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La comunicazione (non) è integrata

09/07/2015

I cambiamenti nel mondo della comunicazione, la crisi, tanto delle imprese quanto della realtà associativa, ma anche uno sguardo al futuro. Sono alcuni dei temi di cui ha parlato Beppe Facchetti, Presidente di eprcomunicazione e già Presidente Assorel, in un'intervista esclulsiva con Ferpi a poche settimane dall'uscita del suo nuovo libro.

Un nuovo libro sulla comunicazione moderna, questa volta mirato alla comunicazione integrata. Una scelta che incuriosisce, perché viene da Beppe Facchetti, una vita nelle relazioni pubbliche, già presidente di Assorel, e autore nel 2009 di una “Guida alle relazioni pubbliche”, edita dal Sole 24 Ore, ormai quasi esaurita.

 

Perché dunque parlare di comunicazione integrata?
Il motivo immediato è casuale, e cioè la necessità di preparare un libro su questa materia in occasione dell’avvio del nuovo Corso “Pubblicità e comunicazione integrata” che svolgo quest’anno, insieme a Susanna Revoltella, al biennio magistrale del Corso di comunicazione pubblica e d’impresa della Facoltà di Scienze Politiche all’Università di Milano. Ma in realtà, questa scelta ha alla base un ragionamento più complesso.

E cioè?
La constatazione che tutto il mondo professionale della comunicazione sta velocemente e per qualche aspetto violentemente incamminandosi verso una maggiore integrazione degli strumenti tradizionali, a cominciare proprio da Pubblicità e relazioni pubbliche. Ormai tutti fanno tutto, con qualche invasione di campo non sempre impeccabile. Ma se prima le agenzie di pubblicità “vendevano” un pacchetto che comprendeva, magari sciaguratamente gratis, qualche attività di RP, ora i grandi gruppi hanno strutturato seriamente un’offerta articolata, e anche le agenzie di RP non disdegnano di accettare incarichi nel campo dell’advertising che un tempo non dico venivano respinti ma neppure venivano proposti. Il mercato oggi è così, esasperato dalla crisi. Per non morire, occorre attrezzarsi per un’integrazione che sta diventando non il futuro ma il presente della comunicazione.

Si spiegano anche così le crisi che hanno colpito le Associazioni di settore?
Certamente si, perché prima Assocom ha pagato il distacco di chi riteneva (sbagliando, ma non è questo il problema) di poter fare da sé solo per una questione dimensionale, all’insegna del “faccio tutto io”, cosa pericolosa nell’Italia che ancora ha complessi e ostilità di fronte alle multinazionali. Poi è toccato alle RP, accartocciatesi attorno all’eterno tema della convenienza (che cosa ho in cambio della quota associativa?), dimenticando il valore politico dell’associazionismo, che è in crisi perché sta vincendo la disintermediazione (lo dico da almeno tre anni), ma andrà riscoperto – in forme nuove, più leggere - proprio di fronte all’aggressione della crisi. Ma certo è quest’ultima che ha dettato tempi e modi di quanto è accaduto”.

Quindi ad esempio la nascita del nuovo gruppo di imprese denominato PR HUB è una risposta a questa dinamica?
E’ certo una presa d’atto di quanto stanno cambiando le cose e il documento programmatico lo dice chiaramente quando sottolinea per l’appunto la necessità di una maggiore integrazione tra le discipline. Vista così, è una decisione persino lungimirante, se non è una scorciatoia e quindi solo una fuga dalle scomode, talvolta paralizzanti ma fisiologiche pesantezze dello stare insieme in un’associazione, mediando tra individualismi che per definizione in una comunità non dovrebbero sussistere.

Tornando al libro, quale è dunque il suo apporto specifico?
Vuole cercare di essere un modo di far vedere che la comunicazione è un’attività che in pochi anni è totalmente cambiata. Se pensiamo che la pubblicità, il settore più importante, si avviava a 10 miliardi di fatturato, ed oggi fatica a stare attorno a 6, abbiamo la dimensione fisica di una rivoluzione. La spesa complessiva in comunicazione, questo è il bello, non cambia. Cambia il mix, e si afferma tutto ciò che è labour intensive rispetto a ciò che è capital intensive. Del resto il below solo in Italia era ancora pochi anni fa secondario rispetto all’above. E’ anche il motivo per cui le RP hanno sostanzialmente retto rispetto alla crisi e la pubblicità quasi no. Ma è partito qualcosa di irreversibile,che conduce proprio all’integrazione. Che non vuol dire generalismo, perché la specializzazione sarà più, non meno, importante nel futuro della comunicazione moderna. Basta pensare alle digital PR e al nuovo modo di fare ufficio stampa. Soltanto sarà tutto più coordinato, con buone prospettive di lavoro e soddisfazione professionale per chi è iperspecializzato da un lato, e per chi sa orchestrare dall’altro.
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