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A me piace questa di Italia

19/04/2010

_Paolo D’Anselmi_ analizza con ironia e un pizzico di ottimismo l’Italia di oggi. Un paese che non funziona per tanti aspetti ma, provando a “guardare il bicchiere mezzo pieno” e senza dimenticare il passato, in cui si possono trovare lati positivi pur cercando di lavorare per lasciare un mondo migliore di quello che si è trovato.

di Paolo D’Anselmi
“Gentile D’Anselmi, la ringrazio per l’invio della sua newsletter. Lei scrive: “A me piace questa di Italia”. A me fa orrore quest’Italia e chi la sostiene”. Il comunicatore che fino a una mail fa era un amico, d’improvviso ha orrore di me. Non sarà che per distinguermi dalla vulgata deprecatoria vengo meno al dovere di critica? Non sarà che mi sono messo a fare il barbiere di Stalin con piena avvertenza e deliberato consenso? Riprendo il post nel quale avevo scritto la frase incriminata. Era titolato Vittorio Sgarbi ed era il mio solito reportage di strada dalla campagna elettorale: “Su un manifesto campeggia la faccia maliarda di Vittorio Sgarbi, con la mano davanti al viso, nel gesto di intortare il popolo. Sullo sfondo addirittura il profilo di un’aquila, simbolo di indomita arroganza. Né – va detto – è molto meglio la solida faccia emiliana di Pierluigi Bersani col fumetto che dice: insomma un’altra Italia! A me piace questa di Italia e non sento il bisogno di qualcosa che nessuno ha definito. Per non parlare del manifesto del Partito Democratico che vuole tutto e subito: l’assegno di disoccupazione per i precari. E a chi è solo disoccupato, gli diamo l’assegno doppio? Mi ostino a credere che la politica non deve per forza essere così scema. Comunque utile – perché tiene Maurizio Gasparri lontano dai boschi, in giacca e cravatta, senza la bandoliera delle cartucce – ma comunque scema. Mi ostino a credere che questa politica è il risultato del sistema proporzionale che implica grandi collegi che implicano comunicazione astratta e vaga. L’uninominale permette collegi piccoli che permettono comunicazione più aderente alla realtà, meno emotiva”.
Mi pare equilibrato: un colpo al cerchio ed uno alla botte. Corifeo dell’equidistantismo. Gli è soprattutto che la critica ed il piacermi dell’Italia sta su un piano diverso da quello dello schieramento politico. È chiaro che il pezzo non è contro una parte politica ed a favore di un’altra, cerca di muoversi su un piano culturale, delle emozioni del cittadino, il quale critica la politica e ne ha necessità come dell’aria che respira. È un commento sulla comunicazione politica. E per Italia che mi piace non intendo l’Italia governata da Berlusconi e da Gasparri. Vero è che cerco di andare oltre e dico che vi è un piano sul quale perfino i due sopra detti sono sopportabili: è il piano cosmico del “potevo essere nato in Afghanistan e ritrovarmi col mitra a tracolla sin da bambino, potevo – nella lotteria del creato – finire in un lager nazista, potevo essere italiano all’8 settembre come i miei genitori e invece sto qui che guido la Smart e guardo la CNN”.
C’è senz’altro un conflitto di interessi nel farmi star bene l’Italia di oggi e riguarda il desiderio di morire lasciando un mondo migliore di come l’ho trovato, perché questo mi aiuta a pensare che non sono vissuto invano. Dico che mi piace che alla fine delle elezioni c’è uno che fa il presidente della regione e uno che ha perso, è diverso da quando guardavo le tribune politiche con Jader Jacobelli negli anni ’60. Ed è meglio. Anche se vince Renata Polverini.
Ho fatto diciotto anni sei mesi dopo la strage di piazza Fontana a Milano, era il 12 dicembre 1969. Meno di un mese prima era stato ammazzato il poliziotto Antonio Annarumma, prima vittima degli anni di piombo. C’è poco da consolarsi con Italia-Germania 4 a 3. Ho visto uccisi troppi professori. Ezio Tarantelli e Massimo D’Antona li ho sfiorati. Mi pare improbabile che nei venti anni che mi restano da vivere, vedrò un’Italia molto migliore di quella che ho visto divenire negli scorsi sessanta di anni. E allora mi faccio piacere questa. Studio per vedere il bicchiere mezzo pieno. Mi piace questa di Italia perché non credo che per Berlusconi votino quelli che sono antipatici, buttano la carta per terra, saltano le code, evadono le tasse, mentre per Bersani votano quelli che sono buoni, comprano equo e solidale, non hanno il suv. L’esperienza personale insegna che le cose sono molto più mescolate: in famiglia stessa e tra gli amici abbiamo un campione identico alla realtà nazionale. Villani non sono gli altri. E Simona Argentieri ci insegna nel suo aureo saggio L’Ambiguità che non abbiamo consapevolezza delle nostre azioni, parliamo in un modo ed agiamo in un altro.
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