Mezza: in Rete le notizie si incontrano
30/10/2015
Giovane, alfabetizzato, connesso, globale e competitivo: questo è l’identikit di chi sta in rete. I futuri giornalisti dovranno conoscere l’algoritmo perché l’autonomia professionale si giocherà nella capacità di governare l’applicazione della potenza di calcolo. In questo i comunicatori possono svolgere un compito fondamentale. Lo sostiene Michele Mezza, autore di “Giornalismi nella Rete”, che abbiamo raggiunto per un’intervista esclusiva per Ferpi.
In occasione dell’uscita del nuovo libro di Michele Mezza, Giornalismi nella Rete, edito da Donzelli, abbiamo parlato con l’autore di giornalismo, comunicazione e di quale sarà il futuro che ci aspetta. Il 3 novembre alle 18.00 a Roma, presso l’Associazione ConcretaMente, la presentazione.
La vera novità degli anni che stiamo vivendo è il protagonismo attivo dei lettori o dei pubblici della comunicazione, quelli che una volta erano i destinatari. La nuova sfida è tutta relazionale…
È una novità antropologica che non riguarda i giornali ma la vita nel senso che la Rete nasce, si afferma, si propaga e avvolge l’intero Pianeta in virtù di una domanda sociale di partecipazione e condivisione. La tecnologia è una conseguenza non la causa. La causa è la necessità di protagonismo a tutte le latitudini. All’interno di questo processo, nel campo della comunicazione, è esplosa una tendenza che già navigava sottopelle da tempo – se pensiamo alle radio negli anni ’70, alle televisioni locali negli anni ’80, alla telefonia negli anni ’90 – è stata una lunga incubazione in cui il lettore diventava utente e, risalendo la filiera, si sedeva di fianco al giornalista. Questo è il processo che oggi sta rimescolando le carte di tutti i ruoli per cui i giornali sempre più diventano centro servizi di scambio di comunicazione e contenuti tra redazione e lettori, le televisioni diventano degli hub multimediali, etc. Il processo riguarda proprio una domanda sociale di personalizzazione e di condivisione dei contenuti dell’informazione. La Rete è un luogo di interscambio di informazioni nei processi di vita, è il bar, è l’agorà. La storia dell’umanità è una storia di disintermediazione. Oggi questo processo ha in più, oltre che la direzione, anche la velocità. Le persone ne sanno di più, pRetendono di più e hanno i mezzi per affermarlo. Come dice Lionel Barber, il direttore del Financial Times, game over, i lettori ne sanno più di noi. Dobbiamo trovare un sistema sociale di comunicazione per ricollocare il nostro prodotto. Il prezzo che si paga in questa fase iniziale è confusione, eccessi, distorsione. Però la possibilità di correggere il brusio è di molto superiore rispetto a quanto avveniva vent’anni fa. Quello attuale è certamente il più avanzato dei mondi possibili ma è anche un terreno di grande lotta e conflitto ed esiste quella che io definisco la “dittatura di un solo algoritmo”.
Il lettore si trova di fronte ad una pluralità di fonti. Che cos’è l’informazione oggi?
Il lettore si trova di fronte a comunità che parlano e deve cominciare a crescere avendo la responsabilità di selezionare. Mentre prima ad attestare la veridicità di una notizia era la fonte, oggi tocca all’utente decidere cosa gli sembra più vero, pur con mille contraddizioni potenziali ma con un effetto di maturità sociale straordinario.
Noi usciamo da una fase in cui la scrittura pubblica era appannaggio di poche migliaia di persone. Oggi il processo di accesso alla potenza della comunicazione con tutti i linguaggi più complessi mette in campo milioni di persone. Stiamo ritarando i modelli espressivi. Ad esempio, il carattere iconografico di oggi è imparagonabile a quello di vent’anni fa. I ragazzini hanno una capacità ed una proprietà di usare immagini mai vista in precedenza. Se noi abbiamo in mente un modello letterario della scrittura, altri stanno avviando una transizione verso una modello molto diverso in cui la scrittura è di supporto ad altri modelli espressivi. Ad esempio, nel mio libro la condivisione della pagina con il QR Code dimostra che il testo non è più padrone assoluto, deve relativizzarsi, riferirsi, citare, richiamare altro linguaggio ed altra forma. È questo processo la novità straordinaria. Nella storia dell’umanità, ogni passaggio - dalla tradizione orale alle prime forme di scrittura, dalla diffusione iconografica, alla copiatura manuale fino alla stampa - ha implicato un ripensamento dei linguaggi, con l’ingresso in campo di nuove figure. In
Giornalismi nella Rete, un paragrafo è intitolato, “Non siamo fatti per leggere”. Non lo dico io, lo afferma una delle più importanti ricercatrici sulla semantica scritta, Marianne Wolf del Boston Institute che ha fatto una ricerca durata otto anni da cui è risultato che nella storia dell’uomo la scrittura è un’esperienza limitata. Non è un caso che oggi la Rete stia ripristinando vecchie forme di comunicazione. Tra due anni il 68% di tutti i contenuti online saranno immagini e non testi.
Nel suo nuovo libro parla di giornalismi, al plurale, perché?
Ora veniamo ad una vicenda molto settoriale del mondo della Rete che è la comunicazione. Internet non è stato creato per comunicare. La gran parte delle persone che sono online non pensano minimamente né che stanno comunicando né che possono essere comunicatori. In questo processo si colloca un fenomeno singolare: mentre da una parte c’è un’esplosione esponenziale di pratica di giornalismo, inteso come produzione e scambio di informazioni, dall’altra parte c’è una crisi verticale degli spazi di giornalismo. Il giornalismo tradizionale attraversa una crisi di incomprensione perché il lettore risale la filiera collocandosi accanto al giornalista. Questo produce crisi di identità ma anche di mercato. Abbiamo straordinarie forme di giornalismo che si stanno sviluppando fuori dai media perché la comunicazione non è più un servizio di altre forme di produzione ma è diventata la principale forma di produzione e di ricchezza nel mondo. La comunicazione è di per sé fabbrica e, di conseguenza, fare comunicazione significa vivere. Abbiamo forme di giornalismo che si stanno sviluppando negli ambiti più diversi. Basti pensare alle Smart City, alle piattaforme di mobilità intelligente, ai navigatori per le opere d’arte di una città, o lontano dalla pubblica amministrazione, all’associazionismo che vive scambiandosi informazioni, o negli ospedali i sistemi di assistenza a domicilio: sono tutte forme di giornalismo. Nel mercato della produzione degli oggetti sempre più ogni prodotto non coincide con il proprio contenuto ma con il proprio racconto. Per cui la narrazione di un prodotto non è più supporto, servizio, volàno della sua valorizzazione ma è il valore stesso del prodotto. La capacità di evocare, di suggestionare, di condividere, di emozionare è la parte centrale del valore. È quello che è successo, ad esempio, nei giorni scorsi con la quotazione della Ferrari che rappresenta un sogno condiviso, un racconto permanente. Tutto questo è il giornalismo e sta cambiando radicalmente il rapporto tra professionisti e non professionisti perché il giornalismo e la comunicazione sempre meno saranno attività professionali retribuite e sempre più saranno pratiche sociali diffuse. Questo significa che sempre meno ci sarà un mercato strutturato sulla specializzazione del racconto che sarà un’esigenza della vita. L’altra faccia della Luna è data dal racconto inteso come dati che ogni giorno, in ogni momento, produciamo in Rete. È qui che bisogna intervenire in maniera “bellicosa”, negoziando, interferendo e confliggendo con chi approfitta di una situazione asimmetrica.
Perché milioni di persone in tutto il mondo ogni giorno sprecano ore del loro tempo per tenere in piedi questa macchina? La risposta è semplice: perché lo desideravano da migliaia di anni. Il motore di questo processo è l’algoritmo, un potere sinuoso, mellifluo e debordante perché è un processo di automatizzazione del pensiero. Questo non significa che sia un processo neutro: ha un’anima, una nazionalità, una cultura, un sistema di valori. L’algoritmo pensa e costringe ad agire in un modo predeterminato e quindi a pensare in modo predeterminato. Il punto qual è? Che non è tollerabile che questo sistema possa essere governato da pochi algoritmi. Qui è necessaria una straordinaria iniziativa dei professionisti della comunicazione, nel garantire pluralità di algoritmi, per garantire la possibilità di lavorare con algoritmi autonomi e sovrani, senza asservirsi a Google o Amazon perché in quel momento si viene alfabetizzati. Perché Twitter ha 140 caratteri? Perché è la fase inglese standard senza aggettivi. Se si eliminano aggettivi ed avverbi non si parla come si pensa ma si parla come qualcun altro impone. L’algoritmo è un’espressione cognitiva, un modo per risolvere un problema in un unico modo. E la cosa divertente è che la base delle Rete, il pensiero non lineare viene teorizzata per la prima volta in Italia con Giordano Bruno, Pico della Mirandola e Machiavelli. Non è un caso che l’Italia sia uno dei primi Paesi, istintivamente, a muoversi in Rete. Stiamo diventando straordinari sviluppatori di software: gli algoritmi più eleganti e personalizzati sono italiani perché solo noi siamo stati in grado di intrecciare bellezza ed industria. Incominciamo a pRetendere di pensare in maniera autonoma anche in Rete. Giovane, alfabetizzato, connesso, globale e competitivo: questo è l’identikit di chi sta in Rete.
Cos’ha messo veramente in crisi il giornalismo?
I lettori ne sanno di più. Le vere vittime di questo processo di destabilizzazione del sistema mediatico sono i mediatori, giornalisti, avvocati, medici, comunicatori. Ormai esiste un processo di concorrenza permanente. La gente ormai si affida alla Rete, crea comunità. Il potere non è mai stato fragile come oggi. È un rischio, certo, ma a questo corrisponde un aumento proporzionale della potenza dell’individuo. In Rete le notizie si incontrano, non si distribuiscono. Se si vuole incontrare una notizia si deve andare nei luoghi in cui si pensa di trovarla, farsela dare da chi ha un’empatia. La Rete è il regno dell’empatia.
Ascolto, engagement, rendicontazione… parole che significano coinvolgimento degli interlocutori. I comunicatori lo fanno da tempo, perché i media non ci riescono?
C’è un elemento che non è aggirabile: la Rete è una
listening technology. Le aziende devono ascoltare i propri pubblici. In Rete si ascolta non si parla, non è una cattedra. Questo è un elemento di civiltà ed il limite delle operazioni di reclutamento. Obama in Rete ha fatto una straordinaria operazione di negoziazione del proprio programma con i suoi elettori. Come dice David Axelrod, Obama non vince perché usa la Rete per parlare con i suoi elettori ma perché li fa parlare fra di loro, con tutti i rischi che questo comporta.
Le aziende oggi si presentano sempre di più come Media Factory, hanno siti che sono veri e propri giornali, twittano, postano, condivido… Le aziende editoriali già lo erano ma non hanno saputo cogliere il nuovo business. E adesso?
Adesso le aziende si rimpiccioliscono e i nuovi editori sono i Net Provider. Chi prima distribuiva adesso produce, chi prima produceva ora distribuisce. I giornali diventano centri servizi, fanno accordi con Facebook. Facebook crea una sezione che si chiama Instant Article in cui distribuisce gli articoli dei maggiori quotidiani, ma a modo suo, in un flusso. Per questo l’algoritmo va combattuto, perché crea un isolamento informativo. In questo modo non ci sarà più la serendipity. Nessuno più inciamperà in ciò che non conosce. Stiamo andando verso un mondo di autocompiaciuti. E su questo i comunicatori una partita la possono giocare.
Che consiglio darebbe ad un giovane che si avvia alla professione giornalistica?
Di conoscere l’algoritmo. L’autonomia professionale si giocherà nella sua capacità di governare l’applicazione della potenza di calcolo. Il che non significa che deve essere un informatico ma che deve saper rendere autonomo e originale il proprio sistema cognitivo.
Michele Mezza
Michele Mezza, come giornalista Rai, è stato inviato del Giornale radio in Urss e in Cina. Nel 1993 ha collaborato al piano di unificazione del Gr; nel 1998 ha elaborato il progetto di RaiNews 24. Collabora con diverse riviste e testate. Dirige la comunità web www.mediasenzamediatori.org. Insegna Culture digitali all’Università Federico II di Napoli.
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La copertina del libro[/caption]