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Ha vinto la tv, non la politica

16/11/2012

Una dimostrazione di forza ma nel contempo di debolezza che ha messo in luce la subalternità della cultura politica alla cultura televisiva. La riflessione di _Mario Rodriguez_ sul confronto dei candidati alle primarie del PD su Sky.

di Mario Rodriguez
Quella che ha vinto lunedì sera è la tv, o meglio Sky. La televisione si conferma monopolista della visibilità con Sky, il broadcaster commerciale a pagamento, che fa servizio pubblico. E già qui c’è una valenza ambigua. L’aspetto positivo è che ha vinto una tv (privata) che si propone come servizio pubblico, che si dà regole per non scivolare sull’intrattenimento puro e semplice, una tv che supera la logica dell’infotainment, del talk-show. Ma è pur sempre una tv commerciale.
Il campo mediatico televisivo dimostra ancora una volta la sua potenza verso gli altri campi di potere che compongono la società e il campo politico in particolare: come spiegò Pierre Bourdieu agisce, cioè, come un campo magnetico più potente che, avvicinandosi a uno più debole, ne deforma l’influenza sul sistema e modifica le forze che all’interno determinano il disporsi dei soggetti.
L’altra sera ne abbiamo avuto un’ulteriore conferma. E per di più in salsa italiana quella dominata per anni dal monopolio dei partiti sulla tv (Rai), poi dal duopolio sempre politicizzato (Mediaset Rai) e oggi caratterizzata dalla presenza anche di un soggetto commercialmente “puro” che diventa il campione delle libertà e della democrazia. Unico luogo al mondo in cui il gruppo Murdoch svolga questo ruolo. Anche questa è un’eccezionalità tutta italiana. E dovrà essere oggetto di riflessione il fatto che Sky possa permettersi quello che gli altri broadcaster non possono.
La tv modifica le logiche di emersione dei leader, plasma le carriere, modifica le abilità necessarie per affermarsi in un cursus honorum sempre più sotto i riflettori, di fronte alle telecamere e sulle piattaforme multimediali.
Ma, e questo mi pare l’aspetto problematico, l’altra sera il confronto in tv ha dato una certa rappresentazione falsamente oggettiva della politica in forma di quiz. Un discorso politico che rimane lontano sia dall’approfondimento delle scelte da compiere in termini di politiche pubbliche, sia dalla capacità di generare sentimenti motivanti, narrazioni. In realtà abbiamo assistito alla recita di “se fossi presidente” e questa recita è abbastanza lontana dai problemi e dai dilemmi che chi sarà chiamato al governo dovrà affrontare.
La cultura politica italiana (di una sua parte consistente) ha mostrato su Sky in maniera ambigua sia la sua forza, mettendosi coraggiosamente in gioco (ma poteva fare diversamente?), sia la sua debolezza, arrivando con il cappello in mano davanti al potere televisivo giornalistico.
Il format era dominato più dalle regole della tv e meno dalle esigenze del discorso politico, dal suo linguaggio, dai suoi tempi. Probabilmente chi è andato a trattare le regole del format aveva meno cultura televisiva degli organizzatori e ne ha subito le impostazioni. Così, le esigenze dell’illustrazione delle idee politiche sono state sacrificate dalla media logic. E ricordiamoci che i media sono un potere che non è esposto a nessuna forma di legittimazione democratica. Uno dei poteri meno regolati in Italia dove il controllo esercitato dalla libera competizione sul mercato delle audience e della pubblicità agisce in modo distorto.
Con il primo confronto tv dei candidati alle primarie emerge quindi una certa subalternità della cultura politica alla cultura televisiva. D’altronde è un problema che ci portiamo dietro dalla fine degli anni ‘70. Non aver capito la rivoluzione che avrebbe indotto nelle nostre forme di vita la presenza di questa nuova tecnologia ci ha fatto entrare in quella fibrillazione che ancora non sembra chetarsi.
Fonte: MR blog
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