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Il non profit? Non un settore ma un valore sociale

25/10/2018

Giulia Pigliucci

In un periodo di conflittualità sociale, il Processo al non profit e la Tavolata ci indicano una strada diversa: che attraverso la drammatizzazione e la convivialità si può attuare un'inversione di atteggiamento ritrovandoci più disponibili all'altro, al non conosciuto, e che il confronto, lo scambio di idee, il dividere lo stesso cibo sia il metodo per una società che evolve in senso positivo e matura socialmente. Il commento di Giulia Pigliucci. 

Un Processo al non profit e una Tavolata romana senza Muri per mutare la narrazione e cambiare i comportamenti in un periodo nel quale l’attacco mediatico è, nei confronti di questo settore, pesante così come il cercare il suo discredito. Nell’ultimo anno questo atteggiamento ha colpito in modo indiscriminato le realtà del Terzo settore, è il caso delle ONG e dei migranti.

I due momenti di sabato mattina a Roma, il Processo al non profit nella Sala Convegni Giubileo della LUMSA e della Tavolata romana senza Muri in Via della Conciliazione, sono parte di un unico pensiero: aiutare da un lato sia gli addetti ai lavori che i principali stakeholder a prendere coscienza di ciò che va cambiato e dall’altro come attuare questo cambiamento, tornando alla solidarietà, al dialogo alla pacificazione tra le persone delle nostre città.

Sia il Processo che la Tavolata nascono da una stessa convinzione che i conflitti e le tensioni sociali possano essere risolti non con lo scontro, ma con un percorso di riconciliazione e di crescita comune. Ce lo insegna, ad esempio, la lezione di Nelson Mandela che una volta uscito dal carcere, invece di cercare la vendetta per ciò che la sua gente aveva subito, scelse la via della mediazione, della conciliazione, della giustizia riparativa.

Il Processo al non profit e la Tavolata ci indicano, in un periodo di conflittualità sociale, una strada diversa: che attraverso la drammatizzazione e la convivialità si può attuare un’inversione di atteggiamento ritrovandoci più disponibili all’altro, al non conosciuto, e che il confronto, lo scambio di idee, il dividere lo stesso cibo sia il metodo per una società che evolve in senso positivo e matura socialmente.

240 associazioni non profit; 60 protagonisti/testimoni/imputati rappresentativi di istituzioni, imprese, società civile, media e ONG nelle tre udienze Milano (3 ottobre), L’Aquila (13 ottobre) e Roma (20 ottobre); 6 ore fitte di argomentazioni con oltre 250 partecipanti, un confronto giocato sul terreno della retorica tra pro e contro dove ogni coppia ha declinato argomenti di accusa e difesa in due round successivi.

Un gioco di ruolo ideato dall’Associazione per la retorica e realizzato insieme a FERPI con il sostegno di Conad, Vita e Fanpage, media partner, il Salone della CSR e Innovazione Sociale a Milano, il Festival della Partecipazione a l’Aquila e la Sala Giubileo della LUMSA a messo a punto con l’Associazione per la retorica, nella convinzione che istituzioni, cittadini, imprese, media siano tutte co-responsabili insieme alle ONG del malgoverno del fenomeno migratorio e non solo quello.

Nel nostro pensiero, un Processo pubblico pro o contro i cittadini, i media, le istituzioni e il terzo settore aiuta a sostituire la banalizzazione, sia quella ‘buonista’ sia quella ‘cattivista’, con un dialogo civile e informato; con un ascolto attivo e continuo; con la comprensione delle ragioni dell’altro; con la ricerca infine di una nuova narrativa orientata a indurre nuovi comportamenti da parte di tutti.

Le tre udienze del processo sono state una sorpresa inaspettata: un tuffo in una realtà che speravamo superata. Come se tutti i nostri interlocutori, e non solo le ONG, non aspettassero che di essere ingaggiati in un gioco retorico che li investisse “ufficialmente” nel ruolo di accusatori per “buttar fuori” critiche e delusioni. Ogni intervento è stato registrato e diventerà materiale prezioso da analizzare.

Il tutto si è chiuso a Roma su via Conciliazione, nel tratto compreso tra via Traspontina e via Rusticucci, con  la Tavolata romana senza Muri, co-organizzata da Municipio I Centro Storico e da FOCSIV – Volontari nel mondo, con promotori FERPI – Federazione Italiana Relazioni Pubbliche, INTERSOS e MASCI – Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani. Un’iniziativa che ben si ricollegava al Processo in quel percorso di volontà di modificare le narrazioni e ritrovare anche le radici dei comportamenti.

Una tavola lunga 270 metri imbandita per 650 persone, abitanti nella città, sedute per un pranzo frugale, offerto dalle organizzazioni, ma condividendo un pensiero comune: che Roma da 2700 anni condivide, integra, include, mescola culture, tradizioni, lingue, storie e cibi, nessuno escluso.

Una città da sempre aperta e accogliente. È questa la sua vocazione, che ci consegna la storia sin dalle sue origini, che le ha consentito di superare lo scorrere del tempo e di essere una delle poche città dell’antichità ancora importanti.

La lunga tavola di sabato, quindi, ha sottolineato la vocazione di Roma di non chiusura verso l’altro, verso chi arriva dalle regioni limitrofe o da luoghi lontani e lo ribadisce con un gesto che da sempre è il segno della condivisione e dell’amicizia: mangiare insieme, dividere il pane. In un luogo unico e speciale dove laicità e spiritualità si stringono simbolicamente la mano e abbracciano il mondo: Via della Conciliazione.

Un progetto che trovava le sue fondamenta su a quanto asserito dalla stessa Emma Bonino nelle sue conclusioni all’ultimo Processo svoltosi a Roma: “il non profit non è un settore, ma un importantissimo valore sociale. Tutti ne siamo responsabili”.

 

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