Come essere più propensi alla gentilezza? Gian Paolo Pinton si pone l'obiettivo di stimolare l'autostima o l'autocritica del lettore per poter misurare il grado di gentilezza applicato nei comportamenti quotidiani in famiglia, al lavoro, in società. La presentazione di Filiberto Tartaglia.
Non mancano certo racconti, storie, ricerche sulla gentilezza. Argomento centrale, oltre che nella narrativa e nella poesia, anche nelle scienze umane. E bene ha fatto Gian Paolo Pinton a citare in esergo Valentina D’Urso, amica prematuramente scomparsa, ordinaria di psicologia generale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova, che ha scritto molto di emozioni e buone maniere. E fa ancora bene l’autore a partire dall’etimologia, perché – come dice Eugène Ionesco – «Contano solo le parole. Il resto sono chiacchiere».
A proposito di parole, quelle di qualsiasi manuale devono essere precise e normative per poter esporre in modo ampio ed esauriente le nozioni fondamentali su un determinato argomento. D’altra parte, per essere la base, il fondamento di una materia, di una teoria o di una tecnica, deve esporne con autorevolezza i principi. Pensiamo al vocabolario, manuale che fissa le buone maniere della lingua che qui potremmo senz’altro equiparare alla gentilezza nella comunicazione interpersonale. In ogni caso, quello di Pinton è «quasi» un manuale – come lui stesso lo propone. L’umile avverbio, parente di /circa/, /più o meno/, /pressappoco/, svolge spesso la funzione di calmierare presunzioni di autorevolezza o autorità di certi verbi intrinsecamente imperativi. Chapeau, quindi, per la moderazione argomentativa.
L’autore aggettiva il suo marketing come non convenzionale, il che mi induce a una riflessione linguistica sul suo antonimo /convenzionale/. Si definisce così un atteggiamento, un comportamento, un giudizio non particolarmente originali, persino banali, ovvi. Certamente, tradizionali. In opposizione, non convenzionale significa perciò diverso, informale, originale, spontaneo. Ed anche innovativo, il sinonimo che mi sembra qui più adatto. Per la verità, non dimentico i precedenti anglosassoni della nice company e quelli giapponesi del kaizen, ma è senz’altro necessario l’aggiornamento di Pinton oggi che la sgarbatezza sembra addirittura diventata promozionale. Anche nel marketing, con la pericolosa conseguenza di alimentare una vera e propria cultura del disservizio (mi permetto, al riguardo, di citare il mio E osano chiamarci clienti, FrancoAngeli, 2008).
Altri chiamano marketing non convenzionale l’insieme delle strategie di maggior coinvolgimento del consumatore, fino a promuoverlo a prosumer. Il valore aggiunto concettuale di Pinton è quello della gentilezza. Vale quindi la pena di allargare la prospettiva del marketing gentile, come fa l’autore che, giustamente, lo propone non solo all’azienda, alla distribuzione, alla ristorazione al turismo, ma anche alla politica e alla famiglia (aggiungerei all’Ambiente, non inteso come ... “ambiente di marketing”). Giusto, anche se gli rimprovero amichevolmente un’eccessiva generosità nel considerarlo materia scientifica. Possiamo limitarci a studiarlo come un insieme di tecniche empiriche e aziendalistiche, la cui dignità concettuale e pratica è certamente fondata sull’economia, la matematica, la statistica, la psicologia e la sociologia. Quanto alla filosofia, meglio considerarla il fondamento di quella cultura umanistica che non può mancare nella sensibilità dei manager. Non fosse altro perché, parlano sempre di “filosofia di marketing”. A loro, in definitiva, e non solo a loro, Pinton manda a dire che la gentilezza è un imperativo morale. Quanto alla pubblicità commerciale persuasiva, la vedrei come una delle componenti della comunicazione tout court. Quest’ultima è un mare magnum che qui è meglio circoscrivere.
Lo si può fare per via semiologica, come hanno fatto parecchio tempo fa tutti quegli studiosi (Umberto Eco, Roland Barthes, Jean Baudrillard, Gérard Lagneau) che alla pubblicità hanno attribuito l’elevato statuto di narrazione sociale, al pari di autorevoli altre come quelle letterarie. Ricordo che la scienza dei segni ha incontrato il marketing almeno dal 1986, quando Philip Kotler inaugurò alla Northwestern University di Evanston gli International Seminar on Semiotics and Marketing. Nel 1992 il Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica di Urbino ha ospitato il terzo di questi incontri. Da quella volta, particolarmente a proposito di qualità del servizio, immagine aziendale, comunicazione d’impresa, si cominciò a parlare anche di gentilezza. Discorso che si coniuga inevitabilmente con quello della bellezza, cioè dell’estetica. Che – mia ferrea convinzione – viene prima dell’etica perché ciò che è bello è anche buono.