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Legge Severino, un tema caldo per le Rp

27/10/2015

Giulia Fantini

Che cos’è il “traffico di influenze” e perché è bene saperne di più”? Dei temi al centro del corso “Legge Severino: limiti ed opportunità per i professionisti delle Rp”, organizzato da Ferpi venerdì 4 dicembre a Roma, ne abbiamo parlato con l’avv. Domenico Dodaro.

Incontriamo l’Avv. Domenico Dodaro, organizzatore dell’incontro di formazione sulla “Legge Severino” che si terrà venerdì 4 dicembre 2015 nell’ambito delle attività di formazione offerte da Ferpi.

Avvocato Dodaro, perché un seminario sulla Legge Severino rivolto ai professionisti delle relazioni pubbliche?
La legge 190/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento, fra le altre, una disposizione in particolare che riguarda molto da vicino i professionisti delle relazioni pubbliche, per la descrizione oggettiva delle attività colpite con una sanzione penale. La norma in questione è l’art. 346 bis c.p., che prevede il reato di “traffico di influenze illecite”.

Che cos’è il traffico di influenze illecite e perché riguarda le relazioni pubbliche?
Il reato di traffico di influenze illecite è quello commesso da un intermediario privato, che “vende” a terzi la propria rete di relazioni, ottenendo un corrispettivo in cambio dell’esercizio di una influenza illecita su un pubblico ufficiale affinché questi compia un atto contrario ai doveri d’ufficio. Sono responsabili del reato tanto il “mediatore” quanto il terzo che ne acquista i servizi.

Colpendo la condotta di soggetti che mercificano la funzione pubblica e le proprie relazioni con pubblici funzionari, la norma tutela il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), ma impone una riflessione: “vendere” la propria rete di relazioni è – mi pare di poter dire – il core business di una buona parte dei professionisti delle relazioni pubbliche, basti pensare a chi svolge attività di lobbying.

Quindi secondo lei un lobbista corre il rischio di essere considerato un “trafficante” di influenze illecite?
In termini puramente descrittivi, l’attività di lobbying si esplica in modo del tutto analogo alla condotta del “trafficante d’influenze”, che la nuova fattispecie vuole sanzionare. Il lobbista, infatti, percepisce un corrispettivo per sostenere gli interessi dei propri rappresentati nelle “stanze dei bottoni”.

Ciò che differenzia l’attività (lecita) del lobbista da quella (illecita) del trafficante d’influenze è da un lato la natura dei mezzi utilizzati, dall’altro la finalità perseguita. Il reato colpisce chi utilizza mezzi illeciti: in Francia, per esempio, l’abuso di una posizione politica o finanziaria, di vincoli familiari o di subordinazione o comunque di altri tipi di ascendente extraprofessionale.

Di conseguenza, si dovrebbe escludere che un professionista che svolga la propria attività sfruttando il proprio prestigio, la propria competenza tecnica e una rete di relazioni trasparenti e legittime, possa essere tacciato di utilizzo di mezzi illeciti.

Perché il condizionale, Avvocato Dodaro?
Perché la norma non esclude, purtroppo, dalla fattispecie criminosa le attività di mediazione svolte professionalmente (come accade, ad esempio, nel codice penale spagnolo), e in mancanza di una disciplina sostanziale dell’attività del professionista delle Rp l’individuazione dei limiti della condotta criminale è rimessa all’attività del giudice.

Su questo torneremo fra un attimo, se non le spiace. Avevamo parlato anche di finalità illecite.
Glielo confermo. Questo è un limite importante all’applicazione della norma: l’attività di mediazione per essere penalmente rilevante deve essere finalizzata al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio del pubblico ufficiale soggetto all’influenza del mediatore. L’esercizio di attività di pressione (e la percezione di un corrispettivo per farlo) non costituiscono reato se dirette ad ottenere un atto lecito.

Lo svolgimento di attività di pubbliche relazioni e di lobbying non ha come obiettivo lo sviamento della funzione pubblica, ma la rappresentazione di interessi al fine della loro corretta percezione da parte degli stakeholder e dunque di un orientamento delle attività decisionali in senso positivo e migliorativo.

Vorrei riprendere rapidamente il punto della mancanza di una disciplina dell’attività. In questo periodo mi pare ci siano diversi interventi al riguardo.
Anche questo è vero. Sulla scorta dell’esperienza francese, dove comunque il tema è affrontato in termini di trasparenza almeno dal 2009, anche in Italia sono state adottate – per il momento ancora a livello di normativa regionale – disposizioni che promettono l’istituzione di registri pubblici dei gruppi di pressione.

Del resto, sono state sollecitazioni sovranazionali, e in particolare l’art. 18 della Convenzione ONU sulla Corruzione del 31 ottobre 2003 e l’art. 12 della Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa del 27 gennaio 1999, ad evidenziare un vuoto normativo del sistema penale italiano e a spingere il legislatore nazionale ad introdurre l’art. 346 bis nel codice penale.

Nel valutare tali interventi dobbiamo però tenere presente che la trasparenza è sicuramente un valore primario, e che l’ipertrofia normativa è sicuramente uno dei mali del nostro Paese: tuttavia, esiste il rischio che tra la norma penale e l’istituzione di pubblici registri non si riesca a colmare la mancanza di una disciplina sostanziale, che definisca i confini dell’attività lecita, sfatando finalmente tabù la cui resistenza è antistorica.




 

All’approfondimento di questi argomenti sarà dedicato il corso “Legge Severino: limiti ed opportunità per i professionisti delle Rp. Che cos’è il ‘traffico di influenze’ e perché è bene saperne di più”, organizzato dalla Commissione di Aggiornamento e Specializzazione Professionale di  Casp Ferpi a Roma venerdì 4 dicembre. Il corso avrà una durata di 4 ore e darà diritto al riconoscimento di 50 crediti ai soci Ferpi in via di qualificazione.

Per informazioni ed iscrizioni, scrivere a casp@ferpi.it
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