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13.000 studenti di Scienze della Comunicazione solo a La Sapienza di Roma: un successo?

11/10/2004

Qualcuno dice un disastro. Il preside De Masi si dimette. Ma non è così dappertutto, afferma Invernizzi. Parliamone.

La scorsa settimana infatti, perlomeno a Roma, non si parlava d'altro, nell'ambiente universitario: Mimmo De Masi, dopo due anni di grandi progetti come nuovo preside di Scienze della Comunicazione, sbatte la porta e se ne torna a fare il sociologo del lavoro. Luigi Pasquinelli su Il Messaggero del 1 ottobre, lo intervista. De Masi è furioso: «Così non va. In via Salaria, nella facoltà di SDC più grande d'Europa, su 204 docenti ben 134 insegnanti sono a contratto. Troppi iscritti, pochi professori. Una facoltà ha bisogno di studenti, di docenti, di una sede, di laboratori, di strutture. Da noi è un disastro su tutti i fronti. Gli studenti sono troppi. In 5 anni siamo passati da cinque a 13 mila. La Sapienza conta 150 mila iscritti: un mostro, una follia che vanifica il diritto allo studio.Per quanto riguarda i docenti: al Mit di Boston il rapporto è 1 prof ogni 3 studenti. A Madras, in India, 1 ogni 2. In Europa 1 ogni 15. In Italia 1 ogni 19. Nella nostra facoltà 1 ogni 75. Settanta di questi sono in ruolo, 134 lavorano con contratti a termine. Sono pagati 5 milioni lordi di vecchie lire all'anno, non al mese, all'anno. E vengono pagati anche con uno, due anni di ritardo. E' un compenso simbolico, era previsto per i luminari che avrebbero dovuto tenere prestigiosi seminari. Invece è servito per tappare, in modo vergognoso, buchi che sono voragini. E' così in tutte le facoltà, ma la nostra batte ogni record. Le aule in via Salaria sono poche: si tengono lezioni nei cinema, il King, l'Europa e altri, affittati dall'ateneo per alcuni milioni di euro all'anno. Ma devono essere sgomberati alle due del pomeriggio, per le pulizie prima delle proiezioni. In ogni caso non sono aule universitarie. Se vogliamo collegarci a Internet, nell'anno 2004, nella più grande facoltà di Scienze della Comunicazione d'Europa, non lo possiamo fare. Nella nostra facoltà servirebbero studi radiofonici, televisivi, teatrali, cinematografici, dobbiamo insegnare come comunicare in modo moderno e multimediale. Non ce n'è neanche uno. Abbiamo pochissimi computer: ho chiesto al Rettorato di potenziare almeno il nostro sito, sarebbe costato 35 mila euro, abbiamo ricevuto solo promesse non mantenute. Non possediamo neanche una macchina fotografica. Gli studenti più ricchi si sono comprati la cinepresa e qualche apparecchiatura per il montaggio con i propri soldi. Ma il massimo lo si raggiunge con le strutture. In via Salaria c'è un cortile, trasformato in parcheggio. Per due anni ho combattuto per liberarlo dalle 12 auto di professori e bidelli. Volevo trasformarlo in luogo all'aperto con tavoli e sedie per studiare e prendersi un caffè. Dodici auto contro 15 mila persone. Costo zero. Non ci sono riuscito. Certo, qualche risultato positivo l'ho ottenuto: ho aperto la facoltà fino a mezzanotte, ho ottenuto una sala convegni, qualche cinema in più, aumentato da 4 a 5 milioni lordi il famoso compenso per i prof a termine, migliorato il rapporto con gli studenti. Un altro preside si accontenterebbe. Io no. Sono nauseato e me ne vado».Sin qui De Masi. Ma, ci siamo chiesti: è così dappertutto? Abbiamo sentito il parere del nostro socio e amico Emanuele Invernizzi, il più qualificato ad esprimersi.
"Le condizioni della Facoltà di Scienze della comunicazione della Sapienza, di cui De Masi era preside, sono davvero preoccupanti, stando alla sua descrizione apparsa nell'intervista" ha affermato il prof. Invernizzi. "Non vorrei tuttavia che chi la legge fosse portato a generalizzare, pensando che tuttte le facoltà, e tutti i corsi di laurea in rp e in scienze della comunicazione, versino in quelle condizioni.
In effetti la realtà dei corsi di laurea in rp o in scienze della comunicazione sono estremamente variegate: in Italia esistono situazioni disastrose, come quelle indicate da De Masi, accanto a situazioni di eccellenza. Il suggerimento che mi permetto di dare ai giovani che devono scegliere il corso di laurea al quale iscriversi, e alle imprese che devono assumere, è di valutare con molta attenzione gli atenei e i singoli corsi di laurea. In Italia ahimè esiste il valore legale del titolo di studio, che tende a equiparare e livellare realtà profondamente diverse tra di loro. Ciononostante esiste la possibilità di scegliere e di valutare: esistenza del numero chiuso, curricula formativi adeguati con la presenza di corsi professionalizzanti, qualità dei docenti, adeguatezza delle strutture, sono alcune delle variabili che possono orientare la scelta del giovane prima e quella di chi deve assumere poi.
E' anche vero che spesso queste valutazioni non sono facili: è per questo che Ferpi ha iniziato un percorso di analisi dei corsi di laurea in rp e comunicazione d'impresa che porterà alla loro valutazione e poi alla certificazione degli stessi.
Non ci resta che augurarci che questa iniziativa trovi la collaborazione delle università e arrivi presto a conclusione, nell'nteresse di tutti."
Ma a questo punto ci dobbiamo domandare: un numero di studenti di SDC così elevato (non sono in crescita esponenziale solo a Roma, lo sono dappertutto) al quale vanno aggiunti anche quelli che si stanno laureando in relazioni pubbliche, non possono creare un problema di mancato o ridotto assorbimento sul mercato del lavoro?
Proprio su questo tema, Toni Muzi Falconi si era già espresso in una intervista a il Gomitolo apparsa la scorsa settimana sul sito. Ma è bene riprendere un punto specifico, molto importante.
"No, non è vero che il mercato è saturo. Del resto, se fosse vero, sarebbe difficile conciliare questo con il relativamente basso numero (rispetto ad altri corsi di laurea confrontabili) di neolaureati disoccupati a due anni dalla laurea in Relazioni Pubbliche. Molti dicono che il settore è in crisi: se partiamo dal settore più importante del mercato (quello pubblico), solo qualche settimana fa la Corte dei Conti ha reso pubblico un documento che attribuisce agli investimenti in relazioni pubbliche nell'amministrazione centrale un incremento dell'82% (!) nel 2003 rispetto all'anno precedente; ci sono poi le amministrazioni locali e regionali i cui incrementi sono minori ma comunque visibilmente consistenti. Il settore sociale è anche, seppur piccolo, in forte crescita su tutto il territorio nazionale e nell'ambito di quello privato c'è un aumento notevole di imprese che investono, anche se è vero che le grandi imprese tendono a investire meno in attività di consulenza e servizi esterni (per cui il lamento delle agenzie tradizionali…), ma solo perché, probabilmente scontenti dei servizi esterni, preferiscono attrezzarsi al proprio interno. Non parlerei di crisi".
Un ultimo tema, al di là dei numeri, delle migliaia di studenti, dei pochi docenti con specifica competenza, del mercato che assorbe o meno: la metodologia didattica universitaria, così astratta, così legata solo all'ascolto passivo di lezioni teoriche, alla lettura di testi  allo schema domanda/risposta nel corso degli esami, senza quasi un rigo scritto prima della tesi, ecc. 
A questo proposito il collega Clemente Senni osserva: "E' vero, nemmeno un rigo scritto prima della tesi. Personalmente incontro difficoltà nel trovare giovani che sappiano scrivere in modo appena decente. Quando intervisto, in particolare neo laureati in SdC, chiedo sempre se hanno qualcosa di scritto da loro (progetti, esercitazioni, interventi, articoli) in modo da potermi rendere conto della loro attitudine. Beh: quasi sempre non presentano niente di scritto se non la tesi. Ora, il mio non sarà un osservatorio statisticamente significativo, ma trovo sorprendente che possa esistere anche uno solo di questi corsi che non si preoccupi di insegnare a tutti i suoi studenti a gestire quelle che in una professione o nell'altra saranno le esigenze di scrittura."
Ne vogliamo parlare?  Magari non ora, in questo pezzo, ma parliamone. e.c.
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