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La reputazione è un’equazione, anzi un algoritmo

#MercatoLavoro

02/07/2020

Rita Palumbo

È diventata una parola di tendenza e quindi troppo spesso abusata. La reputazione è un asset per le imprese, che se non è ben governata, diventa un danno ben più gravoso di quello economico.  Rita Palumbo ospita nella sua rubrica l'autore del libro “Reputazione, capitale del Terzo Millennio”, Davide Ippolito.

di Davide Ippolito

Nel maggio del 2017 si è verificato il cosiddetto “British Airways IT Meltdown”, un collasso dell’infrastruttura tecnologica che ha costretto la compagnia aerea a cancellare 726 voli (un quarto di quelli previsti nei tre giorni del disastro), lasciando a terra 75 mila passeggeri. Qualche giorno dopo, l’AD di International Airlines Group Willie Walsh ha stimato il danno per circa 80 milioni di sterline.

Ma come è stato calcolato questo costo? I danni economici diretti sono semplici da valutare, per esempio i rimborsi dei biglietti annullati. Se però riflettiamo meglio, la questione diventa più complessa. Immaginiamo di essere un passeggero British Airways a cui è stato cancellato il volo: cosa faremmo?

Sicuramente chiederemmo il risarcimento del biglietto, ma forse anche dell’hotel in cui siamo stati costretti a pernottare, e potremmo anche valutare di partecipare ad una class action se crediamo che il disastro non rientri nell’alveo delle “calamità naturali”. Di fatto, nessuno farebbe causa a British Airways per un volo cancellato a seguito di un terremoto, ma davanti a un “problema tecnico”, qual è il criterio per cui attribuiamo “la colpa” alla compagnia aerea?

Non solo. Ipotizziamo che British Airways voglia negare la propria responsabilità e si rifiuti di rimborsare il biglietto, oppure che il disservizio avvenga dopo che un nostro amico a sua volta ne avesse lamentato uno con la stessa compagnia, o ancora che la gestione dell’evento sia stata lacunosa e abbia creato ulteriori problemi. In che modo questi eventi messi “a sistema” modificherebbero la nostra percezione dell’accaduto? Per non parlare delle ulteriori conseguenze legate al passaparola.

Se, nonostante il disastro, riteniamo che British Airways si sia comportata in modo ottimale, potremmo a maggior ragione consigliarla, perché́ “anche se succede qualcosa”, ci tutela. Viceversa, se pensiamo che la colpa sia imputabile alla compagnia o siamo stati infastiditi da come ha gestito il problema, potremmo facilmente decidere di non volare più con loro e sconsigliarla a tutti.

Infine, come quantificare il danno subito da British Airways, che ha visto scendere la propria posizione nella classifica del World Airlines Awards dal 26esimo al 40esimo posto? Quanti passeggeri nei mesi successivi avranno scelto un competitor, provandolo magari per la prima volta e modificando di conseguenza le proprie preferenze future? O ancora, come valutare il fatto che, dopo più di tre anni, in questo articolo, stiamo utilizzando proprio quell’evento come esempio di celebre disastro, non solo tecnologico, ma anche reputazionale?

Proviamo a ragionare sugli eventi critici ed approcciamoli in maniera maggiormente scientifica: se non siamo in grado (ancora) di valutare qualcosa, non vuol dire che quel qualcosa non esista.

Un evento critico produce un danno (D), che supera, o addirittura può non prevedere affatto, quello economico (E), cui va aggiunto un altro elemento critico: il danno reputazionale (R) che esula da quello economico, in modo tale che: R = D – E. In questo senso, il danno D sarà dato dall’equazione: D = E + R.

Questo per le aziende  vuol dire due cose:

1. L’investimento di capitali è direttamente proporzionato all’aumento della reputazione (rimborsare totalmente i clienti, o offrire un servizio a 5 stelle investendo capitali, o dare garanzie ai clienti genera capitale reputazionale).

2. Con una solida reputazione, costruita negli anni, possiamo permetterci di monetizzare investendo parte del nostro capitale reputazionale a fronte di un mancato esborso di denaro.

Per un’azienda, di fatto, è come avere due portafogli ai quali attingere, uno nella tasca sinistra e uno nella tasca destra!

Pensiamo ad un altro esempio, apparentemente non congruo. Conosciamo tutti il noto chef Carlo Cracco. Lo chef si è costruito negli anni un solido capitale reputazionale, creando un prodotto eccellente, un’esperienza a 5 stelle, utilizzando materie prime eccezionali, guadagnandosi le stelle Michelin (il più alto riconoscimento in campo culinario) e infine prestando il suo volto alla tv per giudicare altri aspiranti chef. Questo ha generato un fortissimo capitale reputazionale che si è tramutato in capitale economico nel momento in cui ha deciso di monetizzare prestando il suo volto alle patatine in busta o ai menù sui treni. Così facendo, ha perso le stelle Michelin e il suo ristorante storico. Ora può vivere di capitale reputazionale, fino al suo esaurimento.

Quindi possiamo definire la nostra fiducia nelle imprese, nelle persone, nei politici, nelle notizie o nelle informazioni come un grandissimo mercato azionario dove noi non attribuiamo lo stesso livello di Reputazione a qualsiasi soggetto della nostra rete, ma offriamo diversi livelli di fiducia, come in un mercato azionario. Per questo se qualcuno ci dice qualcosa, e per noi quel qualcuno ha valore 1000, la sua opinione varrà per noi più di quella di 999 persone che per noi hanno valore 1. 

Ma come ci costruiamo la reputazione, come persone e come organizzazioni? Con Reputation Rating, l’algoritmo ideato assieme a Joe Casini, abbiamo provato a tracciare una linea scientifica di demarcazione che divide gli asset reputazionali in Driver e Stakeholder.

I Driver sono:

  • Prodotti & Servizi: ovvero la percezione dell’affidabilità dell’offerta;

  • Leadership & Innovation: rispetto e fiducia che infonde il top management – CEO su tutti – e la capacità del management di innovare;

  • Corporate Social Responsibility (CSR): le attività che attingono la responsabilità sociale d’impresa, manifestata attraverso una mission e dei comportamenti socialmente responsabili, etici e vicini alla comunità di riferimento;

  • Workplace & Governance (CG): gli standard etici, i valori cardine e il mindset alla base della gestione dei processi organizzativi e dell’ambiente di lavoro

  • Performance: capacità dell’organizzazione di mantenere le promesse finanziarie nei confronti dei propri Stakeholder.


Mentre gli Stakeholder che impattano sul nostro brand sono:

  • Consumatori e Clienti, con quello che dicono e pensano della nostra organizzazione;

  • Investitori e Finanziatori, ovvero come veniamo percepiti a livello economico-finanziario;

  • Dipendenti e colleghi, come si comportano e come vivono l’ambiente di lavoro i nostri dipendenti;

  • Società e Istituzioni, vale a dire l’attività di posizionamento istituzionale e la percezione che hanno di noi la Società e le Istituzioni (locali o nazionali);

  • Fornitori, cioè con che criterio scegliamo i fornitori e che rapporto abbiamo con loro.


La reputazione non è quindi “cosa dicono di noi le persone sul web”, ha più dimensioni e ogni organizzazione ha il dovere di monitorarla, accrescerla e tutelarla. Visto che sono fermamente convinto che la reputazione sarà alla base della quinta Rivoluzione Industriale, per aziende e Stati, come dimostrato ancor di più durante l’emergenza da Covid19, ho da poco pubblicato un libro con Mediolanum Editori, che sarà distribuito da Mondadori, “Reputazione. Capitale del terzo millennio”, dove ho approfondito ampiamente il tema.

(descrizione)

Oggi la reputazione è un asset aziendale destinato a imporsi come nuovo capitale del nostro tempo. Le borse ci dicono che questi asset valgono almeno 20 miliardi di dollari e ogni brand ha il dovere di imparare a “pesare” e governare gli aspetti che la determinano, valorizzando collaborazione, fiducia, rete e organizzazione. Il libro, frutto di anni di studi e viaggi, ha l’ambizione di guidare il lettore attraverso i tre aspetti fondamentali per la comprensione e il dominio della reputazione, provando a non lasciare solo degli interrogativi aperti, ma fornendo delle risposte adeguate:

1. Il monitoraggio, ovvero come gli strumenti per analizzare la reputazione diventano sempre più complessi e di importanza strategica per un’organizzazione;

2. La costruzione, ovvero l’insieme delle attività utili per una corretta e impeccabile costruzione del proprio capitale reputazionale;

3. La tutela, ovvero tutte le più aggiornate prassi e norme comportamentali da seguire in ottica di Crisis Management.




Davide Ippolito, founder di Zwan, agenzia specializzata in Corporate Reputation. Zwan edita Reputation, mensile anche in formato cartaceo dedicato alle tematiche reputazionali.

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