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Noi non facciamo programmi educativi: il nesso fra educazione di un pubblico (!?) e relazioni con i

03/04/2006

L'opinione di Toni Muzi Falconi.

Capita talvolta di sentire un competente datore di lavoro/cliente che ti chiede di progettare un intervento educativo per informare, convincere e portare dalla sua parte un pubblico specifico interessante. Il termine educativo viene usato sempre più di spesso e noi stessi siamo i primi a farlo.
Pensiamoci su bene, poiché il nostro è un mestiere (anche) di parole, e dobbiamo usarle con sobrietà e parsimonia: non a caso una delle critiche più frequenti che ci vengono rivolte è di caricare i nostri argomenti con parole dal significato enfatico e spesso ambiguo o comunque indeterminato.Forse educare è una di queste?
Un processo educativo ha una natura fortemente asimmetrica -leducatore e il discente..- e presuppone che il discente  sia lì per ascoltare e imparare (per norma, per sua volontà o perché ha pagato) e che leducatore sulla materia che insegna conosca sia le domande che le risposte. Nel nostro caso, non è proprio così: tocca infatti a noi attirare lattenzione e linteresse del pubblico specifico cui ci rivolgiamo, sollecitandone la disponibilità al dialogo e allinterazione con lorganizzazione (pubblica, privata e sociale che sia) di cui curiamo gli interessi.
Se il pubblico è stakeholder (cioè, consapevole delle finalità dellorganizzazione e interessato per sue ragioni ad interagire per rallentarne oppure accelerarne, favorirne oppure ostacolarne il raggiungimento) il tuo cliente/datore di lavoro dovrebbe chiederti non di progettare un intervento educativo, ma di avviare con quel pubblico una azione bilaterale e tendenzialmente simmetrica di ascolto e di interpretazione delle sue aspettative. Questo, affinché gli obiettivi specifici che declineranno il perseguimento delle finalità possano essere raggiunti con la massima efficienza ed efficacia.
Se invece il pubblico non è stakeholder (quindi non consapevole e neppure necessariamente interessato ad una relazione con lorganizzazione), ma è influente (nel senso che sei tu a ritenerlo tale, poiché oensi che possa accelerare o ritardare il raggiungimento dei tuoi obiettivi), allora il datore di lavoro/cliente dovrebbe chiederti di progettare un intervento comunicativo che, per prima cos,a sappia attirare lattenzione di quel pubblico influente.Il che implica che il primo contenuto sia soprattutto di suo interesse e comunque di tipo push, retorico e persuasivo e quindi unilaterale e tendenzialmente asimmetrico&. per poi gradualmente portarlo ad interagire con te e ad esprimere le sue aspettative su questioni che interessano la tua organizzazione& affinché questultima, anche in corso di attuazione, possa meglio mettere a punto i propri comportamentii, guadagnando in tal modo la disponibilità dellinfluente a sviluppare una relazione sempre più interattiva (bidirezionale) e tendenzialmente simmetrica, avendo raggiunto la consapevolezza che la sua interazione conta, è importante e produce conseguenze.La missione di educare il pubblico proprio con ci appartiene, poiché parte dal falso presupposto che lorganizzazione possieda tutte le risposte e che il pubblico cui ti rivolgi ne abbia rilevante e consapevole bisogno e che non le conosca.Quando invece fai relazioni pubbliche, fai parecchio di più (nel bene e nel male) che limitarti a trasferire informazioni oppure a inviare messaggi persuasivi: in qualche modo riconosci il pubblico e il tuo compito è di comprenderne e interpretarne le aspettative rispetto alle finalità e agli obiettivi della tua organizzazione e lo inviti al dialogo e alla interazione: ecco cosa fai. (tmf)
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