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8 Settembre: Germania, Germania

08/09/2010

A 65 anni di distanza dalla fine della seconda guerra mondiale è forse il caso che i rapporti tra italiani e tedeschi si ammorbidiscano. Un ironico excursus storico di _Paolo D'anselmi_ suggerisce che sia giunto il momento di diventare amici e alleati di un popolo spesso ancora visto con diffidenza dagli italiani. Magari anche con l'aiuto del Papa.

di Paolo D’Anselmi
Germania Germania. Tutti lo dicono. Tutti reclamano la nostra followership verso la Germania. Dobbiamo stare agganciati alla Germania; siamo il secondo paese manifatturiero dell’Unione Europea dopo la Germania. Lo dicono i commentatori lo fanno gli imprenditori: Porsche Consulting si è stabilita in Germania e degli altri, solo in Italia. È il momento di fare pace coi tedeschi. Mi permetto di aggiungere una ragione in più per stare con i tedeschi e qualche suggerimento di cose da fare.
“È brutto quando i popoli non si rassegnano ad essere conquistati.” Sono più o meno queste le parole macho con cui Russell Crowe apre Il Gladiatore. Quella credo sia l’ultima volta che abbiamo picchiato i tedeschi. Da allora in poi sono loro che hanno picchiato noi. Cogliamo l’attimo prima che i tedeschi tornino giù a picchiarci. Cioè per seguire i tedeschi non abbiamo un tempo indeterminato.
In fatti, da Alarico in poi, ogni secolo circa i tedeschi vengono giù per le Alpi e ce le suonano di santa ragione. Vennero i Longobardi giù per l’Engadina sotto la guida dell’abate Martino (Manzoni: Adelchi). Era l’800 circa. Tornarono giù nel Ventisette (il 1527) e misero Roma a ferro e fuoco; tornarono nel Trenta (il 1630) con le masnade di lanzichenecchi (ancora Manzoni), poi si stabilirono con continuità finché nel Diciotto (il 1918) non risalirono dispersi le valli che avevano disceso con baldanza (questi erano gli austriaci a dire il vero, ma fa poca differenza). L’ultima volta è quella che ancora brucia e che impedisce una reale amicizia e cultura tra i due popoli: l’esperienza del ’43-’45 è ancora viva, ancora non si è estinto l’urlo della madre che corre incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo.
Forse sono incazzati con noi che abbiamo questa terra che loro amano tanto e ne facciamo scempio. Abbiamo qualche decennio di tempo prima che tornino. Cogliamo l’attimo storico. Teniamo conto che i tedeschi sono forse non meno straniti di noi della esperienza della seconda guerra mondiale. Sarebbe forse questa una operazione culturale utile: comprendere che loro stessi hanno pagato e pagano ancora quella incredibile follia.
Impariamo la loro lingua, che è meno dura e difficile di quel che sembra. I tedeschi l’italiano lo amano e lo studiano. Stringiamo patti. Facciamo qualcosa. Prendiamo almeno atto che l’Italia di cui abbiamo nostalgia (e che non è mai esistita) quando cantiamo Va’ Pensiero, è una Germania al sole.
Operativamente di tratta di spacchettare pezzi di Italia e fonderli con omologhi pezzi di Germania: Poste, Ferrovie, Amministrazione Penitenziaria, Anas: metà delle nostre e metà delle loro. Le altre metà andranno a comporre organizzazioni concorrenti con le prime, ai mezzi con francesi, svizzeri e sloveni.
Ciascuno faccia la sua parte: telefoniamo all’amico tedesco. Manteniamo buoni rapporti con l’immancabile amica tedesca (non c’è bisogno d’esser bagnini sull’Adriatico). Rendiamoci permeabili a loro.
C’è una favorevole – non banale – congiunzione astrale: il papa. In questo, sì, se Sua Santità Josephus Ratzinger volesse interferire con la nazione che lo ospita e volesse aiutare a legare i due paesi, in questo, sì, sarebbe benvenuto.
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