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Alluvione, comunicazione e populismi: il grande equivoco

31/10/2014

A due settimane dal disastro di Genova è già stato tutto detto? Una riflessione di _Sergio Vazzoler_ su quello che (non) è stato fatto in termini di comunicazione.

di Sergio Vazzoler
Sono passate due settimane dai fatti che hanno affondato Genova e tanti altri territori. Due (lunghissime) settimane in cui c’è stato un ulteriore diluvio di analisi e commenti.
Lasciando perdere qui le valutazioni tecniche e concentrandosi, invece, sulle modalità di comunicazione pre, durante e post evento, segnalo innanzitutto alcuni interessanti contributi circa l’utilizzo dei Social Media e degli Open Data.
Ne hanno parlato Paolo Colli Franzone su “Agenda Digitale” (che mette in luce l’assurdità di sistemi di allerta basati su dati ufficiali e statici), Gianluca Comin nella sua rubrica “Spin Doctor” su Lettera43 (che compie un viaggio impietoso sulle modalità 1.0 della Protezione Civile) e Nicola Pasquale su “WeLand” (ponendo al centro di un’analisi più generale l’utilizzo degli open data e il coinvolgimento dei cittadini tra i rimedi essenziali).
Allargando il campo di analisi, penso occorra anche riflettere sui comportamenti comunicativi di chi ha onere e onore di guidare le nostre città. Già nelle prime ore dell’emergenza pensavo e ripensavo a questo aspetto ma quando i fatti sono ancora in corso è buona cosa rispettare chi si trova in prima linea e le polemiche verso questo o quello sono dannose oltre che inutili. Ma adesso, a emergenza passata, si può dire che di frasi del tipo “nessuno si poteva aspettare una tale concentrazione di precipitazioni in così poche ore” non se può davvero più. Chiamatelo “climate change” o se siete scettici di natura chiamatelo “pippo” ma, insomma, la storia degli ultimi anni ci dice che ormai le “bombe d’acqua” sono la regola e non più l’eccezione: è stato così a Messina, alle Cinque Terre, a Genova, nelle Marche, a Olbia e in tutte le altre aree colpite negli ultimi 10 anni e che hanno causato 79 vittime. E, quindi, per tornare alla comunicazione pubblica, ci dovremmo attendere amministratori più consapevoli del tema ambientale e che facciano pulizia di frasi fatte e immediati autogol utili solo a gettare benzina sul fuoco della rabbia e delle polemiche, per concentrarsi, al contrario, sulla comunicazione di crisi e governare l’emergenza (nelle war room, oggetto sconosciuto in Italia, dovrebbe sempre esserci chi si occupa di comunicazione…).
Ma non è finita qui. Appare ancora più sconcertante la sottovalutazione del “tono” comunicativo dei temi prioritari nel corso della quotidianità amministrativa. E qui oggi è impossibile non far riferimento al Sindaco di Genova, Marco Doria, anche se il discorso è facilmente estendibile a tanti suoi colleghi. Doria è stato eletto a causa di un’alluvione: non sono solo i genovesi a ricordarsi il terremoto politico post-alluvionale che portò alla brusca uscita di scena di Marta Vincenzi e alle successive elezioni vinte meritatamente da Doria. Ma da allora al 9 ottobre 2014 l’attuale primo cittadino genovese come ha affrontato e comunicato la priorità di “messa in sicurezza” del capoluogo ligure? C’erano ricorsi, ritardi e “bastoni” burocratici che bloccavano l’avvio dei cantieri delle opere fondamentali? Ok, che le norme (seppure irritanti) vadano rispettate non c’è alcun dubbio ma la “voce” del primo cittadino non si è di certo levata forte e chiara contro questi blocchi. Le cronache e gli archivi sembrano recuperare solo un paio dichiarazioni nel corso di qualche convegno… Beh, è davvero siderale la distanza da ciò che occorreva fare da parte del primo cittadino: oggi modalità e strumenti di comunicazione diretta certo non mancano per rivolgersi alla propria comunità, per “metterci la faccia” e per cercare forme di alleanza e pressione contro chi si oppone al cambiamento. E, non ultimo, per chiedere una mano ai cittadini e responsabilizzarli nella causa comune.
Alla fine, però, il problema rimane sempre lo stesso: qualcuno continua a scambiare la cassetta degli attrezzi della comunicazione diretta con il populismo. E, di conseguenza, preferisce ancora affidarsi a comunicati stampa e lanciare messaggi dai convegni agli addetti ai lavori, anziché aprire quella cassetta e affrontarne rischi e opportunità. Eppure abbiamo visto anche in questa occasione come il populismo, quello vero, quello del “Grillo del giorno dopo”, sia stato accolto dal popolo genovese e quanto sia diverso dal “governare” al passo coi nostri tempi la dimensione comunicativa!
Font: Amapola
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