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Dialogo tra politica, cittadini e addetti ai lavori per cogliere le opportunità della e-mobility

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17/06/2024

Giuseppe de Lucia

Il mondo dell’energia e dell’automotive sono al centro di una trasformazione importante. Il ruolo di Stefano Roberto, Responsabile Relazioni Istituzionali di Motus-E, è quello di farne comprendere le implicazioni e coglierne le opportunità.

Stefano, ti occupi di Relazioni Istituzionali per Motus-E. Ci spieghi quale la missione della vostra associazione?
Tutto nasce nel 2018 dalla volontà di cinque di soci fondatori che hanno voluto dare vita ad un luogo in cui il mondo automotive e quello energetico, che fino a quel momento avevano spesso viaggiato su binari paralleli, potessero confrontarsi e dialogare in vista dell’avvento della mobilità elettrica. Oggi rappresentiamo oltre 100 tra associati e partner lungo tutta la catena del valore della e-mobility e recitiamo un ruolo chiave per accompagnare l’Italia nel processo di decarbonizzazione dei trasporti, garantendo un continuo flusso di dati e informazioni a supporto di addetti ai lavori, politica e cittadini. Quello che ci proponiamo è di fornire un quadro informativo a 360 gradi con l’obiettivo di far comprendere tutte le implicazioni della transizione in atto e funzionale a coglierne le opportunità.

Come può essere promossa una transizione efficace verso la mobilità elettrica, garantendo al contempo la sostenibilità ambientale e la competitività economica per l'industria automobilistica?
Credo fortemente nella triade inscindibile di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e questo è l'approccio che anche come Associazione portiamo avanti. Se da un lato, infatti, la sostenibilità ambientale è alla base di questo processo di transizione, i possibili riflessi e le opportunità a livello sociale e industriale dipendono dalle diverse scelte di policy adottate per accompagnarlo. In Italia stiamo assistendo a una contrazione della produzione automobilistica da circa tre decenni e lo sviluppo tecnologico dell’elettrificazione, megatrend globale inarrestabile, può essere un’occasione di rilancio per la filiera nazionale della componentistica. Sarà però decisivo riuscire a cavalcare la transizione invece di subirla e credo che su questo si possa e si debba fare ancora molto, in primis adottando un approccio di maggiore pragmatismo e sostegno alla riconversione delle aziende italiane. Dovremmo avviare un cambio di paradigma in questo senso e muoverci dal noto approccio di "neutralità tecnologica" verso quello di "pluralità tecnologica". Se neutralità tecnologica vuol dire infatti abdicare alla guida della transizione, pluralità tecnologica significa riportare il metodo scientifico al centro del processo decisionale, per impiegare le risorse disponibili nel miglior modo possibile. I trasporti sono un ecosistema articolato, spaziano dalla micromobilità urbana agli aerei, e non può esistere una sola formula per la decarbonizzazione. È proprio in un ambiente come questo che il principio della pluralità tecnologica può fare la differenza, consentendo di sfruttare al massimo tutte le tecnologie a disposizione, utilizzandole negli ambiti dove sono più efficaci, sotto il profilo economico, sociale e ambientale. Per il trasporto su gomma l’elettrificazione ha già dimostrato ampiamente di essere la soluzione migliore. La pluralità tecnologica è questo: un approccio razionale e scientifico alla decarbonizzazione, che punta a traguardare l’obiettivo finale senza disperdere risorse preziose e perdere tempo.

Quali politiche pubbliche possono essere implementate per incentivare l'adozione diffusa dei veicoli elettrici e ridurre le barriere all'entrata nel mercato per i produttori di veicoli elettrici?
Appare sempre più evidente che per un corretto e positivo sviluppo della mobilità elettrica è necessario che il mercato dei veicoli cresca e sia supportato alla pari di quello delle infrastrutture di ricarica. In questo senso, in Italia sono stati predisposti una serie di strumenti incentivanti per supportare e facilitare questa transizione, sia lato infrastrutture di ricarica che per stimolare la domanda di veicoli elettrici, ma abbiamo scontato una carenza nel coordinamento e nella programmazione temporale delle diverse misure messe in campo. La condizione di incertezza in cui si trova oggi chi vuole acquistare un’auto elettrica dipende molto dal funzionamento di tutti questi incentivi e questo clima si riflette a cascata anche su tutta la filiera. Mentre in altri Paesi europei è possibile avere una prospettiva chiara e soprattutto a lungo termine sul funzionamento dei meccanismi incentivanti, in Italia il quadro normativo è stato modificato quattro volte dal 2020 ad oggi e si è spesso assistito ad annunci di imminente modifica dell’Ecobonus a cui non è seguita una rapida attuazione della misura. Per questo secondo noi è indispensabile garantire la massima chiarezza e prevedibilità della normativa. Proprio su questo, come Motus-E stiamo lavorando a una proposta di revisione dell’attuale impianto normativo sulla deducibilità fiscale delle flotte aziendali a zero emissioni che è in attesa di aggiornamento da circa 30 anni.

A che punto siamo nel nostro Paese in questo processo di transizione verso questo nuovo modello di mobilità?
Il mercato italiano sconta in questo momento un ritardo sull’elettrico rispetto agli altri grandi Paesi europei, con una market share del 3% rispetto al 12% medio Ue (dati al 31 marzo 2024). Pesa particolarmente, come detto, il ritardo tra l’annuncio dei nuovi incentivi e la relativa attivazione, che per quasi sei mesi ha fisiologicamente congelato le intenzioni di acquisto degli automobilisti. L’importanza di fare chiarezza è sotto gli occhi di tutti e i dati di mercato lo dimostrano chiaramente. Ad esempio, chi punta il dito su presunte carenze infrastrutturali sbaglia, perché i dati ci indicano che in rapporto alle vetture puramente elettriche circolanti abbiamo più punti di ricarica a uso pubblico di Paesi come la Francia la Germania. Stesso discorso per il rapporto tra costo dei veicoli e reddito medio: il mercato italiano non decolla neanche nelle aree dove c’è un reddito medio paragonabile o superiore a quello di Francia e Germania e nel frattempo, siamo stati stabilmente superati in termini di market share anche dalla Spagna (4,6%), che non ha certo un reddito medio superiore al nostro. Bisogna superare urgentemente questo stallo “culturale” sull’elettrico, perché alimenta in Italia una percezione del tutto anomala di quello che sta accedendo a livello globale con potenziali impatti anche  sulla filiera industriale.

Quale è la difficoltà maggiore nel tuo lavoro quando ti confronti con le istituzioni?
Rappresentando la filiera a 360 gradi si può immaginare quanti siano i temi che quotidianamente analizziamo e conseguentemente le possibili ricadute in ambito istituzionale, normativo o regolatorio. Innanzitutto, c’è un grande lavoro di mappatura per individuare i diversi interlocutori per le singole tematiche che comporta, a seconda del caso, un differente approccio narrativo e un diverso grado di dettaglio e tecnicismi. Questi ultimi rappresentano spesso una sfida in quanto i temi affrontati sono in molti casi particolarmente tecnici, per cui c’è necessità di una corretta e doverosa attività di sintesi e semplificazione. Un secondo aspetto a mio avviso particolarmente significativo è riuscire a trasmettere e a dare una percezione concreta di quante realtà industriali investano già oggi nella mobilità elettrica in Italia e quante di queste siano addirittura leader di mercato a livello europeo. Pensiamo, ad esempio, alla costruzione delle infrastrutture di ricarica, in particolare quelle ad alta potenza, settore in cui il nostro Paese rappresenta una vera e propria eccellenza a livello internazionale.

Una tua riflessione sulla regolamentazione delle attività di lobby.
Se l’attività di lobbying fosse uno sport avremmo sicuramente la necessità di chiarire meglio quali siano le regole del gioco: qual è il perimetro di azione, quali sono i giocatori coinvolti, chi è l’arbitro? Oggi in Italia i confini di queste ovvie e giuste puntualizzazioni sono ancora troppo vaghi, per questo credo innanzitutto sarebbe necessario descrivere con precisione i soggetti coinvolti nell’attività di lobbying. Si sono fatti grandi passi avanti negli ultimi anni sulla formazione e professionalizzazione di questa attività e anche per questo credo sia giusto riconoscere e certificare chi svolge correttamente e pubblicamente il proprio ruolo all’interno del processo decisionale. Poter rappresentare e raccontare il punto di vista delle parti coinvolte e adottare un approccio partecipato dove la consultazione pubblica sia obbligatoria rappresentano tasselli fondamentali di un processo democratico a supporto del decisore pubblico nel compiere una scelta quanto più consapevole possibile.

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