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2000-2010: come sono cambiate le Rp

30/12/2009

Dalle Torri Gemelle alla me-society, passando per una nuova definizione globale di Rp, la nascita della Global Alliance, l’istituzionalizzazione della funzione e della professione, la nuova centralità delle Rp. Cosa resta degli “anni zero” e cosa ci aspetta.

di Giancarlo Panico


La fine di un anno e l’inizio di quello nuovo è sempre un momento di bilanci. Alzi la mano chi nelle ore precedenti la fine dell’anno o all’alba di quello nuovo non si è trovato a fare bilanci. Quello di quest’anno è particolarmente significativo, e non perché segna la fine degli “anni zero”, piuttosto perché segna il passaggio di un’epoca. I dieci anni che ci lasciamo alle spalle, infatti, mai come i precedenti, hanno cambiato la società in cui viviamo, il modo di relazionarsi, quello di informarsi e quello di comunicare. Hanno cambiato, e non poco, anche le relazioni pubbliche, sia come funzione, sia come professione.


In questi stessi giorni di dieci anni fa la gran parte di persone che lavoravano nella comunicazione e avevano un personal computer erano alle prese con il “millennium bug”, che minacciava l’azzeramento dei computer e delle banche dati, c’era qualcuno che iniziava a preoccuparsi per quella che poi sarebbe diventata la bolla della new economy, qualcun altro che iniziava a pensare come sfruttare la diffusione di Internet e qualcun altro alle prese con i primi telefonini Umts. Ma nessuno immaginava che in appena dieci anni saremmo arrivati a dialogare con i nostri pubblici in tempo reale.


Questa breve riflessione non ha la pretesa di essere esaustiva ma vuole essere un modo per indurre a riflettere su cosa ci lasciamo alle spalle e cosa ci aspetta nei prossimi anni e, nello spirito della Rete, sarebbe bello che ognuno dei visitatori di questo sito provasse a completare la lista che ho cercato di buttar giù.


Cominciamo, allora, con alcuni degli aspetti più macroscopici. Scrivendo dalle pagine di questo sito la prima cosa che mi viene in mente è che dieci anni fa Ferpi, come la gran parte di organizzazioni, private, pubbliche e sociali non aveva un sito Internet. Chi lo ha voluto, Toni Muzi Falconi, rivolgendosi al compianto Franco Carlini che del web, in Italia, è stato uno dei precursori prima e poi uno dei più attenti osservatori, è stato più volte accusato di investire tempo e soldi in uno strumento che non avrebbe avuto successo!


Non esisteva la Global Alliance, non si pensava ad una definizione globalmente accettata di Relazioni pubbliche e tantomeno ai World public relations festival (i festival mondiali delle relazioni pubbliche). Forse non si pensava neanche che la Ferpi, Cenerentola tra le grandi e storiche associazioni internazionali di Rp, avrebbe assunto un ruolo guida o comunque strategico nella comunità professionale internazionale arrivando ad esprimere, negli ultimi anni i vertici delle più importanti associazioni.


Gli “anni zero” per dirla con il termine più utilizzato in questi giorni, hanno segnato importanti conquiste per le Relazioni pubbliche e la professione. Si è passati da una prassi più orientata all’uso di strumenti (quella che Toni Muzi Falconi definisce la comunicazione “a”), che aveva caratterizzato gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, ad una nuova concezione centrata sulla conversazione con i pubblici (la comunicazione “con”). In questi anni, grazie anche alla diffusione delle nuove tecnologie, si è passati da una comunicazione che considerava i destinatari oggetti, bersagli (target), da convincere, da persuadere, ad una comunicazione che considera le persone come soggetti di relazione. Inizia a prendere forma il societing, termine coniato dal nostro Gianpaolo Frabris, per indicare la nuova forma di società relazionale interconnessa verso cui sta andando la nostra società, in cui le relazioni pubbliche ingloberanno, con il tempo, gli altri aspetti della comunicazione dal momento che è nella creazione, gestione e valutazione della relazione che si veicola il messaggio al destinatario.


Un cambio di paradigma che ha obbligato a rivedere e ripensare velocemente il nostro ruolo all’interno delle organizzazioni.


Oggi le Relazioni pubbliche sono considerate, al pari di tutte le altre, una funzione manageriale indispensabile nella governance di organizzazioni complesse; sono istituzionalizzate nel 90% delle grandi imprese (Ricerca IULM/Invernizzi) e hanno un ruolo di primo piano nelle organizzazioni pubbliche più avvedute; hanno assunto un ruolo fondamentale nella comunicazione politica contribuendo e non poco (nel bene e nel male) alla sua mediatizzazione così come a far nascere l’idea di campagna permanente. Dieci anni fa erano veramente poche le organizzazioni private (almeno le prime 100 quotate), pubbliche e sociali dotate di una direzione comunicazione, mentre oggi non solo la hanno quasi tutte ma la funzione è divenuta strategica e trasversale a tutte le altre, è istituzionalizzata. Molto interessante, in proposito, il convegno Euprera 2008 di Milano che ha rappresentato un momento importante di confronto sul tema.


Se è vero che le Relazioni Pubbliche vanno assumendo un ruolo sempre più “pesante” nella governance delle organizzazioni così come nella prassi di comunicazione è anche vero che a loro sono attribuite sempre maggiori responsabilità.


La sfida più importante per i prossimi anni è quella della sostenibilità della comunicazione.


Appena qualche anno fa, nel 2003, una ricerca dell’Università di Berkeley, “How much informations”, ci faceva sapere che in un anno una persona scambiava in media 800 megabyte di informazione. I nuovi media, Internet in testa, stavano cambiando il modo di veicolazione delle informazione. Dopo appena sei anni, sempre dalla California, ma stavolta dall’Università di San Diego abbiamo saputo – il dato è di questi giorni rilanciato in Italia dagli amici di Totem – che “ogni statunitense (ma il dato è verosimile anche per l’occidentale medio) consuma 34 gigabyte di informazione al giorno. E ci impiega 11,6 ore per smaltirla. Di questa, gran parte è di tipo visuale. Tra il 1980 e il 2008 il numero di byte consumati dagli americani è aumentato del 350 per cento, con un tasso annuale di crescita del 5,4 per cento. Il problema – notano i ricercatori – è che il tempo a disposizione per processare questa valanga informativa non si è allungato conseguentemente. Per la cronaca – ci informa la ricerca – gli statunitensi come popolo nel 2008 hanno ingurgitato 3,6 zettabytes di dati: uno zettabytes è un milione di milione di gigabytes”.


Un’abbondanza informativa (per non dire inquinamento) che deriva in gran parte, l’80% – almeno stando ad una recente ricerca inglese – dal lavoro di relatori pubblici e comunicatori in genere. Una grande responsabilità deontologica ancora prima che etica.


Nel 2000 dei blog si sentiva appena parlare e i social network, almeno nell’accezione che conosciamo oggi, non esistevano, così come non esistevano i social media, Facebook e Twitter che hanno influito, e non poco, sulla nascita di quelle che oggi chiamiamo Rp on-line o anche Internet PR.


Siamo definitivamente entrati nell’era digitale, quella che i più chiamano me-society, in cui le principali attività sociali passano per i computer ed in particolare per Internet e hanno nei singoli utenti i principali artefici. E non è più come dieci anni fa, quando per controllare la posta elettronica, accedere a banche dati o navigare in Internet dovevamo per forza essere seduti davanti ad un computer che bisognava connettere alla Rete: oggi siamo “always on”, sempre connessi. E i messaggi, le informazioni, le immagini ci giungono in tempo reale dovunque ci troviamo.


Una rivoluzione cominciata l’11 settembre del 2001 quando sono state le persone stesse a diventare reporter, iniziando l’era del citizen journalism, inviando alle redazioni notizie, immagini, video dell’attentato alle Torri Gemelle. Oggi i social network da cui comunichiamo in tempo reale sono diventati la prima agenzia di stampa, dai twit e dai post sono arrivate le prime notizie del Terremoto dell’Acquila o dei scontri di Theran, solo per fare due esempi recenti.


Un indicatore tra tanti del cambiamento in corso? Nei giorni precedenti il Natale ad Amazon il numero di Kindle venduti, il nuovo lettore di e-book, ha superato quello di libri cartacei. La rapida diffusione dei libri
I primi e-book sono solo l’inizio di una nuova rivoluzione che da qui a qualche anno ci vedrà girare per strada con fogli o tavolette elettroniche (i-tablet) dove leggere il giornale, navigare in internet, leggere un libro o vedere l’ultimo telegiornale e magari tra un pausa e un’altra guardarsi un film ed essere costantemente connessi alle nostre community: gli amici, i colleghi, i familiari.


Mi sono lasciato un po’ andare ma – lo sappiamo tutti – non è fantascienza né tantomeno retorica.


Il futuro è alle porte e chiede a tutti noi uno sforzo collettivo per ripensare la nostra professione e la sua funzione all’interno delle organizzazioni. Perché se è vero, come è vero, che stiamo andando verso una società fortemente relazionale sul terreno c’è la sfida più grande e complessa che le relazioni pubbliche si siano mai trovate ad affrontare: quella di riportare la persona umana al centro della nostra attività.


E dunque torna quanto mai attuale una delle prerogative fondanti e caratterizzanti della nostra professione: l’ascolto.


Ci potranno essere e ci saranno ulteriori e sicuramente radicali cambiamenti negli strumenti utilizzati e nella pratica professionale ma l’anima della nostra professione resta e resterà sempre quella capacità di mettersi in ascolto dei pubblici, di coloro con i quali siamo chiamati ad interagire quotidianamente.


Quelli che si chiudono con il 2009 sono stati dieci anni epocali per chi fa il nostro lavoro, quello che qualche tempo fa, sul magazine della Ferpi ho definito il mestiere più bello del mondo, che hanno cambiato la comunicazione, le relazioni pubbliche e la nostra professione ma che ci consegnano ancora tanto altro da fare.


Tanti gli impegni che ci aspettano: innanzitutto migliorare la formazione, soprattutto quella universitaria; creare più opportunità per i giovani: studenti, laureati e professionisti; ottenere un riconoscimento giuridico della professione: è impensabile che nella società dell’informazione e della comunicazione, informatici e comunicatori siano ancora professioni non riconosciute. Dobbiamo migliorare il dialogo con le altre associazioni professionali della comunicazione, a cominciare dai giornalisti; lavorare per rafforzare il network internazionale…


Le Relazioni Pubbliche sono la professione del futuro, ma non è un dato di fatto!
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