Pubblicato il Rapporto Osservasalute 2007
27/02/2008
Il documento sullo stato di salute e la qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane
Progressiva divaricazione e assenza di specifici percorsi di convergenza: è così che appare la sanità italiana con un sistema sempre più eterogeneo nelle performance economico-finanziarie, come testimoniato da spesa sanitaria, avanzi e disavanzi, modalità di allocazione delle risorse, equilibri/squilibri economici delle aziende, nelle varie Regioni. Le differenze che allontanano sempre di più le Regioni seguono talvolta un chiaro gradiente Nord Sud (come per la spesa sanitaria rispetto al PIL, col valore massimo registrato in Campania dati 2004 pari al 9,89% più che doppio del valore minimo, registrato in Lombardia, pari a 4,46%), altre volte (come per la spesa procapite) il confine tra Regioni a Statuto speciale e quelle a Statuto ordinario.
E l'Italia è divisa anche sul fronte dell'assetto istituzionale e organizzativo del SSN, situazione che indica una progressiva perdita di quell'unitarietà di approccio che ha rappresentato uno dei fondamenti essenziali nella costituzione del SSN.
È la situazione che emerge dalla quinta edizione del Rapporto Osservasalute (2007), un'approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane presentata oggi all'Università Cattolica. Pubblicato dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che ha sede presso l'Università Cattolica di Roma e coordinato dal professor Walter Ricciardi, direttore dell'Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia, il Rapporto è frutto del lavoro di 287 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali (Ministero della Salute, Istat, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Italiano di Medicina Sociale, Agenzia Italiana del Farmaco, Aziende Ospedaliere ed Aziende Sanitarie, Osservatori Epidemiologici Regionali, Agenzie Regionali e Provinciali di Sanità Pubblica, Assessorati Regionali e Provinciali alla Salute).
Qualche esempio? La distribuzione del personale amministrativo nelle aziende, indicativa della capacità di gestione delle risorse disponibili in modo appropriato: una forte eterogeneità nell'incidenza di questa tipologia di personale tra Regione e Regione: infatti se in media circa l'11,82% dei dipendenti delle ASL e Aziende Ospedaliere italiane ricopre il ruolo amministrativo, si registra però una variabilità troppo elevata che oscilla da un minimo di 9,22% in Molise a un massimo di 15,51% in Valle d'Aosta, con una differenza di 6,29 punti percentuali, variabilità non spiegabile in base alla numerosità dei residenti in Regione.
E non è tutto, un altro dato che fotografa l'Italia divisa è quello sui disavanzi regionali: il SSN mostra ancora un disavanzo strutturale complessivo (pari a 43 per persona, ovvero quasi 2,5 miliardi di totali e con un incremento tra 2003 e 2006), non equamente distribuito, regioni del Sud, come la Calabria sono in avanzo, ma confrontando il dato con la spesa pro-capite questo avanzo, come accade per la Basilicata e in parte per le Marche, è probabilmente indice di "sottospesa", a svantaggio dei cittadini. Alcune Regioni in difficoltà si sono rimboccate le maniche, producendo buoni risultati in termini di rientro da situazioni spesso disastrose. Tra queste spiccano la Provincia Autonoma di Bolzano e la Regione Molise. Non così Lazio e la Sicilia dove gli incrementi del disavanzo tra il 2003 e il 2006 sono rispettivamente di 159 e 141 euro.
Lo squilibrio macroeconomico dipende chiaramente da squilibri "strutturali" ancora presenti sia nelle ASL che nelle AO. Anche se la perdita media delle AO è inferiore rispetto a quella delle ASL questa situazione di squilibrio continua a persistere negli anni considerati nel Rapporto (2001-2005). Solo nelle Regioni a Statuto speciale (tutte tranne la Sardegna) il dato medio è stato positivo nel 2005 e in alcuni anni precedenti. Solo la Lombardia, tra le Regioni a Statuto ordinario, mostra una situazione di pareggio sia per le ASL che per le AO. Nel Lazio nel 2005 la perdita delle ASL è stata in media di oltre 160 milioni di euro, il risultato peggiore a livello nazionale.
"Questi dati dimostrano ancora una volta la presenza di differenze estremamente marcate tra regioni ha commentato il prof. Americo Cicchetti, ordinario di Organizzazione aziendale alla Facoltà di Economia dell'Università Cattolica. La differenza si avverte tra le Regioni che negli anni hanno accumulato competenze tecniche per il governo del sistema unitamente a lungimiranza politica (vedi Emilia Romagna e Lombardia), quelle che invece pur partendo tardi hanno rimediato portando avanti coraggiosi piani di riequilibrio strutturale del sistema (come al Sud la Puglia) e quelle che invece non hanno mai affrontato seriamente le questioni essenziali del controllo della domanda e della ristrutturazione del sistema d'offerta. Lazio e Sicilia sono un esempio dell'incapacità di avviare politiche di riequilibrio strutturale. Nel Lazio l'azione è stata tardiva, caratterizzata da un deficit di analisi dei fenomeni (soprattutto quelli economici) e dall'incapacità di distinguere - coraggiosamente e senza pregiudizi ideologici - la componenti sane' del sistema (pubbliche o private che siano) da quelle palesemente inefficienti ed inefficaci".
"Queste disparità esistono anche nell'Assistenza territoriale ha dichiarato il prof. Gianfranco Damiani, docente dell'Istituto di Igiene dell'Università Cattolica cosicché la visione della media nazionale effettivamente presenta dei limiti interpretativi. Le maggiori differenze si notano tra le regioni del Centro Nord e quelle del Sud. Tuttavia non è sempre possibile evidenziare un gradiente e spesso il fenomeno oggetto d'analisi ha una distribuzione a macchia di leopardo, o con realtà, anche, locali che possono spiccare indipendentemente dalla localizzazione regionale
Ciò è probabilmente attribuibile a una diversa velocità di sviluppo e modifica dei servizi sanitari territoriali in una logica di integrazione ospedale territorio.
È altresì importante segnalare un miglioramento sul fronte dell'assistenza territoriale: un trend in crescita a livello nazionale del numero dei pazienti trattati in ADI, nonostante comunque permangano notevoli disomogeneità".
La salute degli italiani "converge", ma sui difetti: chili di troppo e sedentarietà sempre più mali comuni nazionali
Di fronte a una frammentazione sempre più marcata della gestione del sistema sanitario nazionale, gli italiani appaiono però sempre più "uniti", ma purtroppo solo nelle cattive abitudini: sovrappeso e sedentarietà sono sempre più una piaga nazionale, infatti dal confronto dei dati raccolti nelle precedenti indagini (anni 2002, 2003 e 2005, Rapporto Osservasalute 2005 e Rapporto Osservasalute 2006) il dato relativo all'obesità mostra un trend in aumento dall'8,5% al 9,9%.
PIÙ GRASSI AL SUD - Si riscontra comunque un gradiente Nord-Sud di persone in sovrappeso (valori superiori al 38% in Campania, Puglia, Basilicata e Calabria) e obesi (12,0% in Basilicata e 12,9% in Puglia), con la Sardegna (31,8% e 10,5%) che si avvicina, invece, ai dati rilevati nelle Regioni settentrionali, dove si registrano i valori più bassi (Piemonte 31,4% di persone in sovrappeso, 8,3% di adulti obesi, Valle d'Aosta, con 30,8% e 6,6%, e Lombardia, 29,8% e 8,5%). La prevalenza di sovrappeso e obesità aumenta progressivamente all'avanzare dell'età, con un interessamento soprattutto delle fasce dai 45 ai 74 anni per gli uomini e dai 55 ai 74 anni per le donne. Inoltre, mentre i valori che riguardano la popolazione obesa sono sovrapponibili tra i sessi, a eccezione della classe di età compresa fra i 35 e i 44 anni (9,2% uomini e 5,3% donne), la percentuale di uomini in sovrappeso (43,9%) è quasi il doppio di quella del sesso femminile (26,2%), con valori significativamente differenti in tutte le classi di età.
SPORT, IN ITALIA "QUESTO SCONOSCIUTO" - Ancora troppo sedentari gli italiani: nel 2005 solo il 20,9% della popolazione ha dichiarato di praticare in modo continuativo uno o più sport nel tempo libero e il 10,3% di praticarlo in modo saltuario. Le persone che hanno dichiarato di svolgere qualche attività fisica (come fare passeggiate per almeno due km, nuotare, andare in bicicletta o altro) sono il 28,2%, mentre i sedentari (coloro che non praticano né uno sport né attività fisica nel tempo libero) sono il 39,8%. Risultano più attivi gli abitanti del Nord rispetto a quelli del Sud, dove la sedentarietà è più frequente in Sicilia (58,6%). Si pratica maggiormente sport in modo continuativo nella Provincia Autonoma di Bolzano (38,5%), in Lombardia (25,6%) e in Veneto (25,3%), pochissimo in Molise (14%) e Campania (14,7%). Sono soprattutto i giovanissimi fra i 6 e i 19 anni a svolgere in modo continuativo la pratica sportiva, mentre lo sport svolto in modo saltuario coinvolge soprattutto i giovani appartenenti alle fasce di età 18-34; con l'aumentare dell'età aumenta, inoltre, la prevalenza di coloro che non praticano alcuna attività fisica.
Abitudini da correggere, a maggior ragione perché il rapporto fotografa una POPOLAZIONE SEMPRE PIÙ VECCHIA che dovrebbe porre impegno nell'adottare stili di vita sani. La Liguria si conferma la Regione più vecchia: la metà di essa ha più di 47 anni e un altro quarto ha tra i 30 e i 46 anni, solo un quarto di popolazione con meno di 30 anni, mentre la Campania, con più della metà della popolazione che ha meno di 37 anni e solo un quarto che ne ha più di 55, ha invece la popolazione più giovane.
Sul fronte delle dinamiche della popolazione si confermano le tendenze degli anni passati, come il livellamento dell'aspettativa di vita di uomini (78,3 anni nel 2006) e donne (83,9 anni nel 2006), sempre più simile tra loro e l'invecchiamento generale della popolazione, il primato positivo delle Marche con gli abitanti che vivono più a lungo (79,2 anni per gli uomini, 84,8 per le donne), quello negativo della Campania (76,9 anni per gli uomini, 82,7 per le donne).
Ma c'è un dato nuovo che riguarda la fecondità. LA GEOGRAFIA DELLA FECONDITÀ È CAMBIATA NEL PAESE - La fecondità ha guadagnato più di 2 punti per mille in Emilia-Romagna, in Toscana e nel Lazio e 1,9 in Lombardia; nel contempo, in quasi tutte le Regioni meridionali il livello della fecondità si è ridotto tra 0,7 e 1,4 punti per 1.000, e anche le Province Autonome di Trento e Bolzano hanno visto ridursi la loro fecondità. In altri termini, è proseguito il processo di convergenza della fecondità regionale verso il valore medio nazionale; inoltre si riduce il gap tra italiane, la cui fecondità è in lieve aumento, e straniere, che vedono invece diminuire la propria.
Sul fronte della PREVENZIONE il Rapporto mette in luce una COPERTURA VACCINALE BUONA, MA MIGLIORABILE: infatti per quanto le coperture per Poliomielite, anti-Difterite e Tetano (DT), o Difterite, Tetano e Pertosse (DTP) - DT-DTP ed epatite B (HBV) siano uniformemente distribuite su tutto il territorio italiano, con una media nazionale superiore al 95%, che si allinea ai dati raccolti negli anni precedenti (Rapporto Osservasalute 2006), per quanto riguarda la vaccinazione Morbillo-Parotite-Rosolia (MPR) i dati non sono ancora ottimali (media nazionale 87,3%) e in confronto ai dati del 2003 si osserva addirittura una leggera riduzione della copertura (Rapporto Osservasalute 2006). Nessuna Regione ha raggiunto il 95%, obiettivo indicato nel Piano Nazionale per l'eliminazione del Morbillo e della Rosolia Congenita.
Un altro dato di novità, non positivo, si evidenzia per alcune malattie infettive. AUMENTANO SIFILIDE E GONORREA - In base ai dati ricavati dalle notifiche obbligatorie per l'anno 2005, la sifilide è risultata più frequente rispetto alle infezioni gonococciche delle vie genitali sia nella classe di età 15-24 anni (2,9 casi per 100.000 rispetto a 1,1 casi per 100.000) che 25-64 anni (3,4 casi per 100.000 rispetto a 1,1 casi per 100.000). Per quanto concerne l'andamento nel periodo 2000-2005, globalmente si è osservato un notevole aumento dell'incidenza della sifilide (+320,3% su base nazionale nella classe di età 15-24 anni e +329,1% nella classe di età 25-64 anni) meno marcato per la gonorrea (+33,3 % su base nazionale nella classe di età 15-24 anni e +52,2% nella classe di età 25-64 anni). Le Regioni a maggiore incidenza sia nella classe di età 15- 24 che 25-64 anni sono la Provincia Autonoma di Trento e il Lazio per la sifilide (rispettivamente 12,4 e 10,2 casi per 100.000 nella classe di età 15-24; 10,0 e 10,1 casi per 100.000 nella classe di età 25-64), la Provincia Autonoma di Trento per la gonorrea nella classe di età 15-24 (6,2 casi per 100.000) e la Provincia Autonoma di Bolzano nella classe di età 25-64 (3,4 casi per 100.000 nella classe di età 25-64). Si riscontra, comunque, una generalizzata sottonotifica nelle Regioni meridionali per entrambe le infezioni, sia nel 2000 che nel 2005.
TUMORI, SUD SI AVVICINA A NORD MA SI RIDUCE LA MORTALITÀ - Come già evidenziato nei precedenti Rapporti, da tali tabelle emerge che il rischio oncologico complessivo del Sud, storicamente più basso, si sta avvicinando a quello del Nord. Il tasso medio di incidenza per tutti i tumori maligni è pari a 357 casi per 100 mila abitanti maschi, 267 per 10 mila abitanti donne (anni 1998-2007); quello di mortalità 201,38 e 109,2 rispettivamente per uomini e donne. MIGLIORA LA PREVENZIONE ONCOLOGICA - Grazie al sostegno normativo della L. 138/2004 e sotto l'impulso del Centro di Controllo delle Malattie e dell'Osservatorio Nazionale Screening la diffusione degli screening oncologici in Italia va aumentando. Dai dati disponibili si rileva, però, la persistenza di una diffusione non uniforme con evidenti differenze tra il Nord ed il Sud, peraltro già evidenziate in precedenza. Tre quarti delle donne italiane di 50-69 anni risiedono in zone in cui è attivo lo screening mammografico, tuttavia al Centro-Nord si supera il 90%, mentre al Sud ci si attesta intorno al 40%.
Non si può dire lo stesso per la disabilità: DISABILI LASCIATI ANCORA TROPPO SOLI - In Italia sono circa il 10% le famiglie che hanno al loro interno almeno una persona con disabilità, di cui il 42% delle quali sono composte interamente da persone con disabilità, in prevalenza persone anziane che vivono sole. Il numero di persone con disabilità grave ammonta a 2 milioni 609 mila, pari al 4,8% della popolazione. Se a queste si aggiungono i disabili meno gravi, in grado di svolgere, ma con molta difficoltà, le abituali funzioni quotidiane, il numero sale a 6 milioni 606 mila persone, pari al 12% della popolazione di 6 anni e più che vive in famiglia. Si registra una maggiore frequenza di disabili in Sicilia e in Puglia (rispettivamente 6,6% e 6,2%), mentre i tassi più bassi, intorno al 3,0 %, si osservano nelle Province Autonome di Trento e Bolzano. Il dato drammatico è che l'80% delle famiglie con persone disabili non risulta assistita dai servizi pubblici a domicilio e oltre il 70%, soprattutto al Sud, non si avvale di alcuna assistenza, né pubblica né privata.
LIEVE MIGLIORAMENTO DI SALUTE MENTALE E DIPENDENZE - L'ospedalizzazione per disturbi psichiatrici è caratterizzata da un trend in diminuzione nella quasi totalità del territorio italiano.La variazione percentuale dei tassi di ricovero tra il 2001 e il 2004 dimostra l'andamento in diminuzione dei ricoveri con poche eccezioni (Lazio, Abruzzo, Sardegna). Il tasso grezzo di dimissione ospedaliera per disturbi psichici sull'intero territorio nazionale è risultato pari a 52,4 per 10.000 abitanti nell'anno 2004 (ultimo anno per cui sono disponibili i dati). Rispetto al 2001, si registra quindi una riduzione di ricoveri pari al 4,1%.
"Si evidenziano differenze per macro aree con una più marcata diminuzione nelle Regioni del Nord, ha detto la professoressa Roberta Siliquini, Ordinario di Igiene all' Università di Torino. Le ultime informazioni disponibili confermano una costante, ma lenta, tendenza al miglioramento del livello di salute mentale della popolazione, o perlomeno del sistema di assistenza per questo tipo di patologie".
Restano però importanti differenze interregionali sul fronte del consumo di farmaci antidepressivi e antipsicotici: si segnala per esempio che il consumo di antipsicotici in Calabria - 6,55 Dosi giornaliere (DDD) per 1.000 abitanti - è cinque volte più elevato di quello dell'Umbria - 1,31 DDD/1.000 ab/die. Per i farmaci antipsicotici si evidenzia un maggior consumo nelle Regioni del Sud, il trend contrario per quanto riguarda gli antidepressivi.
"Da segnalare ha detto la Siliquini - un aumento della popolazione in trattamento per problemi legati al consumo di cocaina, che sta assumendo (tenendo conto anche dei dati prodotti da indagini nazionali ed europee) dimensioni sempre più preoccupanti: più di 3 abitanti ogni 10.000, sono in cura per dipendenza da cocaina. Dati superiori alla media nazionale sono presenti nelle Regioni a più alta densità abitativa (Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Campania); tra queste si evidenzia in particolare la Lombardia che presenta un tasso quasi doppio rispetto alla media nazionale, mentre anche molte Regioni del Centro-Sud (Campania, Puglia, Basilicata, Sardegna) vedono un rilevante aumento dell'utenza dipendente da cocaina".
IN CONCLUSIONE - "Il quadro di un'Italia eterogenea e frammentata è il dato saliente che continua a emergere e a consolidarsi da quando l'Osservatorio Nazionale per la Salute nelle Regioni Italiane ha iniziato a elaborare l'annuale Rapporto Osservasalute ha osservato il professor Walter Ricciardi - un Rapporto che ci auguriamo venga utilizzato per guidare la rotta dei servizi sanitari regionali in un Sistema Sanitario Italiano in acque sempre più tempestose".
I problemi investono un po' tutto il Paese e tutte le Regioni si sono attivate per fronteggiarli, ha concluso Ricciardi, ma "è in particolare il Lazio e il Sud che destano preoccupazione: in Sanità il divario che queste aree hanno con il resto del Paese cresce sempre di più e assume in qualche caso (e del resto lo avevamo largamente previsto nei precedenti Rapporti) i connotati di una vera e propria catastrofe sociale.
L'auspicio è che alla luce delle evidenze emerse venga avviata un'alleanza forte tra i diversi attori in campo (forze politiche, tecnici, professionisti, cittadini) per garantire ai cittadini italiani una quantità e qualità di vita ancora migliori per il futuro".