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La relazione con i cittadini in tempi di crisi

28/10/2010

Comunicazione, trasparenza e costruzione di relazioni sono gli strumenti a disposizione degli enti pubblici per reagire ai tagli imposti dalla finanziaria, che rischiano di incidere sulla qualità di vita dei cittadini. È uno degli aspetti emersi dall’intervista di _Sergio Vazzoler_ con _Mauro Bonaretti,_ direttore generale del comune di Reggio Emilia e tra i maggiori esperti di management pubblico.

di Sergio Vazzoler
Da una parte l’aumento esponenziale dei conflitti territoriali, la crisi di fiducia verso le istituzioni e la politica, la decrescente disponibilità di risorse, dall’altra la richiesta di una maggior partecipazione e rappresentatività dei cittadini nelle scelte amministrative e la diffusione di tecnologie che favoriscono e alimentano queste richieste: per tentare di districarsi in questo complicato rompicapo, abbiamo chiesto aiuto a Mauro Bonaretti, direttore generale del Comune di Reggio Emilia, tra i massimi esperti di management pubblico e innovazione organizzativa.
La minore disponibilità di risorse quali conseguenze comporta nella relazione tra amministrazione e cittadini?
Tagli così consistenti come quelli che stiamo vivendo in questo periodo mettono a rischio la qualità e la quantità degli stessi servizi che le istituzioni locali hanno sempre garantito ai cittadini. Questo ovviamente non può che complicare e rendere più difficili le relazioni.
Come evitare che questo scenario aggravi ancor di più la conflittualità che caratterizza i processi decisionali sul territorio? Ha ancora senso parlare di “inclusione” e “partecipazione”?
Proprio perché questa situazione di pesante contrazione delle risorse incide sui servizi ai cittadini, è ancor più necessaria la condivisione delle scelte. Questi tagli costringono a ripensare i modelli tradizionali di erogazione dei servizi: diventa sempre più necessario valorizzare quelle parti di società attiva e chiedere loro un contributo concreto come attori delle politiche pubbliche, e questo non può essere fatto senza includerle nei processi decisionali e nelle scelte.
Quali le ricette per sensibilizzare i cittadini ad una maggiore responsabilizzazione nella gestione della cosa pubblica?
E’ necessario agire su due livelli: nel breve e nel lungo periodo. Nel breve periodo si avverte il forte bisogno di creare nella cittadinanza la consapevolezza del momento veramente critico che le istituzioni locali stanno attraversando. I tagli imposti dal governo costringono a ridimensionare la qualità e la quantità dei servizi, e quindi incidono direttamente sulla qualità della vita dei cittadini. Che devono essere informati e preparati adeguatamente. Per fare questo è necessario costruire relazioni strette e costanti nelle quali con trasparenza e senza timore si evidenziano i dati e i conti che sono alla base della situazione attuale. Comunicazione, trasparenza e costruzione di relazioni sono le leve a disposizione.
Nel lungo periodo invece sempre di più sarà fondamentale investire nel capitale sociale e nel ruolo che i cittadini possono attivamente giocare nella costruzione e implementazione delle politiche pubbliche (civicness). Per far questo è necessario intervenire a livello formativo, sin dalla scuola dell’obbligo, e consentire il passaggio culturale dal cittadino-cliente al cittadino protagonista attivo e responsabile della vita della propria comunità.
Il compito di facilitare l’avvicinamento tra cittadini e amministrazione necessita di un investimento in formazione e nuove competenze, soprattutto comunicative. Come si concilia questa esigenza con i tagli alla formazione e alla consulenza nella PA?
Semplicemente non si concilia. L’idea che le spese di consulenza e formazione siano sostanzialmente uno spreco è del tutto sbagliata. In realtà questi sono strumenti fondamentali per innovare e far crescere il capitale umano a disposizione delle pubbliche amministrazioni.
Senza un forte contributo innovativo che consente di ripensare le forme dell’organizzazione e gestione dei servizi diventa molto complicato far fronte ad una contrazione di risorse come quella che stiamo affrontando.
Le nuove tecnologie della comunicazione e, in particolare, il web 2.0 sembrano costituire una formidabile opportunità per i processi di inclusione. Ma i cittadini sono sufficientemente consapevoli nell’utilizzo di questi strumenti?
Le nuove tecnologie dell’informazione sono una grande opportunità, ma ci sono due ordini di problemi da superare perché possano essere sfruttate al massimo delle loro potenzialità.

In primo luogo l’accessibilità di questi strumenti: sia dal punto di vista prettamente fisico, ossia la reale possibilità di accedere alla rete, sia dal punto di vista culturale e generazionale, ossia il digital divide.
In secondo luogo la crescita di una reale cultura di collaborazione fra istituzioni e cittadini: il web 2.0 è uno strumento che consente di avvicinare istituzioni e cittadini e favorisce la possibilità di scambio e cooperazione. Tuttavia se i cittadini, da un lato, si approcciano a questo strumento con fare esclusivamente rivendicativo e le istituzioni, dall’altro, utilizzano gli strumenti della partecipazione e della condivisione in modo strumentale e manipolatorio finalizzato alla costruzione del consenso, questi strumenti perdono gran parte della loro reale utilità.

E’ necessario un salto culturale che ci porti ad abbandonare la vecchia concezione del cittadino-cliente per farlo diventare realmente un protagonista costruttivo della vita pubblica, portatore di competenze che possono davvero migliorare la qualità dei processi decisionali delle istituzioni pubbliche. Uno strumento cooperativo, come appunto il web 2.0, in un approccio relazionale di tipo contrattuale-conflittuale non serve a molto e anzi amplifica i problemi e i conflitti. Se non si investe su questo gli strumenti, per innovativi e ricchi di potenzialità che siano, non portano grandi benefici.
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