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Asset intangibili: misurare l'invisibile

04/08/2004

Intervista al professor Roberto Panzarani sul capitale intellettuale (rilasciata a giugno 2004 per il Credito Cooperativo)

La misurazione dell'invisibile di Marco SerraNegli ultimi decenni, sono emersi nuovi e importanti paradigmi scientifici ed economici che hanno contribuito alla ridefinizione dell'idea di "impresa", di "organizzazione". Di recente alcuni autori si sono concentrati sul concetto di "asset intangibile".Intangibilità significa l'emozione, l'importanza cui assurge l'ideazione e la fantasia, una serie di elementi sicuramente importanti anche prima, ma che oggi destano particolare attenzione e devo dire anche preoccupazione. E proprio da questa preoccupazione nasce l'attenzione a quello che è stato definito capitale intellettuale. Quest'ultimo è un concetto che in questo momento assume un'importanza assolutamente di primo piano, anche perché l'economia di oggi ha la forma della rete, di un network che mette in connessione fra di loro anzitutto un insieme di cervelli, di intelligenze, di menti. È possibile rinvenire anche nell'epoca appena trascorsa degli elementi intangibili: pensiamo al brand, alla marca, al logo, a quello che veniva e viene designato come marchio. Ecco, tutto questo è divenuto esponenziale nell'economia della rete. Quella che appare innovativa rispetto al passato è la possibilità di misurare questi elementi in una prospettiva valutativa. E questa possibilità è allo stesso tempo figlia e madre di nuove discipline manageriali: il cosiddetto asset management con cui si propone lo studio e la valutazione degli intagible. Questi elementi dell'intangibile sono quindi suscettibili di misurazione, possono quindi essere quantificati e monetizzati.Sì, assolutamente. La Borsa è stata probabilmente l'istituzione finanziaria che ha dato il via a tutta una serie di misurazioni di questo tipo avente per oggetto di stima proprio gli intagible. Uno dei fenomeni finanziari che maggiormente accreditano questa affermazione è quello della quotazione in Borsa dei talenti: da David Bowie a Michael Jackson passando per le quotazioni di club calcistici. In altre parole non si fa altro che valutare il talento delle persone con una forma di ripercussione immediata sulla valutazione dei titoli in Borsa. Ponderando questo processo, che è avvenuto se vogliamo spontaneamente, si passa a giustificare l'esigenza di un marketing della conoscenza, della necessità della valutazione, delle capacità intrinseche alle persone che lavorano all'interno di un'organizzazione, di misurazione della diffusione dei talenti che sono propri di un gruppo. Sono, per così dire, elementi che vanno ad integrare il valore dei flussi economici e finanziari nella misurazione del valore di un'azienda. Qual è il percorso che un'organizzazione deve intraprendere al fine di agevolare la valorizzazione dei propri asset intangibili?La grandi aziende hanno la tendenza ad abbracciare in tempi relativamente veloci le mode manageriali che emergono via via. Il problema vero è come si riesce realmente a cambiare e a facilitare elementi nuovi di mercato. Generalmente ci riescono le piccole medie aziende che, per motivi legati alla loro fragilità esistenziale, devono cambiare più velocemente.Quali sono gli elementi "intangibili" su cui le imprese italiane devono puntare per non essere tagliate fuori dal processo di globalizzazione dei mercati senza però perdere la propria vocazione locale?Per prima cosa le piccole imprese, ma non solo, devono investire in cervelli. Il punto fondamentale di questo processo è che l'organizzazione viene basata sulle persone. In altre parole, se le aziende riescono ad acquisire le persone giuste al loro interno è questo il momento in cui diventano competitive. Questo una volta veniva considerato interessante ma non era fondamentale per competere, oggi è irrinunciabile. C'è un'altra cosa su cui riflettere: è l'epoca in cui l'esperienza del lavoro non deve passare necessariamente per la grande azienda perché il tasso di innovazione e di creatività è molto più diffuso che in quel grande laboratorio che poteva essere la grande impresa di una volta.Le banche vengono spesso identificate come soggetti economici antagonisti rispetto al tessuto imprenditoriale che si propongono di servire. Ritiene possibile che questa idea sia frutto di una cattiva gestione dei propri asset intangibili da parte degli istituti di credito?Sicuramente va ridisegnato il rapporto fra banca e imprenditore perché se le banche vogliono diventare agenti dello sviluppo devono strutturare una relazione con il cliente assolutamente diversa. Attualmente si intravedono dei segni di questo cambiamento di prospettiva; faccio riferimento per esempio ad alcune pubblicità di alcuni istituti di credito molto interessanti. Tali pubblicità sono il sintomo che anche le organizzazioni bancarie hanno capito che bisogna agire sugli asset intangibili. Interessanti anche i contenuti degli spot: riferirsi a "la tua banca", significa che in qualche modo il rapporto, il dialogo con la comunità riprende. Insomma, le banche offrono un rapporto di tipo fiduciario e la fiducia è un asset intangibile fondamentale. Non c'è più invece quel rapporto assolutamente standardizzato spesso e volentieri, però, privo di qualsiasi relazione, quasi da grande magazzino, che invece è stata la caratteristica di molte grandi banche del passato. È questo che bisogna modificare, è su questo che è necessario lavorare: il cittadino vuole assolutamente essere seguito dal punto di vista personale, non in modo asettico. Quali ritiene debbano essere gli strumenti o le strategie competitive che le banche italiane, e in particolare quelle locali, debbono porre in essere al fine di contrastare l'erosione del proprio "portafoglio clienti" da parte dei grandi gruppi bancari internazionali?Stiamo uscendo da un periodo lungo una decina d'anni in cui le banche hanno percorso un sentiero denso di fusioni continue e, per essere molto chiari, con un totale disattendimento delle necessità del cliente. Le grandi fusioni di cui sono stati protagonisti gli istituti di credito in maniera quasi esponenziale e con corte derivate – quindi in poco tempo – non hanno portato nessun vantaggio in termini di servizio, in termini di qualità, in termini di affezione. C'è stato un periodo in cui è stata sperimentata in varie forme la banca virtuale, sintomo della progressiva disaffezione del cliente ad un tipo di rapporto tradizionale. Questo tipo di strategie riesce ancora a catturare solo una frazione ridotta del target di clientela perché sottovaluta l'aspetto legato alla parte fiduciaria, elemento, asset, che è molto delicato e che ha degli aspetti di confine veramente molto sottili. In questo contesto è evidente una fuga della massa di clienti delle grandi banche e un ritorno alle banche più piccole.Roberto Panzarani, docente di Processi di Innovazione nelle Organizzazioni presso la Facoltà di Psicologia dell'Università La Sapienza di Roma, è studioso delle problematiche relative al capitale intellettuale in contesti ad elevata innovazione e autore di svariate pubblicazioni.
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