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Alitalia: Toglietemi tutto, non il mio brand

13/10/2008

Marchio e livrea della compagnia aerea passeranno ai nuovi acquirenti. Che, però, dovranno affrontare il nodo del rilancio d’immagine, migliorando la reputazione aziendale.

di Zornitza Kratchmarova


«Il brand Alitalia è un asset e, come tale, va trattato: l’acquirente che ne entra in possesso ha la facoltà di utilizzarlo. Salvo, naturalmente, accordi diversi tra le parti. Stesso discorso per gli altri segni distintivi che caratterizzano la compagnia di bandiera». Parola di Livia Pasqualigo, partner dello studio Buzzi, Notaro & Antonielli d’Oulx di Torino specializzato in proprietà intellettuale.


Quindi niente “Alitalia” o “Alitalia2”. La discontinuità tra vecchio e nuovo vettore non passerà dal nome. E, tanto meno, dalla sigla Az. La stessa Iata, a cui spetta l’autorizzazione all’uso dei codici di volo, sembra orientata in tal senso. Anche da Bruxelles e, più precisamente, dalla commissione Trasporti guidata da Antonio Tajani, arrivano rassicurazioni sul punto: il nome Alitalia va considerato un asset e, quindi, non c’è spazio per la speculazione.


Questione chiusa, dunque? Sul fronte legale, sicuramente, ma «il vero problema è un altro: l’immagine della compagnia ha subito un vero e proprio tracollo negll ultimi anni e andrebbe completamente rivista» sottolinea Furio Garbagnati, Presidente dell’agenzia Weber Shandwick ed esperto di reputazione aziendale.


E’ d’accordo anche Antonio Marazza, amministratore delegato della società Landor Italia, specializzata in branding strategico, che fu la prima a elaborare l’identità di Alitalia nel 1969.
«Stando al brand asset valuator di Young& Rubicam, lo strumento che fotografa lo stato di salute delle marche attraverso 40 mila interviste messe a segno in due anni in tutto il mondo, nel quinquennio 2002- 2007 l’immagine di Alitalia ha perso parecchio terreno» dice il consulente «e, quel che è peggio, ad arretrare sono stati gli indicatori che più di tutti rappresentano la torta di un marchio e la sua capacità o meno di fare presa sui consumatori: “differenziazione” e “rilevanza” scesi, rispettivamente, dal 70 al 45% e dall’80 al 70%.


Restyling inutile. Tradotto: i consumatori non capiscono più perché dovrebbero scegliere Alitalia anziché un’altra compagnia aerea che copra le sue tratte. Anche sul fronte della stima le cose non vanno bene: da un livello vicino a 100% si è scesi sotto la soglia del 90%. E nemmeno il restyling del marchio a cura di Saatchi & Saatchi, introdotto nel 2005 e costato 520 mila euro spalmati tra i bilanci 2005 e 2006, pare abbia giovato. Anzi. «Con una leggera inclinazione del logo e un look generale non certo memorabile si è preteso di trasformare una compagnia statica in una dinamica» taglia corto Marazza. Un po’ poco.


Polemiche a parte, per Manfredi Ricca, business director di Interbrand, non c’è tempo da perdere e «il primo passo da fare è capire come differenziarsi dalla concorrenza». Dando per scontato l’aspetto qualitativo dell’offerta, senza il quale non si può aspirare ad alcun recupero di credibilità, occorre individuare un posizionamento specifico e declinarlo in tutto ciò che significa Alitalia: gli aspetti funzionali, certo, come target di clientela, pricing, tratte e quant’altro; e quelli emotivi.


«Su quest’ultimo fronte va fatta leva sullo stile italiano: inconfondibile» conclude Ricca. Gli stilisti sono avvertiti.


tratto da Economy
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