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La lobby vince la partita trasparenza

11/09/2009

Dal parlamento al governo il nuovo campo per comunicare le ragioni delle imprese. Due generazioni di lobbisti si confrontano nelle riflessioni dei professionisti: il veterano Beppe Facchetti _«Quando iniziai c'era solo la pubblicità»_ e la giovane Laura Bononcini _«Oggi un grande aiuto da Twitter e Facebook»_.

di Carmine Fotina


Per entrambi il campo di gioco è il parlamento e la tattica vincente è l’elegante arte dell’informazione-persuasione. Anche se tra il primo giorno da comunicatore e lobbista di Beppe Facchetti, classe 1943, e quello di Laura Bononcini, 25 anni, scorre uno scorcio di secolo, un tempo abbastanza lungo per passare dall’agnosticismo delle pubbliche relazioni alla loro consacrazione.


«Sembrerà paradossale, ma in questa lunga fase di crisi la nostra professione può trovare nuovi spazi», esordisce Facchetti, sul fronte dal 1970 e oggi vicepresidente dell’agenzia di comunicazione Epr e dell’associazione delle agenzie di relazioni pubbliche Assorel.
«Quando ho iniziato – racconta – le aziende puntavano solo sulla pubblicità, la cultura delle public relations era molto bassa. Oggi questo rapporto si sta quasi ribaltando: le risorse per i grandi piani pubblicitari si restringono e la gestione di nuove criticità rilancia la nostra professione».


Ne sa qualcosa Laura Bononcini, dal 2007 nel team di lobbisti dell’agenzia Reti. «In effetti devo ritenermi fortunata perché ho iniziato a lavorare nel periodo in cui si diffondeva la crisi internazionale. Ho già i miei clienti, nel settore di internet e delle telecomunicazioni e piano piano credo di aver vinto un po’ di diffidenze che ho riscontrato all’inizio».


Bononcini nasce a Bruxelles da genitori italiani, studia in Francia e negli Stati Uniti, si laurea a 22 anni e alla fine si lascia conquistare dai palazzi romani. «Devo confessare che all’inizio sapevo molto poco del funzionamento istituzionale italiano, poi ho imparato i meccanismi e ho sviluppato un metodo che oggi mi aiuta molto nel comunicare con i politici per conto delle aziende. Tra i miei interlocutori c’è chi resta un po’ sorpreso di fronte a un lobbista donna, ma sto acquisendo la grinta giusta per spazzare via ogni perplessità».
Quasi inevitabile che all’inizio, in una professione in cui l’esperienza è spesso il valore aggiunto, l’ostacolo più grande fosse costituito dall’età. «Quando ho inviato i primi curricula, mi rispondevano quasi sempre con le stesse parole: “Lei è troppo giovane” oppure: “Si è laureata troppo presto”. Ero sempre stata all’estero e mi chiedevo: possibile che in Italia ragionino tutti così? Reti, per fortuna, ha smentito lo stereotipo».


Eppure, per chi comunica ragioni e problemi di impresa e si confronta con i decision makers, il fattore esperienza resta un totem. «Nella mia agenzia puntiamo molto sui giovani – spiega Facchetti – ma entrare subito nello schema mentale del lobbista e costruirsi una rete di conoscenze e contatti di alto profilo richiede tempo, inoltre se fai un errore rischi di compromettere un patrimonio irrecuperabile. Per questo all’inizio impieghiamo le “new entry” sempre in tandem con un senior».
Ma le nuove generazioni, ammette Facchetti, un vantaggio ce l’hanno. «Debuttano in questo campo quando si è già consumata una rivoluzione copernicana nel sistema dei decisori, con un netto trasferimento di potere avvenuto in questi anni dal parlamento al governo. Le nuove leve non hanno bisogno di cambiare registro, sono subito sintonizzate con la nuova realtà».


È difficile risalire a un altro momento come questo nella storia dei rapporti tra lobbisti e decisori, anche per chi come Facchetti ha alle spalle 40 anni di carriera iniziati all’Unione industriali di Torino con la gestione della marcia dei quarantamila, proseguiti con le battaglie della Rinascente per l’apertura dei primi ipermercati italiani e con le campagne delle aziende attive nel nucleare prima che uscissero sconfitte nel referendum del 1987. «Il modo di fare comunicazione è radicalmente cambiato. Puoi anche essere un mago nel seguire l’iter parlamentare di un provvedimento e gestire i rapporti con deputati e senatori, ma se poi arriva il voto di fiducia serve a poco».


Nell’agenda, in breve tempo, si è riscritto l’ordine dei contatti prioritari e nel metodo di lavoro si è passati alla marcatura stretta sui ministeri. «Quando il campo di gioco sono le commissioni parlamentari – è l’analisi di Facchetti – puoi lavorare anche su piccole modifiche, provvedimenti legislativi e micro-interventi che riguardano uno specifico settore industriale o un ambito locale.
Ma se ti confronti con il governo devi pensare più in grande e magari curare di più la trasmissione del messaggio attraverso la comunicazione televisiva e i grandi giornali».


Concetti che Bononcini ha imparato in uno scampolo della passata legislatura e in quella in corso. «E’ vero, il governo sta diventando l’interlocutore più prezioso, ma resta sicuramente meno accessibile».


Cambiano gli interlocutori e cambiano i mezzi. In un’evoluzione seguita passo dopo passo dalla Ferpi, la federazione italiana delle relazioni pubbliche che nel 2010 compirà 40 anni. Con 1000 iscritti, la Ferpi rappresenta un mondo frastagliato, che raccoglie addetti stampa, responsabili delle relazioni istituzionali, esperti nella comunicazione in fasi di crisi, lobbisti nel senso più tecnico del termine. Per tutti, comunicatori di ogni scuola o categoria, la familiarità con i mezzi digitali e con i social network può essere a tutti gli effetti uno strumento di lavoro, altro che vezzo o passatempo.


Beppe Facchetti non disdegna tuffarsi su Facebook, Bononcini crede addirittura che la rete sia una sorta di palco perfetto da cui parlare. «E’ diventata un’attività quotidiana – racconta-. Avvio azioni di lobbying “ripostando” sui blog, posso veicolare su ampia scala un position paper su un provvedimento che sto sostenendo, posso avviare un dibattito e sondare le reazioni di qualsiasi cittadino. Posso incontrare i parlamentari direttamente su Facebook; ho creato un account su Twitter per un mio cliente: è un altro straordinario mezzo di comunicazione in tempo reale».


In fin dei conti è un’altra rivoluzione copernicana, in un inondo in cui la tessitura dei rapporti con gli interlocutori che contano è per definizione un’attività che richiede tempo e pazienza. «Non giriamoci intorno – sintetizza il “comunicatore senior” – il grosso del lavoro sta nel coltivare le relazioni, andare a cena, organizzare eventi. E bisogna farlo soprattutto quando non c’è da perorare alcuna causa o sponsorizzare provvedimenti. Poi, al momento opportuno, tutto tornerà utile.
È anche questione dì carattere, certo, c’è chi è più esuberante, più portato al dialogo, e chi ha più difficoltà. Ma in ogni caso devi sapere sempre come relazionarti, devi conoscere il tuo interlocutore anche oltre la sfera pubblica, prevederne l’umore. Sapere se un politico è interista può tornare utile: incontrarlo il giorno dopo una sconfitta nel derby potrebbe essere fatale».


La generazione di Facchetti e quella di Bononcini si confrontano anche sul terreno delle ambizioni. Il vicepresidente di Assorel sa bene che, negli ultimi trent’anni, una delle grandi novità nel campo delle relazioni tra economia e politica è stata lo spostamento del baricentro dall’Italia a Bruxelles, ma è qui, in Italia, che ha costruito il suo business prima e la fama di filosofo della professione poi, scrittore e docente di relazioni pubbliche all’Università degli Studi di Milano.


La giovane lobbista di Reti a Bruxelles ci è nata e, se potesse, ci tornerebbe volentieri: «I miei amici che si occupano di relazioni istituzionali a livello comunitario mi descrivono una realtà diversa. Sono tutti super specializzati su determinati settori: bastano le competenze e i contenuti per arrivare al politico giusto, non c’è bisogno che qualcuno t’introduca».


E a Bruxelles è già realtà (almeno in parte) quello che da anni in Italia, in un susseguirsi di disegni di legge puntualmente sfumati, è un obiettivo mancato: un registro che regoli l’esercizio della professione. In quasi 60 anni sono stati 27 i progetti avanzati in Italia senza successo, una storia infinita alla quale Il Chiostro, prima associazione di lobbisti italiani in rappresentanza di quasi 100 professionisti, dedicherà un convegno a Roma il prossimo 20 ottobre.


Attualmente in parlamento giacciono tre proposte, dalle quali potrebbe uscire un Ddl bipartisan che disciplini l’accesso da parte di chi si occupa di relazioni istituzionali al parlamento e agli altri luoghi nevralgici dei decision makers. «Credo che un regolamento sia indispensabile – commenta Facchetti – anche se negli anni è stato più volte frenato da interessi contrapposti».
«Dobbiamo allinearci alla mentalità di Bruxelles incalza Bononcini la parola lobbista oggi può e deve essere pronunciata con trasparenza, libera da pregiudizi».


Nel cammino professionale dell’esperto vicepresidente di Assorel c’è tanta gavetta fatta sul campo, ma anche l’insegnamento di chi è stato quasi un guru ante litteram delle relazioni pubbliche: «Per chi ha iniziato a lavorare negli anni 70, Toni Muzi Falconi è stato un buon riferimento, ha avuto il merito d’introdurre il concetto di lobby all’americana».


La generazione della giovane entrata nel team di Reti si ritrova immersa in una professione più stratificata, contrassegnata dai nuovi mezzi di comunicazione, complicata dall’evoluzione continua dei rapporti tra economia e politica. Ed anche eleggere un maître à penser diventa difficile: «Non ho modelli o punti di riferimento – dice Bononcini – il mio testo di culto è il manuale di diritto parlamentare».


La sensazione è che alle nuove leve delle relazioni istituzionali si chieda sempre di più un profilo a tutto tondo: ottima preparazione, aggiornamento continuo, affabilità e capacità di coltivare i rapporti con stile. Anche le università iniziano a proporsi con un’offerta più strutturata; da quest’anno ad esempio la Luiss, su iniziativa dell’Associazione laureati, organizza un master annuale in Relazioni istituzionali, lobby e comunicazione d’impresa.
Forse un altro piccolo passo per sdoganare ufficialmente una professione ancora di nicchia: «In Italia le agenzie specializzate in attività di lobbying – spiega Facchetti – si possono contare su una mano. Resta un’attività molto delicata, che può comunque contare su una buona remunerazione se confrontata agli onorari di aree di business come l’ufficio stampa e l’organizzazione di eventi».


La venticinquenne italo-belga è partita dal basso, con lo stipendio base, ma non sembra preoccupata: «Non temo le gerarchie. Sono convinta che questa professione premi i meriti e i risultati: datemi solo un po’ di tempo».


tratto da Il Sole 24 Ore dell’11 settembre 2009
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