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La rabbia e l’impegno (dopo il dolore per Giulia)

21/11/2023

Marco Sabatini Scalmati

È urgente tornare a educare noi stessi e i nostri figli al rispetto, contrastare la cultura della forza. Non rassegniamoci. Nelle nostre relazioni, continuiamo a credere nel valore delle emozioni ma facciamolo con la consapevolezza che si può, e si deve, chieder conto dei doveri di ciascuno, senza i quali i nostri diritti valgono niente. Il commento di Marco Sabatini Scalmati, socio FERPI e membro della Commissione Relazioni di Genere.

Non riesco. Proprio non riesco a immaginare i pensieri di chi provoca dolore, e arriva ad ammazzare, in nome di ciò che noi chiamiamo amore. Eppure succede. E di fronte all’omicidio di una donna ogni tre giorni che la cronaca ci racconta, non vedo crescere abbastanza l’indignazione, la rabbia e l’impegno. Al contrario, leggo resoconti e racconti espressi con un linguaggio infarcito di biscotti, ultimo appuntamento. vestiti, atteggiamenti… Questi omicidi vengono raccontati con un linguaggio che insinua debolezze umane, limiti caratteriali quasi che le vittime possano avere, e debbano provare, sensi di colpa.  

È grave ma sta accadendo. Per questo penso si debba fare qualcosa. Prima di tutto, iniziando noi uomini a reagire con maggiore determinazione contro atteggiamenti intollerabili, perché è evidente che non si può accettare che degli avvocati insinuino giustificazioni del male fatto contro una donna con il “bene” che provano i loro assistiti verso le vittime. È necessario tornare a educare alla responsabilità dell’impegno civile, verso se stessi e verso gli altri. Amare significa accettare l’altro, meritare la sua fiducia e avere nel caso la capacità, la dignità dico io, di lasciare laddove ci venga chiesto di farlo. Questo significa essere Uomini, con la u maiuscola, qualunque sia il genere nel quale ci riconosciamo. Amare, non possedere e odiare. Dare la vita per gli altri, non toglierla. Ecco, indignarsi oggi penso significhi saper tornare a dare valore e forza alle emozioni e ai sentimenti che ci invitano a lavorare per una società aperta, tollerante, inclusiva e rispettosa gli uni degli altri.  

Farlo per contrastare chi invece con le parole e i gesti continua ad alimentare la diffidenza, l’insicurezza, la paura ad avvicinarsi e a conoscersi, lasciando gli altri liberi di essere e di decidere. 

Farlo per dimostrare di aver imparato dai nostri errori. 

Non saprei dire se rispetto al passato la situazione sia peggiorata. Oggi però il dolore che si prova davanti alle violenze che registriamo quasi in ogni momento della nostra vita è certamente amplificato dai mezzi d’informazione e dai social, e questo dolore fa solo male, a tutti.  

Per questo è urgente tornare a educare noi stessi e i nostri figli al rispetto, perché ognuno di noi è specchio dell’altro, possiede le stesse fragilità ma anche gli stessi sogni e le medesime speranze, e dunque va accettato.  

Contrastare la cultura della forza, figlia di chi pensa solo a sè, che se ne frega degli altri e si avvicina solo per cercare il lato debole dove colpire: per rubarti soldi, tempo, sogni o la stessa vita. Persone che insegnano ai figli: chi mena per primo mena due volte, non si porge l'altra guancia, a casa mia comando io. Con loro non si parla, non si commenta, non si fanno domande.  

E invece bisogna parlare, commentare, fare domande e soprattutto pretendere risposte, perché queste persone vivono accanto a noi, spesso insieme a noi.  

Non rassegniamoci, continuiamo a credere nella forza della cultura e dell’amore, la sola che può arginare la violenza in famiglia, a scuola, nei luoghi di lavoro e di svago. 

Nelle nostre relazioni, continuiamo a credere nel valore delle emozioni che riempiono il cuore, ma facciamolo con la consapevolezza che si può, e si deve, chieder conto dei doveri di ciascuno, senza i quali i nostri diritti valgono niente.

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