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La tempesta (quasi) perfetta

15/02/2012

Alcune riflessioni su _2030 – La tempesta perfetta,_ il nuovo libro saggio di _Gianluca Comin_ e _Donato Speroni._ Secondo _Andrea Ferrazzi,_ l’attuale classe dirigente è malata di “presentismo”, ma l’idea di governo mondiale, seppur affascinante, deve sollevare interrogativi in chi la auspica. Seppur angoscianti.

di Andrea Ferrazzi
Devo ammettere di essermi avvicinato al libro di Gianluca Comin e Donato Speroni con grande curiosità, ma anche con qualche perplessità. Cosa potrà mai aggiungere, mi chiedevo, questo volume ad altri importanti saggi usciti negli ultimi mesi? Ancora suggestionato dalle pagine di Thomas L. Friedman (Caldo, piatto e affollato. Com’è oggi il mondo, come possiamo cambiarlo, Mondadori), di Laurence C. Smith ( 2050. Il futuro del grande Nord, Einaudi) e di Jeremy Rifkin ( La Terza Rivoluzione Industriale, Mondadori), temevo che la lettura di 2030 La tempesta perfetta potesse rivelarsi una delusione, nonostante la rilevanza e il fascino degli argomenti trattati. Non è stato così. Anzi. E’ un altro lo stato d’animo che accompagna il lettore lungo tutte le duecento godibilissime pagine: l’angoscia di non avere risposte ad alcuni fondamentali interrogativi che gravano sull’umanità. Riusciremo, tutti noi abitanti del pianeta terra, ad affrontare in modo efficace le enormi sfide che ci attendono? Riusciremo a disinnescare la bomba demografica, con tutte le conseguenze che essa comporta? Riusciremo ad arginare i cambiamenti climatici, mettendo un freno alle emissioni di anidride carbonica? Riusciremo a produrre energia pulita in misura sufficiente a soddisfare la domanda di un mondo sempre più affollato e sviluppato? Insomma: riusciremo a superare la tempesta perfetta?
In questo senso, l’analisi di Gianluca Comin e Donato Speroni offre una sintesi efficace delle questioni che la politica deve – o meglio sarebbe dire dovrebbe – affrontare, onde evitare disastrose conseguenze per noi e, soprattutto, per i nostri figli. Purtroppo, come giustamente sottolineano gli autori, la classe dirigente sembra soffrire di una malattia terribile: il presentismo. E’ eccessivamente impegnata in una “corsa al consenso breve, indotto dal ritmo quasi annuale di elezioni locali e nazionali” per avere una visione a lungo termine. E questa, a mio avviso, è la vera grande incognita che rende particolarmente scivolosa la strada che dobbiamo percorrere nel prossimo futuro.
A questo proposito, gli autori si soffermano anche sulla necessità di avere un governo mondiale che si occupi dei fenomeni globali, dai cambiamenti climatici ai diritti umani. Secondo Comin e Speroni, questa sarebbe la soluzione ottimale, e quindi auspicabile, per affrontare la tempesta perfetta. “Un’organizzazione internazionale dotata di capacità decisionali ed effettivi poteri di intervento – scrivono – per ora sembra solo un’utopia, ma la Storia è capace anche di grandi accelerazioni”. Speriamo, lasciano intendere gli autori. Speriamo di no, direi io. Non c’è dubbio che lo squilibrio fra l’estensione globale di alcuni problemi e l’ambito nazionale della governance rappresenti un punto critico. I due autori, però, sembrano cadere in quella che Dani Rodrik chiama la tentazione di una versione globale del capitalismo 2.0, ovvero la realizzazione di una governance globale, con una regolamentazione globale, con standard globali, con reti di sicurezza globali. Si tratta di un’ipotesi suggestiva, ma – come giustamente osserva l’economista americano – non realistica e, soprattutto, indesiderabile. Non realistica perché ripone troppa fiducia nella presenza di una leadership globale e nella disponibilità dei paesi a cedere la propria sovranità. Non desiderabile perché esistono diversità fondamentali tra le preferenze e le necessità nazionali e, soprattutto, perché non godrebbe di una legittimità democratica. “Il tallone d’Achille della governance globale – scrive Rodrik – è la carenza di rapporti ispirati a una precisa responsabilità”.
L’idea di un governo mondiale, dunque, può essere affascinante. Ma prima di innamorarsene, accettandola acriticamente, sarebbe opportuno porsi qualche interrogativo in più. Anche se angosciante.
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