Ferpi > News > Tarantino: innovazione e cultura per l’Italia del futuro

Tarantino: innovazione e cultura per l’Italia del futuro

12/12/2013

“Costruire una politica formativa e culturale legata ai giovani, al mondo della scuola e della ricerca che promuova il recupero di un forte senso civico collettivo e la volontà di contribuire tutti, in maniera più consapevole e costruttiva, al bene comune: è qui la vera chiave della nostra ripresa economica”, ne è convinto _Massimiliano Tarantino,_ Segretario Generale della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, come ha raccontato in un’intervista esclusiva per Ferpi.

Massimiliano Tarantino, nasce a Trieste nel 1975, studi in legge, passioni umanistiche, lavora da una ventina d’anni nel mondo della comunicazione e delle relazioni istituzionali: per otto anni come giornalista e negli ultimi dieci come responsabile ufficio stampa, communication manager o responsabile attività di comunicazione istituzionale per realtà pubbliche o private.
Giornalista professionista, ha lavorato come spin doctor, autore di testi radiotelevisivi, è stato collaboratore di diverse pagine culturali di testate del Gruppo Editoriale L’Espresso dal 1996 al 2003. Ha lavorato come programmista regista, autore di testi e speaker per diverse trasmissioni radiofoniche dei canali nazionali della *RAI *dal 1997 al 2001.
Dal 2002 al 2006 è stato Portavoce del Direttore della Normale di Pisa e responsabile della Comunicazione Integrata della Scuola Normale Superiore. Ha affiancato il prof. Salvatore Settis nella sua attività di consulente del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per la valorizzazione del patrimonio storico artistico italiano.
Dal 2006 al 2013 è nel GruppoTelecom Italia: prima come responsabile della divulgazione e dei rapporti con la stampa di Telecom Progetto Italia, sotto le direttive dell’amministratore delegato Andrea Kerbaker e del Presidente Marco Tronchetti Provera, e quindi dei rapporti con la stampa internazionale per il Gruppo Telecom Italia. Dal 2011 al 2013 è stato responsabile della Comunicazione Corporate di Telecom Italia nella direzione External Relations operandosotto le direttive del Presidente esecutivo Franco Bernabè.
Dal 15 Aprile 2013 ha assunto l’incarico di responsabile Comunicazione Corporate di EFFE2005, holding di controllo del Gruppo Feltrinelli, e di Segretario Generale della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli rispondendo al Presidente Carlo Feltrinelli.
Ha insegnato comunicazione, ufficio stampa e linguaggio del giornalismo presso le Università di Udine, Pisa, Milano Cattolica e Parma.
La Fondazione, sin dalla sua nascita, si è posta l’obiettivo ambizioso di essere un punto di riferimento nella ricerca sociale. Qual è il valore di una fondazione culturale nella società digitale e nello specifico della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli nella società di oggi?
Il ruolo di una fondazione come la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, nata per iniziativa di Giangiacomo Feltrinelli come biblioteca e che è oggi una realtà culturale importante del Paese, può essere interpretato in due modi: da una parte un ruolo conservativo, quindi quello di conservare e mettere a disposizione il patrimonio (nel nostro caso si tratta di 1,5 milioni di elementi d’archivio e 260.000 volumi) nei confronti di chi lo vuole fruire e studiare, dall’altra un ruolo attivo. In questa direzione stiamo costruendo la Fondazione del futuro: a partire dal 2016 avremo una nuova sede nel centro di Milano a Porta Volta. Il progetto architettonico è stato affidato al prestigioso studio Herzog & De Meuron ed è pensato come un luogo per Milano e i suoi cittadini con spazi verdi, piste ciclabili, boulevard. Uno spazio destinato a diventare un punto di riferimento.
Giangiacomo Feltrinelli, anticipando i tempi, aveva compreso l’importanza strategica della comunicazione per le organizzazioni e, più in generale, per la società. La tua nomina, la nomina di un uomo di comunicazione, come Segretario della Fondazione è una novità. Quale ruolo avrà la comunicazione nel rinnovamento della Fondazione?
Nell’attualità e nel futuro della Fondazione la comunicazione avrà un ruolo strategico perché si integra nel ridisegno dell’istituzione. L’Università è fatta fondamentalmente di tre cose: ricerca, didattica e divulgazione. Noi non siamo una realtà accademica ma siamo strettamente in contatto con le università nazionali ed internazionali per le nostre attività di ricerca e di accesso alle fonti documentali e non vogliamo venir meno a nessuna di queste tre componenti. La comunicazione è essenziale per tutte e tre, non solo per la parte di divulgazione.
Il mio ruolo è sicuramente un ruolo di gestione complessiva della macchina ma lavorerò per rendere più accessibili i contenuti e per fare in modo che le ricerche che alimentiamo, il lavoro di valorizzazione del patrimonio che stiamo mettendo in atto ed il network di relazioni internazionali che stiamo sviluppando arrivino al pubblico. Oggi una realtà come la Fondazione deve integrare in se stessa il rigore scientifico e lo scopo primigenio per cui Giangiacomo Feltrinelli l’ha voluta, ovvero aggregare pubblici diversi. Parte del nostro lavoro sarà quello di mantenere intatto l’alto valore scientifico delle nostre attività unendo un lavoro di avvicinamento e di divulgazione a cominciare dal mondo della scuola.
Feltrinelli è da sempre connotato come un cantiere di innovazione. Cosa significa oggi fare innovazione?
Chi sa fare innovazione non si accontenta, osa, va oltre, rompe la barriera del noto, va nel campo dell’ignoto e dopo aver assimilato una serie di curiosità, di conoscenze e di sensibilità, osa qualcosa di più rispetto agli altri e quindi innova in un meccanismo di divulgazione, di ricerca, di aggregazione. Quello che la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli sta provando a fare, per esempio, è innovare nel modello di istituzione culturale e quindi di interpretare il proprio ruolo come motore della cultura milanese del presente e del futuro ma anche come aggregatore delle realtà che possono guardare a questo obiettivo: alimentare la cultura e lo sguardo critico dei cittadini.
La Fondazione di recente ha iniziato a rendere pubblici alcuni testi in digitale. In che modo il digitale può rappresentare un nuovo sviluppo per l’editoria?
A proposito dell’Editoria: gli USA e il mercato anglosassone hanno fatto sì che negli ultimi 12 anni il mercato digitale diventasse il 20% di quello dell’editoria. Ora si è fermato. In questo momento anzi è in leggera deflazione. In Italia è partito molto dopo, circa 5 anni fa. Ha raggiunto percentuali infinitesimali fino a 3 anni fa e poi ha cominciato a raggiungere una consistenza, attorno al 2/3% e si sta stabilizzando. A cosa serve il digitale? Serve a far leggere diversamente chi già leggeva prima? Oppure serve ad avvicinare nuovi lettori al contenuto? Ciò da cui è necessario partire è proprio il contenuto e il fatto che quel contenuto deve arrivare, deve essere noto. Il nostro problema, come paese, è che si legge poco. Bisogna far leggere di più, bisogna far leggere chi non legge e bisogna avvicinare ai contenuti chi non è abituato a vederli come un fattore di crescita. Il digitale può essere funzionale a questo, in modo sinergico, dialogante e complementare con il libro tradizionale. La forza sta anche qui, nel conoscere le potenzialità dei due diversi strumenti e lavorare per una loro perfetta integrazione.
Alla base della tradizione Feltrinelli c’è un forte sostegno alle idee, alla diversità delle idee, alla storia delle idee come base per una partecipazione critica dei cittadini allo sviluppo della società. È ancora così?
Sì, è ancora così. Il nostro fondatore sosteneva che gli italiani devono avere più tempo per leggere; e fu per questo che portò i biliardini dentro le librerie, per renderle luoghi di socializzazione e non luoghi esclusivi. Fu Giangiacomo a girare i libri dalla costa alla copertina perché ci fosse il valore attrattivo della copertina ma anche perché ci fosse un contatto diretto, immediato, tra pubblico e contenuto, grazie all’utilizzo di strumenti di comunicazione geniali, dirompenti e innovativi.
Il fatto di riuscire a comunicare il contenuto, creando dei processi perché quel contenuto diventi idea collettiva, significa lasciare che la società sviluppi in maniera critica il proprio DNA, la propria consapevolezza.
La casa editrice Feltrinelli ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della cultura in Italia. A 60 anni dalla sua fondazione qual è il suo ruolo nel mercato editoriale italiano e quali sono le prospettive future?
La casa editrice ha sempre pubblicato in continuità nel corso dei suoi sessant’anni e ha sempre considerato la cultura come il luogo di accoglienza di un preciso tipo di ideologia in cui l’altro non è mai un nemico ma un’opportunità, in cui la diversità è un fattore di pregio e mai un fattore di rischio. Inoltre ha sempre considerato come costruttiva la critica nei confronti delle dinamiche sociali che ci muovono, qualcosa che deve arrivare al pubblico per farne crescere la consapevolezza.
Nel futuro ci vediamo come produttori di contenuti integrati: abbiamo appena inaugurato un nuovo canale televisivo, la Effe, abbiamo un modello di librerie nuovo, RED – Read EatDream, dove c’è un’integrazione tra cibo di qualità e cultura di qualità. Abbiamo dei percorsi di formazione per chi vuole affrontare la propria carriera nell’ambito della creatività con la Scuola Holden di Torino, abbiamo un nostro mondo legato al Reggio Children, un incubatore che fa education per i bambini dell’asilo.
Essere un produttore di media integrati significa riuscire ad avere un contenuto e riuscire a veicolarlo aggregando il pubblico attraverso tutti gli strumenti possibili.
L’Italia dopo essere stata per oltre 50 anni punto di riferimento culturale e formativo internazionale deve oggi recuperare un profondo gap che la vede agli ultimi posti per il consumo culturale in termini di lettura, formazione dei giovani, ricerca. Su quali aspetti puntare a tuo avviso?
Una recente ricerca dell’OCSE confronta le competenze di base degli adulti (16 – 65 anni) di 24 paesi nel mondo, classificandole in literacy e numeracy. L’Italia è all’ultimo posto nella literacy e penultimo nella numeracy. Per quanto possano valere le ricerche, questa dice però che abbiamo molta strada da fare e dobbiamo puntare sulla formazione. E’ qui la vera chiave della nostra ripresa economica: costruire una politica formativa e culturale legata ai giovani, al mondo della scuola e della ricerca che promuova il recupero di un forte senso civico collettivo e la volontà di contribuire tutti, in maniera più consapevole e costruttiva, al bene comune. Sono convinto che ce la possiamo fare.
Eventi