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Un capitale di cultura da comunicare

02/02/2021

Silvia Bianco

Procida è stata decretata Capitale italiana della cultura per il 2022, battendo Ancona, Bari, Cerveteri, L’Aquila, Pieve di Soligo, Taranto, Trapani, Verbania e Volterra. Silvia Bianco sfata cinque falsi miti e propone un consiglio sulla competizione.

È stata al centro della scena mediatica per qualche giorno, in attesa di esserlo per un anno intero nel 2022, quando Procida sarà Capitale italiana della cultura. Dopo una lunga selezione condotta dalla Commissione nominata dal MiBACT presieduta dal professor Stefano Baia Curioni, l’isola campana ha vinto il titolo battendo Ancona, Bari, Cerveteri, L’Aquila, Pieve di Soligo, Taranto, Trapani, Verbania e Volterra.

Dal momento dell’annuncio le foto delle case colorate di Procida sono rimbalzate dalle pagine dei siti a quelle dei giornali ai social, insieme a una marea di complimenti, seguiti a ruota da qualche domanda, più o meno dello stesso tenore: bellissima Procida ma… la mia città cos’ha di meno?

Sfatiamo subito il primo mito: la vostra città ha dei bellissimi musei? Nel vostro comune sono nati alcuni dei più importanti personaggi della cultura italiana? Le vostre chiese sono affascinanti e pensate sempre che debbano essere valorizzate?

Bene, per quanto siano tutti elementi importanti per il vostro territorio, non servono a candidarvi a Capitale italiana della cultura. Perché non si tratta di una gara di bellezza, bensì di una competizione basata su progetti, idee e strategie.

Per spiegare meglio questo punto prendiamo l’esempio di Settimo Torinese, cittadina della prima cintura di Torino un tempo periferia-dormitorio, candidata al titolo per il 2018 (vinto poi da Palermo). Settimo aveva una buona idea, quella di utilizzare la cultura per ricucire la distanza sociale ed economica tra le periferie e le città. A dispetto di tutti i pronostici, arrivò in finale e il suo progetto ancora oggi è portato come esempio.

La sfida per il titolo di Capitale italiana della cultura si basa sui contenuti del dossier di candidatura, uno strumento che racconta il progetto dell’aspirante capitale. La Commissione (nominata dal Ministro) valuta e ne sceglie dieci, che andranno in finale e affronteranno un colloquio di presentazione. Tra queste c’è di certo la vincitrice. In palio un milione di Euro ma soprattutto la possibilità di fregiarsi per un anno di un riconoscimento che può costituire un importante volano per il territorio.

La mia esperienza “dall’interno” è legata a Volterra, una delle città finaliste di quest’ultima edizione, dove insieme al gruppo di lavoro de laWhite (le mie colleghe Beatrice Ghelardi, Marta Maimone e Simona Savoldi) ho curato l’ufficio stampa, sotto la guida di uno dei più accreditati progettisti culturali Paolo Verri, direttore della candidatura, e del lungimirante Sindaco di Volterra Giacomo Santi. E qui arriviamo subito al secondo mito da sfatare: se dovete occuparvi della comunicazione di una candidatura, abbandonate tutti i modelli che conoscete e preparatevi all’imprevisto. Comunicare un percorso di questo tipo non è come farlo per una mostra, un teatro, un museo: non c’è una scansione temporale precisa e non c’è nessuna base di partenza, perché ogni città è diversa, si colloca in un territorio con storia e punti di forza differenti e, soprattutto, finché il progetto non si compone non saprete quale sarà il contenuto da comunicare. Dunque armatevi di pazienza e di prontezza di spirito.

La terza leggenda delle Capitali italiane della cultura è un’altra frase ricorrente, soprattutto tra gli amministratori locali: se non si vince, non serve. Sbagliato. Tutto sta nel come si utilizza il tempo della candidatura: se sarete capaci di valorizzarlo, comunicando al meglio, avrete comunque fatto un lavoro di (ri)posizionamento e portato dei benefici alla vostra città, primi tra tutti l’orgoglio cittadino e la visibilità.

Un’altra domanda che spesso ci viene fatta: ma la candidatura è una questione politica? No se intendiamo la politica dei partiti, sì se invece pensiamo come pratica dei territori. Sicuramente la visione che è dietro lo sviluppo progettuale è una scelta politica, ma la candidatura in sé è tutt’altro che una questione riservata agli amministratori. Credo fortemente che la cultura sia la base fondante dell’identità collettiva e senza la condivisione e la partecipazione il progetto non possa avere basi solide.

Arriviamo dunque all’ultima grande leggenda sulla Capitale italiana della cultura: è tutto stabilito, la Commissione ha già deciso chi vincerà. Falso. Anzi: mi sa di una frase da “rosiconi”. La Commissione è composta da figure di spicco, con una solidissima esperienza e storia professionale. I termini di valutazione dei dossier sono tanti e sono approfonditi in maniera puntuale. Dunque non c’è nulla da fare: se ci si vuole mettere seriamente in gioco, bisogna tirare fuori le idee, affidarsi a un buon progettista culturale, creare un team di lavoro e costruire un dossier di qualità.

Ma sapete qual è il vero segreto per comunicare una candidatura? Divertirsi, parlare e vivere con le persone, passare del tempo nei posti, e respirarli. Solo così si può davvero fare la differenza.

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