Redazione
Reporter, supporter, activist o Thought Leader: come hanno comunicato i CEO durante il lockdown? Una recente ricerca di Pubblico Delirio rivela quali sono stati gli approcci che i leader delle più grandi aziende che operano in Italia hanno adottato durante il lockdown, a partire dall'analisi quali-quantitativa dei contenuti pubblicati su LinkedIn.
Il digitale rappresenta un alleato sempre più fondamentale per quei Top manager apicali che vogliono essere ed essere riconosciuti come “social leader”, ovvero capi la cui autorità e autorevolezza non derivi solo dal ruolo assegnato dall’organizzazione che guidano ma, soprattutto, dalla reputazione all’interno delle comunità in cui operano. Linkedin, insieme a Twitter, è tra le piattaforme digitali più utilizzate nella comunicazione corporatein sinergia con l’ufficio stampa e gli eventi.
Pubblico Delirio, società di consulenza di reputazione digitale, ha effettuato una mappatura della presenza su LinkedIn dei CEO delle più grandi aziende che operano in Italia e della loro comunicazione durante l’emergenza COVID-19. “Tra banche, assicurazioni e private equity è il settore Finance il più presente, con undici manager tra i primi trenta” - rivela Stefano Chiarazzo, fondatore di Pubblico Delirio e autore per FrancoAngeli del libro “Social CEO. Reputazione digitale e brand advocacy per manager che lasciano il segno”. Importante anche il peso del settore Energy & Utility con 5 manager, mentre i settori Tech, Retail, Pharma e Automotive sono in classifica con due manager.
I 30 leader aziendali più seguiti su LinkedIn hanno mediamente 14.600 follower. Francesco Starace di Enel guida la classifica con 34.000 follower, davanti a Nerio Alessandri di Technogym e Claudio Descalzi di Eni. Poi Marco Alverà di Snam, Luca De Meo di Renault, Luca Dal Fabbro di Inso e Corrado Passera di Illimity Bank. Francesco Pugliese di Conad, Andrea Pontremoli di Dallara e Giampaolo Grossi di Starbucks chiudono le prime dieci posizioni. Tra i Top Manager donna la prima è Silvia Candiani di Microsoft al 22° posto, mentre Fabiana Scavolini di Scavolini e Nicoletta Luppi di MSD Italia occupano rispettivamente il 25° e 30° posto. La Top 30 completa è disponibile su pubblicodelirio.it.
La ricerca ha isolato alcune tendenze e buone pratiche nell’esposizione dei manager su LinkedIn nel periodo del Covid-19:
Velocità di reazione: se soprattutto all’inizio in molti hanno preferito tenere un profilo basso o attendista, c’è chi ha avuto il coraggio di prendere subito una posizione netta, sbilanciandosi con i propri pareri e previsioni;
Frequenza di pubblicazione: mediamente nel quadrimestre marzo-giugno i CEO italiani hanno postato su LinkedIn 20 volte, quindi 5 volte al mese. Il più prolifico è stato Francesco Pugliese di Conad con 62 post, anche grazie ad un ampio uso delle condivisioni;
Tono di voce: rassicurazione, solidarietà, inclusività e positività uniti ad una onnipresente concretezza sono stati il comune denominatore dei messaggi inviati agli stakeholder;
Lunghezza dei contenuti: oltre ai numerosi post al di sopra dei 500 caratteri si nota la ripresa della pubblicazione di articoli long-form su LinkedIn per aggiornare su decisioni e iniziative e per raccontare la propria visione in maniera più articolata;
Narrazione visuale: a fianco delle immagini istituzionali e delle grafiche informative non sono mancati contenuti più caldi dei manager che li ritraggono al lavoro da casa o mentre indossano la mascherina. In pochissimi hanno pubblicato video in continuità;
Pubblicazione di link: la segnalazione di articoli sul sito internet aziendale o su testate generaliste e di settore legati all’impegno aziendale e di registrazioni delle interviste televisive o dei webinar sono state molto presenti sui profili della maggior parte dei CEO italiani.
“Ognuno con il proprio stile, i CEO italiani hanno preso coscienza del loro ruolo di leader del cambiamento sia all’interno dell’organizzazione che verso l’esterno” – racconta Chiarazzo – “Se nei primi mesi si sono focalizzati sulla continuità del business e sul supporto alle comunità in cui operano, nella fase 2 hanno spostato nettamente lo sguardo al futuro proponendo visioni e azioni nella new normality”. Guardando proprio al futuro, la mappatura dei contenuti ha permesso di isolare quattro possibili approcci all’executive communication - non necessariamente alternativi - che i vertici aziendali possono adottare in risposta alle emergenze nazionali o globali. Rispetto alla scelta di spostare il baricentro della comunicazione più sul business o sulle comunità e alla adozione di stili più informativi o più coinvolgenti si delineano quattro profili di social CEO:
Reporter: prediligono una comunicazione più istituzionale, aggiornando gli stakeholder sulle misure adottate e rassicurandoli sulla continuità e solidità del business. Tra le tematiche prevalenti durante il COVID-19 lo smart working, la sicurezza delle persone sul lavoro, i piani di investimenti e decisioni responsabili come il taglio degli stipendi dei manager e il congelamento dei dividendi;
Supporter: focalizzano la loro comunicazione sul supporto concreto alle comunità in cui operano.
Alcuni esempi dalla recente emergenza: donazioni di beni, servizi e denaro; iniziative straordinarie di welfare aziendale; riconversione degli stabilimenti produttivi per la produzione e donazione di strumenti insufficienti come i dispositivi di protezione individuale;
Thought Leader: stimolano e coinvolgono dipendenti e business partner rispetto alla propria visione strategica della new normality e dell’evoluzione che le imprese devono affrontare per imparare e uscire rafforzate dall’emergenza. Tra gli argomenti più trattati negli ultimi mesi sicuramente l’adozione di un “growth mindset” e la trasformazione digitale come evoluzione culturale prima ancora che di competenze e processi;
Activist: prendono posizioni pubbliche coraggiose per il bene presente e futuro della collettività esprimendosi su problematiche sociali e ambientali non sempre necessariamente collegate al business che guidano. Per rappresentare l’impresa in maniera credibile, deve incarnare con i fatti, le parole e i comportamenti il purpose e i valori identitari.
“Mai come in questi mesi si è concretizzato il passaggio dallo storytelling allo storydoing professionale, raccontando praticamente in real time cosa si stava facendo per rispondere all’emergenza” - conclude Stefano Chiarazzo - “Un percorso obbligato che, anche attraverso il digitale, deve entrare nella nuova normalità dei Social CEO, per un impegno costante verso un futuro davvero sostenibile a livello economico, sociale e ambientale”.