Manipolatori di professione Fare apparire bello quello che non lo è. Convincere le massaie a comprare l'ultimo detersivo, i cittadini a digerire le malefatte del governo. Come nel caso Bbc-Blair. Gli addetti alle pubbliche relazioni devono confrontarsi con Internet, che spesso diffonde notizie imbarazzanti. Ma anche chi è parziale può essere credibileFRANCO CARLININon c'è mestiere di intermediazione che non sia stato toccato e in qualche misura sconvolto dalla rete Internet. Succede certamente ai giornalisti, che sono chiamati a essere molto migliori, precisi e fattuali, dato che i loro lettori hanno accesso, almeno potenzialmente, alla gran parte delle fonti. Ma vale anche per una categoria altrettanto importante nel sistema della comunicazione, i professionisti delle relazioni Pubbliche (PR, Public Relations in inglese). Negli anni '70 il professor Scott M. Cutlip, ora all'università dell'Indiana, scatenò i suoi studenti nell'analisi dei giornali americani degli ultimi 15 anni e ne risultò che il 65% delle notizie pubblicate in prima pagina aveva come fonte le Rp, appunto. Uno studio analogo è stato condotto più di recente dall'Institute of Public Relations inglese e sembra che la percentuale sia salita all'80%. Ora può darsi benissimo che i professionisti delle Rp tendano a sopravvalutare il proprio ruolo, ma è altrettanto vero che di esso c'è poca consapevolezza nell'opinione pubblica e negli stessi addetti all'informazione. Eppure il comparto è robusto e numeroso: in Italia parliamo di 70 mila addetti, per un fatturato presumibile (un indotto) dell'ordine dei 14 miliardi di euro. Capita poi che scoppi il caso Bbc-governo inglese e di colpo ci si accorge che ci sono dei «cattivi» in azione, in questo caso rappresentati da Alastair Campbell, portavoce del primo ministro Blair. Dunque le Relazioni Pubbliche vengono proiettate alla pubblica attenzione e di nuovo in versione negativa: ieri «persuasori occulti» oggi «spin doctor».Del ruolo debordante, invasivo e aggressivo di Mr. Campbell si è già detto ampiamente su queste pagine e per quanto apparentemente vincente, grazie al benevolo verdetto del giudice Hutton, la sua reputazione appare fortemente compromessa. Non di lui ci occuperemo qui, ma invece di un mestiere importante, dotato di certe dosi di ambiguità (come quello dei giornalisti del resto) e poco noto.Se il giornalista ufficialmente svolge un ruolo indipendente, il relatore pubblico è per definizione di parte, nel senso che il suo fine è di rappresentare al meglio all'opinione pubblica le ragioni del suo committente il quale potrà essere un partito politico, un'azienda, un'associazione polisportiva, qualsiasi entità che abbia bisogno di farsi conoscere e apprezzare. In altre parole l'addetto stampa, il direttore delle relazioni esterne, il portavoce, sono diffusori di interessi legittimi ma certamente parziali. Il che non li trasforma però automaticamente in manipolatori perché in questo come in altri casi l'importante è la trasparenza: deve essere chiaro e pubblico il fatto che il portavoce della Ford come quello di InterSos (benemerita associazione non profit) propongono un punto di vista, destinato a incontrarsi e eventualmente scontrarsi con altri punti di vista e interessi. Starà all'opinione pubblica e ai decisori politici ascoltarli e poi decidere in autonomia. Al riguardo il Codice di comportamento professionale adottato dalla Ferpi, l'associazione italiana dei professionisti del settore, è molto esplicito: «Le attività di Relazioni Pubbliche debbono essere realizzate con chiarezza e trasparenza; debbono essere immediatamente identificabili come tali e debbono offrire elementi chiari sulla loro origine e non debbono mai tendere ad ingannare o a far commettere errori a terzi». Il linguaggio può apparire un po' legalese, ma il senso è chiaro: il comunicatore deve sempre rendere chiaro ai suoi interlocutori per conto di chi agisce e con che fini: niente sotterfugi né mascheramenti. Più renderà chiaro il suo essere di parte, più sarà credibile.Nella pratica, ovviamente, le cose sono più complicate e controverse. Per esempio come fare comunicazione utile quando l'oggetto da valorizzare è scadente? Ovviamente né la pubblicità, né un intenso lavorio di relazioni potranno tenerlo in piedi all'infinito e prima o poi una crisi scoppierà. Non per caso esistono molti saggi e di una disciplina che si chiama appunto «Crisis Management» e tutti spiegano che negarla servirà soltanto a rendere «incredibile» il comunicatore, azzerandone il ruolo. Se un giorno arriva la finanza negli uffici di una società, l'addetto stampa di valore sarà lui a telefonare per primo ai giornalisti, anziché tentare inutilmente di nascondere il fatto (è successo nei mesi scorsi, in quel di Milano, e fu un buon esempio di saggia trasparenza). Il comunicatore scadente invece si comporterà coma Sandro Bondi, il comunista oggi portavoce di Forza Italia: di fronte alle domande relative alla verifica e alle tensioni nella maggioranza, Bondi innesta una filastrocca che comincia con il molto che il governo ha fatto, passa per le difficoltà internazionali, segnala che comunque la coalizione è animata da spirito unitario e in definitiva non risponde. Questo comportamento è professionalmente sbagliato, a prescindere da qualsiasi valutazione politica, perché annulla il Bondi stesso come interlocutore. Un conto infatti è essere esplicitamente di parte, altro è negare i fatti e parlar d'altro. Il risultato per i giornalisti è che parlare con Bondi risulta totalmente inutile.Il tutto avviene in un mondo in cui ormai c'è l'Internet, con la sua capacità di diffusione istantanea delle notizie, specialmente di quelle spiacevoli e imbarazzanti. Uno studioso americano delle PR, Gerald R. Baron, ha pubblicato un libro significativamente intitolato «Ora è troppo tardi: la sopravvivenza nell'era delle news istantanee». Spiega e documenta come la presenza delle rete acceleri e acutizzi i fenomeni di crisi e come i comunicatori debbano imparare ad ascoltare la rete e a usarla al meglio (molti peraltro hanno cominciato a farlo). Al di là della velocità di propagazione, è il web come memoria permanente e infinita che cambia il modo di operare: la prima figuraccia il governo Blair la fece quando si scoprì in rete che certe informazioni sulle armi irachene erano state prese di sana pianta da una vecchia tesi di laurea, con una banale procedimento di «taglia e incolla». E in rete oggi sono disponibili, sul sito del rapporto Hutton, (www.the-hutton-inquiry.org.uk) gli appunti e le e-mail con cui il buon Campbell sollecitava insistentemente i servizi a rendere più «strong» il rapporto. La rete insomma ci espone tutti, e questo è un bene.----------------Vi riproponiamo qui l'intero testo degli articoli del Manifesto, a firma Franco Carlini ed Eva Perasso