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Il ruolo strategico delle RP: quale formazione?

14/10/2010

Le Relazioni Pubbliche attraversano una fase storica molto delicata che richiede nuovi percorsi formativi per abilitare alla funzione strategica che la comunicazione gioca nelle organizzazioni. L’analisi del presidente Euprera, _Emanuele Invernizzi._

Quale lo scenario attuale e cosa c’è nel futuro delle Relazioni Pubbliche? La riflessione di Emanuele Invernizzi che apre il nuovo numero del magazine Ferpi sviluppa uno dei temi che sarà al centro del convegno in programma il 16 novembre a Milano presso l’Università IULM dalle ore 9,30 alle 13 cui seguirà un light lunch, in cui verranno presentati i risultati della parte italiana della ricerca dell’ European Communication Monitor che verranno discussi all’interno di una panel composto da autorevoli professionisti italiani e direttori della comunicazione di grande imprese.
di Emanuele Invernizzi
Se vogliamo interrogarci sul futuro della formazione dei professionisti di Rp e comunicazione, bisogna prima di tutto aver chiara l’evoluzione del loro ruolo nelle organizzazioni complesse.
Due eventi a livello internazionale possono aiutarci a cogliere il senso dell’evoluzione in corso. Mi riferisco innanzitutto al congresso Euprera del 2008 in cui è stato analizzato il processo di istituzionalizzazione delle Rp nelle organizzazioni a livello europeo e mondiale. In secondo luogo al World PR Forum del 2010 in cui sono stati messi a punto gli Stockholm Accords, risultato di un’elaborazione volta a precisare i principali contenuti della professione.
Nel congresso Euprera tenutosi a Milano, studiosi e professionisti europei e non solo hanno testimoniato come la comunicazione sia ormai istituzionalizzata nelle organizzazioni. Essa ha infatti raggiunto un ruolo centrale nel governo e per il successo delle imprese, dove i professionisti sono chiamati a contribuire a definire e attuare le strategie d’impresa.
A loro volta gli Stockholm Accords – frutto di un processo di elaborazione complesso cui hanno partecipato un elevato numero di studiosi e professionisti da tutto il mondo – testimoniano il valore e il tipo di contributo che le Rp sono in grado di fornire alla società e alle organizzazioni. Anche da questo importante lavoro di riflessione emerge che i professionisti di comunicazione sono sempre più chiamati a supportare i più rilevanti processi di governance e di management delle organizzazioni.
Verso l’azienda communication oriented
In quest’ultimo decennio sta dunque succedendo alla comunicazione quello che era successo in Italia negli anni Settanta e Ottanta dell’altro secolo al marketing che, da funzione di supporto alla vendita, è diventato un modo di governare e di concepire l’impresa. Le imprese erano diventate, e sono state definite, marketing oriented, a testimoniare l’importanza assunta in quegli anni da quella funzione nell’orientare i comportamenti dell’impresa.
Oggi sembra invece il momento di parlare di azienda communication oriented, a testimoniare che la funzione comunicazione è diventata strategica, avendo assunto un’importanza centrale per il governo e il successo delle imprese. Più concretamente, la sua importanza non consiste solamente nello sviluppo della capacità di ascolto, nell’evoluzione delle attività specialistiche e nel loro governo, ma si manifesta attraverso la partecipazione dei professionisti a tutti i processi decisionali sia a livello di direzione centrale sia delle direzioni funzionali. La ragione di questo importante cambiamento deriva dal riconoscimento dell’importanza delle conseguenze in termini di comunicazione che ogni decisione aziendale comporta.
La presenza del Chief Communication Officer (CCO) nel comitato esecutivo delle imprese si giustifica col fatto che ogni decisione deve essere oggi valutata non solo dal punto di vista delle risorse economiche e quindi del loro impatto finanziario e non solo dal punto di vista del loro impatto e in termini di risorse umane necessarie: ogni decisione deve anche essere valutata dal punto di vista dell’impatto comunicazionale che ciascuna di esse provoca.
Un ruolo nuovo dei comunicatori
Pertanto la differenza nell’approccio definito communication oriented è che la comunicazione assume un ruolo molto importante nel contribuire a prendere e le decisioni aziendali a livello sia strategico sia operativo. Si può affermare infatti che la partecipazione della comunicazione passa “dalla coda alla testa” dei processi decisionali aziendali strategici e operativi. Mentre infatti in passato i professionisti della comunicazione venivano chiamati a comunicare il risultato di decisioni prese da altri, oggi sempre più essi partecipano a prendere quelle decisioni.
Il cambiamenti non sono da poco e richiedono competenze molto più ampie che in passato: si tratta infatti di aggiungere alle competenze tecniche nei vari settori specialistici della comunicazione, competenze manageriali e organizzative, di governance delle imprese e di gestione dei processi; di consulenza interna alle diverse funzioni aziendali e di formazione delle diverse categorie professionali e dei vari soggetti organizzativi.
La missione del professionista diventa in buona parte quella di far in modo che tutte le azioni e le attività svolte dall’impresa, assieme a tutti i soggetti e i processi aziendali, comunichino in modo coerente alla strategia aziendale e ai suoi valori al fine di rafforzare la reputazione dell’impresa e contribuire così al suo successo.
Comunicazione strategica e formazione
Per una formazione adeguata dei professionisti della comunicazione dunque le competenze di base e quelle operative sembrano andare ben oltre quelle specialistiche che caratterizzavano i percorsi formativi per professionisti delle relazioni con i media, della comunicazione di crisi, dei public affair o della comunicazione interna.
Se il ruolo strategico dei CCO infatti diventa quello di influenzare le decisioni aziendali in modo che i loro esiti abbiano un impatto comunicazionale adeguato su tutti i principali stakeholder aziendali, diventano imprescindibili competenze di economia aziendale, organizzative, di economia e gestione delle imprese e di management.
Le competenze di base riguardano sempre i principi della comunicazione efficace e dei suoi effetti ma con una particolare attenzione al fatto che tale concetto è radicalmente cambiato. Si è spostato infatti da tutte quelle iniziative volte a migliorare l’immagine dei prodotti e dell’azienda – pubblicità, media relations, sponsorizzazioni – a quelle volte a rafforzare la loro reputazione – le iniziative volte a migliorare la qualità di prodotti e servizi, a sviluppare la sostenibilità nelle sue diverse dimensioni, ad attivare relazioni per coinvolgere gli stakeholder nei processi aziendali.
Allora per avere un percorso formativo adeguato alle esigenze della comunicazione strategica, bisogna affiancare competenze manageriali a quelle tradizionali della comunicazione?
Quale percorso formativo?
Le competenze di economia e gestione aziendale e quelle manageriali vanno piuttosto integrate, sempre tenendo presente che l’obiettivo del comunicatore è sempre di più quello di influenzare i comportamenti piuttosto che di comunicare l’azienda e i suoi prodotti, facendoli conoscere e possibilmente migliorandone la percezione.
Per esempio sarà molto diverso se i professionisti della comunicazione dovranno semplicemente comunicare un prodotto realizzato in azienda ovvero partecipare alla sua progettazione in modo che sia intrinsecamente comunicabile, dal punto di vista della sua qualità, della coerenza con i valori aziendali, delle aspettative dei diversi stakeholder.
Le competenze di base riguardano i principi della comunicazione efficace, naturalmente nel senso già accennato, cui vanno affiancate competenze economico-aziendali e manageriale che sostengano il professionista di comunicazione nella sua partecipazione ai processi decisionali e nella sua attività consulenziale.
Tra i percorsi formativi accademici che tengano conto dei cambiamenti ricordati esistono interessanti esempi in Italia e in particolare in Europa: ne possiamo ricordare due, che presentano analogie sostanziali ma che appartengono a due settori formalmente diversi.
Mi riferisco al livello master, quindi anche alle lauree specialistiche (tipologia formativa quest’ultima esistente solo in Italia visto che in Europa vengono definite anch’esse master). I due esempi cui mi riferisco sono quelli dei master in Business Administration e quelli che appartengono all’ambito più specifico delle relazioni pubbliche e della comunicazione d’impresa.
Tra i primi è infatti molto cresciuto il numero di quelli che, accanto alla preparazione economico-aziendale, danno una preparazione spesso molto considerevole in comunicazione sia nei settori di base sia in quelli specialistici. Tra i secondi, è cresciuta specularmente l’attenzione ai contenuti di economia e gestione aziendale e di management e all’integrazione tra i due.
Un esempio di formazione
Ferpi, nell’ultimo decennio, ha avviato diversi progetti di alta formazione in relazioni pubbliche e comunicazione d’impresa in partnership con alcune importanti università italiane. Il primo esperimento è stato l’executive master in Relazioni pubbliche d’impresa organizzato da Ferpi, Assorel e Università IULM. Oggi questo modello di percorso e’ all’esame della commissione formazione di Ferpi per valutarne la sua estensibilità ad altri corsi. Altri esperimenti positivi sono stati fatti a Roma, presso l’università Lumsa con il Master su organizzazione e gestione di eventi e a Tor Vergata quello in Economia gestione della comunicazione; inoltre a Salerno, dove dopo la prima edizione nel 2007-2008, e’ ai nastri di partenza il master in management delle relazioni pubbliche, fortemente orientato alla coRporate communication. Altri master potrebbero essere avviati con le università con cui Ferpi ha stipulato convenzioni come l’università di Catania, la statale di Milano e la Sapienza di Roma.
Il percorso avviato con l’executive master in Rp d’impresa è articolato in moduli formativi che vanno da quelli che fanno riferimento alle competenze di base di comunicazione, come la comunicazione interpersonale, a quelli che fanno riferimento ai servizi specialistici come la comunicazione di crisi o quella di prodotto e non ci sono specifici insegnamenti di economia aziendale o di management.
Le competenze necessarie
All’interno di ciascun modulo tuttavia, vengono fornite, perlopiù attraverso studi di caso ed esercitazioni, competenze che potremmo definire “progettuali preventive” utili ad abilitare a progettare iniziative e azioni a elevato contenuto comunicazionale.
Esempi tipici riguardano le competenze di analisi dell’evoluzione delle esigenze degli stakeholder, anche attraverso l’uso dei social media, e di partecipazione consapevole alla progettazione dei prodotti, di interventi per la sostenibilità e di prevenzione delle crisi. In altri termini viene fornita una preparazione non tanto, e certamente non solo, ai tradizionali strumenti di comunicazione ma anche, e soprattutto, a saper contribuire ai processi decisionali i cui esiti rappresentano un’importante fonte di comunicazione.
Le scelte dei professionisti
Per concludere, merita una risposta l’obiezione spesso avanzata al concetto di ruolo professionale e di percorso formativo qui sviluppato. I professionisti di comunicazione sono chiamati a partecipare alle decisioni aziendali non perché sono fortunati ad avere un AD illuminato e sensibile ai temi della comunicazione che li invita ai comitati esecutivi, ma in quanto dimostrano di avere le competenze e le capacità di sviluppare proposte operative e quindi di contribuire alle decisioni cruciali per la reputazione dell’azienda e per il suo successo. Anche la storia ci insegna che non è stata la regina Isabella a offrire le caravelle a Cristoforo Colombo: è stato lui a dimostrare di avere le competenze per meritarsele!
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