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Il fattore umano e il futuro del web

13/05/2013

Il web ci rende liberi o prigionieri? La rete deve essere la destinazione, non il punto di partenza altrimenti si rischia di guardare la realtà senza la possibilità di mettere a fuoco quel che abbiamo sotto gli occhi. Lo sostiene _Andrea Ferrazzi,_ commentando il nuovo libro di _Gianni Riotta._

di Andrea Ferrazzi
Il web ci rende stupidi o intelligenti, liberi o prigionieri di noi stessi, tolleranti o no, aperti oppure ottusi? Dipende da noi. Che in rete viviamo parte della nostra vita. Per informarci, per fare acquisti, per frequentare i nostri amici più o meno virtuali, per discutere di calcio o di politica.
E’ questo il senso dell’ultimo libro di Gianni Riotta ( Il web ci rende liberi, Einaudi Editore), che sarà presentato domenica nell’ambito del Salone Internazionale del Libro di Torino (alle 13.30, Sala Rossa). Il suo è un viaggio alla ricerca di una terza via, alternativa sia all’entusiasmo dei tecno-ottimisti, sia al catastrofismo dei tecno-scettici. E’ un tentativo di mettere al centro della riflessione l’uomo, non la tecnologia.
«Se “partiamo” dalla tecnologia, anziché “arrivare alla tecnologia” – sostiene l’editorialista de La Stampa – restiamo impigliati, come davanti all’illeggibile manuale d’istruzioni di un elettrodomestico. Usiamo il nuovo, come se fosse vecchio, non creiamo nuovi contenuti, ci lasciamo stregare dalla potenza, ma senza l’attrito delle conoscenza restiamo immobili».
Il web, dunque, deve essere la destinazione, non il punto dal quale partire: altrimenti si rischia di guardare la realtà con un cannocchiale capovolto, senza la possibilità di mettere a fuoco quel che abbiamo sotto gli occhi. Che è già, di per sé, materia complessa da analizzare. Da sempre. «La tecnologia – scrive Gianni Riotta – confonde i contemporanei, e anche noi saremo presto schermiti per i nostri abbagli». Serve cautela, dunque. E un approccio che non contempli la linearità: «Ci confondiamo davanti alla rivoluzione della comunicazione online, illusi che tutto avvenga in modo lineare. Dimentichiamo che lo stesso mezzo, usato da protagonisti con storie e culture diverse, offrirà esiti e risultati variegati, spesso opposti, nemici, lontani».
Un atteggiamento, questo, che accompagna ogni rivoluzione delle comunicazioni, ogni innovazione tecnologica: dal grammofono che diventa archivio delle voci familiari al telefono, dai libri che distruggono il sapere ai computer. Fino a internet. Dobbiamo perciò rompere l’ipnosi della linearità e non sottovalutare il potere degli individui. «Credere che ogni mezzo di comunicazione – la stampa, il telegrafo o il web – abbia un “solo possibile uso”, determinato a priori dalla tecnica, esclude il fattore umano, personale, che resta invece il più ricco e sorprendente». Insomma: dipende da noi, dalle persone in carne ed ossa che frequentano quotidianamente gli spazi digitali, con motivazioni, esperienze, speranze e culture assai diverse. «E’ possibile che il web ci renda liberi solo nella misura in cui riusciremo a renderlo libero. Il web ci renderà ignoranti se noi lo rendiamo ignorante. Il web sarà Inferno o Paradiso se a programmarlo saranno Demoni o Angeli. Sarà invece solo umano se a costruirlo saremo noi esseri umani. Bene e Male del web siamo noi».
Scartate le posizioni utopiche e catastrofiste, il libro di Gianni Riotta lascia, volutamente, il conto in sospeso. L’interrogativo del titolo non trova una risposta precisa e definitiva, proprio perché a fare la differenza è la variabile umana. Ed è su questa, e non sul fattore tecnologico, che vale la pena concentrarsi. Come sostiene Tom Chatfield, «siamo sempre noi, in tutta la nostra umanità, a entrare in questi nuovi spazi e a vivere queste esperienze. Ed è solo parlando di tali esperienze con il consolidato vocabolario umanistico di sentimenti, idee e valori che possiamo sperare di «vivere in profondità» nel tempo presente, e di comprendere un futuro in cui la tecnologia medierà e definirà sempre più intimamente cosa significhi essere umani».
Il punto è proprio questo: se il futuro della rete dipende da noi individui, è necessario capire come possiamo trarre il meglio per noi stessi dalla tecnologia, evitando di dare la sua presenza nella nostra vita per scontata. La variabile umana giocherà un ruolo positivo se, e solo se, ciascuno di noi saprà ricavarsi del tempo offline, per pensare senza distrazioni, interruzioni o reazioni immediate. Per evitare di annegare in quel fiume di informazioni sempre in piena che è la rete, abbiamo bisogno di sederci sulla riva senza farci trascinare dalla velocità della corrente. Altrimenti cadremo vittime di quell’amnesia collettiva su ciò che significa davvero rimanere umani di cui parla Andrew Keen. A quel punto, non ci sarà più spazio per la speranza e il velato ottimismo che accompagnano il libro di Gianni Riotta dalla prima all’ultima pagina.
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