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Il futuro è dei makers, gli artigiani del digitale

14/11/2013

Complice la crisi, il futuro di oggi sembra riservare un ritorno al passato. Il digitale ha permesso di personalizzare i nostri strumenti ed i nostri contenuti. Oggi la tecnologia è un fattore culturale, che esprime valori personali e fenomeni sociali. E’ qualcosa con cui ognuno di noi crea “artefatti”. La riflessione di _Gabriele Cazzulini._

di Gabriele Cazzulini
Il futuro è sempre un magnete fortissimo che attrae l’immagine del presente. Questo è ancora più vero oggi quando la crisi presente invoca con vigore un futuro capace di risolvere i problemi di oggi. La tecnologia digitale, che oggi è sinonimo di tecnologia tout court, si esercita a tempo pieno in questa tensione verso il futuro. Ma per un’ennesima ironia del destino, il futuro di oggi riserva un ritorno al passato di ieri. Invece dei soliti futuri fantascientifici, domani – ma già oggi – iniziamo a recuperare idee e pratiche di ieri.
C’è una cultura in particolare in fase di affermazione: la “maker culture”. In sintesi spietata è l’evoluzione digitale e online del fai-da-te. Dopo tutto la continua espansione del digitale ha permesso un’altissima personalizzazione dei nostri strumenti web, dal computer allo smartphone, non tanto nelle tecnologie hardware, che oggi non interessano più come una volta, quanto nell’uso, nei contenuti, nel senso con cui noi comunichiamo attraverso questi dispositivi. Oggi la tecnologia è un fattore culturale, che esprime valori personali e fenomeni sociali. E’ qualcosa con cui ognuno di noi crea “artefatti”.
Ecco il punto: questi artefatti sono sempre meno virtuali e sempre più reali. Qualcosa che una volta era utopia, oggi è diventato realtà, anche nel senso comune: la stampa 3D. Non stampo più il disegno di un prototipo su un foglio di carta. Stampo direttamente quel prototipo costruendolo con materiali plastici attraverso una “stampante” che produce artefatti tridimensionali, tangibili, “veri” e non virtuali. Stamparsi una pistola, che spari proiettili, oppure stamparsi una chitarra dopo averla creata al computer con un design unico, tutto ciò è sempre più realtà. E’ la “maker culture”, la cultura dei produttori.
In Italia si sarebbe tentati di definirla la “cultura del fare”. Ma è un’espressione con troppe attinenze al dibattito politico. Qui non si parla di politica e di ideologia. Si parla di costruire un mondo che nasce in testa, cresce nelle conversazioni social e poi fuoriesce concretamente nella realtà.
Ma sarebbe una svista deleteria accentuare il lato pratico della “maker culture”, il cui slancio d’immaginazione invece ha ispirato celebri visionari ed evangelisti della comunicazione digitale, come Steve Jobs. “Se puoi immaginarlo, puoi farlo”: è la sintesi compiuta.
L’emergere della “maker culture” indica la riduzione delle distanza tra idea ed azione, progetto e realizzazione. E’ una riflessione che si accorda con la creatività e la concretezza delle relazioni pubbliche, che sono sempre in cerca di sintesi tra marketing, comunicazione, contatti interpersonali, aggregazione… non basta la progettazione da sola e non basta il caso pratico da solo.
Servono contenuti reali e oggi, per la nostra professionalità, è possibile emanciparsi dalle forme tradizionali e “generaliste” per creare forme più autonome, originali, creative e adatte alla complessità quotidiana.
Comunicati stampa, eventi, articoli.. tutto ciò può essere rielaborato personalmente, ricreato, condiviso e migliorato socialmente. Certo, servono sempre “frame-work” di riferimento, ma non saranno soltanto “emanazioni” astratte dall’alto di qualche Iperuranio.
Riscoprirsi, nel terzo millennio, artigiani digitali di relazioni pubbliche significa riscoprire il valore del talento creativo personale in un tessuto sociale intessuto di rapporti personali e dove la professionalità, in larga parte, fiorisce proprio nel contributo di ognuno.
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