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I quotidiani hanno gli anni contati

04/09/2006

2043: questa sarà la data in cui verrà stampato l'ultimo giornale. La cover story dell'Economist della scorsa settimana torna sulla crisi della carta stampata e della pubblicità nei quotidiani, ma questa volta con toni più allarmistici che mai.

La carta stampata in passato ha influenzato le decisioni dei governi, delle grandi aziende e ha dettato l'agenda degli altri media. Un esempio per tutti: il Washington Post che con gli articoli dei reporter Bob Woodward e Carl Bernstein nel 1972 causò le dimissioni del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon.Negli ultimi anni, lontani i tempi gloriosi, i giornali, sofferenti più degli altri media per l'avvento di Internet, sono diventati una specie protetta e la loro capacità di finanziarsi, ovvero di raccogliere pubblicità, è in crisi. Da tempo la loro circolazione era in calo negli Stati Uniti, in Europa, in America Latina, Australia e Nuova Zelanda, ma dopo l'avvento di Internet è arrivato il disastro. Una vera sentenza di morte sostiene Philip Meyer nel suo libro "The vanishing newspaper", in cui ha calcolato la data di morte dei quotidiani: il primo trimestre del 2043. E Rupert Murdoch, che una volta li ha descritti come il fiume d'oro dell'industria della comunicazione, l'anno scorso ha detto che alcuni fiumi, a volte, si prosciugano.
Al momento i giovani, soprattutto quelli tra i 15 e i 24 anni che passano molto tempo al pc, finiscono per non acquistare più giornali ma per leggere le notizie in rete. E gli inserzionisti dirottano i loro investimenti sui siti internet, ormai più visibili della carta stampata. Questa crisi è destinata a peggiorare e corrisponderà a una perdita di posti di lavoro. La tendenza è confermata dai dati della Newspaper Association of America: tra il 1990 e il 2004 il settore dei quotidiani ha perso il 18% degli occupati.E per rimediare cosa fanno i giornali? Cercano di abbattere i costi tagliando gli investimenti, impoverendo così sempre di più un prodotto che già si vende a fatica. Conseguenza dell'impoverimento è la caduta di qualità: molti più servizi di costume e spettacolo, ritenuti più attraenti e facili per i lettori rispetto alla politica estera, e finanziamento della free press, che ricicla posti di lavoro, ma non offre approfondimenti. I giornali rischiano così di perdere il ruolo importante che hanno sempre avuto nel sistema democratico. C'è preoccupazione in America nelle scuole di giornalismo e in alcuni think-thank che in un futuro senza carta stampata ci possa essere più impunità per politici e aziende disonesti a causa dello sbriciolamento del quarto potere.
Forse gli effetti non saranno gravi come previsto ma saranno i quotidiani più grandi e prestigiosi di ogni paese a sopravvivere aumentando i prezzi di vendita per arginare le cadute pubblicitarie e per continuare a offrire inchieste di qualità e quegli approfondimenti che li diversificano rimarcando il loro valore rispetto agli altri media. In opposizione alle difficoltà della carta stampata c'è però una maggiore circolazione di informazione tra i cittadini, avendo la rete aumentato a dismisura le occasioni di ricevere notizie da diverse fonti. Sono così nate schiere di bloggers e nuove figure di cittadini-giornalisti,che documentano fatti pubblici con il limite della prevalenza di notizie locali e di punti di vista troppo personali.
Altra possibile evoluzione, già sperimentata in USA, sarà un giornalismo di alta qualità finanziato da organizzazioni no-profit. In conclusione, secondo le previsioni dell'Economist, una élite di seri giornali acquistabili e consultabili dovunque attraverso la rete, un giornalismo indipendente sostenuto da gruppi no-profit e migliaia di bloggers e bene informati cittadini-giornalisti, potranno continuare a essere tutti insieme quello che Henry Miller nel 1961 sosteneva dovesse essere un buon giornale: la voce di un paese che dialoga con se stesso.
N.C.
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