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La comunicazione politica è morta. Viva la comunicazione politica

20/09/2013

Perché la comunicazione politica sta morendo? Di chi o cosa è la colpa? Essenzialmente per incapacità e mancanza di veridicità e coerenza. Lo sostiene _Christian Lalla,_ direttore di _Spinning Politics._

di Christian Lalla
La comunicazione politica è morta. Viva la comunicazione politica. Sembra essere questo l’epilogo della materia oggetto dell’interesse di molti: i politici, prima di tutto, convinti che la comunicazione politica sia la panacea di tutti i mali e che grazie ad essa ogni ostacolo può essere superato ed ogni elezione vinta, con buona pace dei fatti e dei misfatti. Gli studenti, sempre più numerosi in quei corsi di scienze della comunicazione lanciati da Umberto Eco, convinti che lo studio matto e disperato della materia potrà portarli, un giorno, ad essere i campaign manager di “grandi” politici pronti a governare il Paese, inconsapevoli che in Italia, di grande, c’è rimasto solo il Colosseo. I professionisti della comunicazione, chiamiamoli pure spindoctors o consulenti politici, i cui concorrenti non sono certamente individui o strutture aziendali dotate di competenze specifiche, ma troppo spesso il compare, l’amico e il cugino del candidato di turno, se non quelli del suo portaborse personale, spesso a digiuno dei più elementari fondamentali della comunicazione e del marketing. Gli accademici, ancora troppo lontani dalla trincea delle segreterie di partito o di movimento per poter comprendere, sino in fondo, la malattia e il virus che avvolge la comunicazione all’interno del mondo politico.
Ma perché la comunicazione politica sta morendo? Muore per incapacità oggettiva dei suoi rappresentanti a renderla pietra miliare di (ri)connessione tra il mondo politico e istituzionale e l’opinione pubblica. La comunicazione politica manca di una sua definizione specifica nelle redazioni dei giornali, prima ancora che nelle segreterie di partito e nel mondo delle professioni.
Se, infatti, la comunicazione politica si riduce allo “asfaltiamo” di Renzi piuttosto che allo “smacchiamo” di Bersani, cambiamo mestiere! Se la comunicazione politica si avvita su stessa e inizia come un disco rotto a cantare sempre la stessa canzone della presunta “decadenza” berlusconiana, cambiamo mestiere! Se la comunicazione politica accende le luci sull’insulto e il turpiloquio, sulle frasi fatte e gli slogan da bancarella, cambiamo mestiere!
È francamente stucchevole commentare questo genere di comunicazione politica, priva della sua endogena e vibrante energia. Eppure, sarebbe sufficiente partire dalla definizione di notizia di Mario Lenzi, uno dei più noti personaggi dell’editoria e del giornalismo italiano, secondo il quale notizia è qualcosa che la gente è interessata a conoscere e che non conosceva prima. Punto.
Sarebbe sufficiente sostituire alla politica dell’annuncio e delle parole quella dei fatti, perché dire una bella cosa in televisione, alla radio o sulle agenzie di stampa, magari scritta dal nipote di Alessandro Manzoni, per l’occasione ghostwriter, non è sufficiente a (ri)connettere i cittadini alla politica. Anzi. La mancata realizzazione di quanto annunciato enfaticamente a reti unificate fa solo aumentare lo scoraggiamento e l’apatia verso i politici e la politica in generale.
In quest’ultimo caso, mi si potrà obiettare, che la politica dei fatti non spetta ai comunicatori perché prerogativa dei politici, ma sta proprio in questo la genesi del nostro prologo: la comunicazione politica muore ogni volta che veicoliamo un messaggio bugiardo, muore ogni giorno affogata nel mare magnum delle banalità comunicative, muore davanti alla superficialità dei nostri committenti. La comunicazione politica è morta. Viva la comunicazione politica.
Fonte: Spinning Politics
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