenzione il libro di Cerana, emerge dalla indagine sui direttori della comunicazione di 12 aziende 'best in class' la confusione fra la responsabilità delle politiche e dei programmi e la responsabilità della comunicazione di queste politiche e di questi programmi.Così come dalla ricerca qualitativa di Sda Bocconi riportata nello stesso lavoro, imperniata su cosa ne pensano il settore pubblico e quello non profit delle attività di responsabilità sociale delle imprese, emerge un forte senso di sfiducia dovuto al fatto che queste attività vengono esplicitamente vissute come di 'immagine'.La situazione non è diversa negli altri Paesi.Insomma, quanto più le politiche di responsabilità sociale delle imprese vengono delegate alle relazioni pubbliche, tanto più la questione tenderà a diluirsi insieme a tutte le altre attività comunicative ed a perdere la forza della sua specificità.Quanto più, al contrario, le imprese considereranno la responsabilità sociale come politica trasversale che coinvolge e attiva ogni funzione aziendale e quanto più la responsabilità di questa politica verrà assunta in prima persona dal capo azienda o dal consiglio di amministrazione, tanto più la società potrà intrecciare relazioni efficaci con le imprese e i loro comunicatori potranno orientare le proprie importanti attività a comunicare, con modalità dialogiche e pull, i comportamenti effettivi delle imprese per le quali lavorano, anziché - come fanno oggi con modalità persuasive e push - le intenzioni e le promesse di queste.Mentre alcuni sostengono che la moda della responsabilità sociale sia una straordinaria opportunità per i comunicatori di assumere maggior ruolo in azienda e che convenga quindi cogliere la tendenza finché c'è… altri pensano che impedire la trasformazione della responsabilità sociale in una operazione di immagine, diffondendone le valenze trasversali interne orientate allo sviluppo di sistemi di relazione con tutti i pubblici influenti, aiuti il relatore pubblico a  svolgere un ruolo strategico che oltre ad essere tradizionalmente comunicativo, assume anche connotazioni educative e comunicanti poiché trasferisce a tutte le funzioni aziendali competenze che consentano loro di dialogare direttamente con i rispettivi pubblici influenti.Per i sostenitori di questa seconda posizione occorrerebbe anche che qualche organizzazione (Vita?) si assumesse il ruolo di watch-dog, vigilando sui comportamenti effettivi delle organizzazioni e verificandone la coincidenza con la loro comunicazione (oggi non lo fa proprio nessuno, né consumeristi, né ambientalisti, né giornalisti)… è quello che gli anglosassoni chiamano 'walk the talk'….fai quello che affermi…; mentre i professionisti migliori - anche (ma non solo) per non venire additati in  negativo dal watch dog - potrebbero sforzarsi di usare i maggiori poteri interni raggiunti per spingere le organizzazioni a ‘talk the walk'… dire quello che fanno, dialogando con - anziché comunicando a - i loro pubblici influenti.Toni Muzi Falconi
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