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A colloquio con Gianluca Comin sulla crisi energetica e la comunicazione dell'Enel

31/01/2006

Piano energetico, comportamenti comunicativi delle imprese e gestione della crisi.

Moltissimi nostri colleghi sono stati intensamente impegnati negli ultimi giorni nella crisi energetica. Abbiamo raggiunto il direttore della comunicazione dell'Enel per un veloce colloquio:1.Ancora comunicazione di crisi. Come avete retto l'urto?A differenza del black out elettrico del 2003, questa volta per noi non si è trattato propriamente di una comunicazione di crisi, in quanto non c'è stata una crisi che potesse mettere a rischio l'immagine dell'azienda o dei suoi vertici.L'allarme gas, opportunamente sollevato dall'Eni, è stato per Enel piuttosto una opportunità per rilanciare alcuni temi legati alla nostra strategia industriale quali, ad esempio, l'esigenza di nuovi impianti di rigassificazione e la diversificazione nel carbone pulito e nell'energia da fonti rinnovabili.Ovviamente è stato necessario un monitoraggio costante delle questioni che emergevano ora per ora, al fine di evitare che responsabilità e critiche potessero, anche erroneamente, esserci attribuite.Abbiamo un piano di crisi che funziona per le piccole e le grandi emergenze, ma questa volta non l'abbiamo attivato.2.Come hanno reagito i media?I media seguono l'energia quasi esclusivamente per il caro prezzi o per la crisi energetica. L'emergenza gas, dunque, ha portato nelle prime pagine una questione che altrimenti è per addetti ai lavori. Abbiamo approfittato del momento per rilanciare la nostra strategia. Va detto che non siamo partiti a freddo. L'amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, aveva avvisato il Parlamento e l'opinione pubblica del rischio di un black out del gas il 14 dicembre scorso. La sua denuncia venne ripresa con rilievo dai giornali, ma con fastidio dalle istituzioni. Dall'8 al 25 dicembre, poi, siamo stati su Tv, radio e giornali con una campagna sull'uso intelligente dell'elettricità. Questa proattività ha aiutato nelle ore della crisi.3.Fino a che punto lo stereotipo che un piano energetico non esiste è dovuto anche ai comportamenti comunicativi delle imprese e delle loro rappresentanze che in questi ultimi anni si sono semplicemente limitati a negarlo, ciascuna andando avanti per la sua strada?Non condivido questa visione che posiziona le aziende contro il "bene comune". Non spetta alle aziende comunicare il Piano energetico, ma da tempo tutte le imprese dell'energia invitano l'opinione pubblica a prendere coscienza del fatto che si devono accettare gli investimenti sul territorio, siano essi per riconvertire centrali da petrolio a carbone pulito, per costruire impianti a gas o per dotare il Paese di rigassificatori e reti. In realtà, si fanno due passi avanti e tre indietro. L'effetto Nimby da noi sta prendendo connotati preoccupanti e non solo nel campo dell'energia, basta vedere alle proteste dei No Tav.4.Quale profilo comunicativo avete scelto rispetto alla crisi energetica?Enel ha scelto una comunicazione di profilo medio, in quanto spettava a Eni la gestione della comunicazione sull'approvvigionamento di gas. Il nostro è stato dunque un atteggiamento di "guardare e reagire", per sottolineare le tematiche a noi care (carbone pulito, rigassificatori...). Ovviamente abbiamo soprattutto fatto una comunicazione mirata con i  principali clienti.(tmf)
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