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Caso Ilva: due narrazioni a confronto

01/08/2012

Il sequestro dello stabilimento di Taranto ha aperto una profonda spaccatura non solo tra la magistratura e l’azienda ma anche fra due dialettiche che, in questo caso, sembrano essere agli antipodi: salute ed occupazione. Ma chi vuole superare lo stallo dovrebbe abbandonare le dichiarazioni di principio per passare a una comunicazione meno ambigua, come sostiene _Sergio Vazzoler._

di Sergio Vazzoler
Ci sono vicende, come quella dell’Ilva di Taranto, dove la distanza tra le posizioni dei protagonisti è talmente profonda che diventa impossibile per l’opinione pubblica trovare un punto di sintesi. O si crede a una narrazione della realtà o a quella opposta, non esistono altre possibilità e il tutto, anche per questo, si complica per chi vorrebbe trovare una mediazione, una via d’uscita, una (seppur parziale) soluzione. E proprio coloro che mirano a stare nel mezzo in queste ore rischiano di commettere gravi errori di comunicazione e posizionamento.
Cerchiamo di mettere i piedi nel piatto (comunicativo). Se si sfoglia l’ultimo Rapporto di Sostenibilità dello stabilimento Ilva di Taranto (2010) si legge che tra i valori che hanno guidato le “strategie di rinascita” dell’impianto pugliese ci sono l’ecosostenibilità “come condizione non solo per rispettare normative in evoluzione, ma anche per incrementare il valore generato e distribuito nel territorio al netto dei costi ambientali e per alimentare la fiducia di tutti gli stakeholder” e la salute e la sicurezza “come condizioni essenziali di civiltà e per un rapporto leale con dipendenti”.
Parole e azioni che fanno a pugni con la comunicazione del giudice per le indagini preliminari, Patrizia Todisco, che bolla i protocolli d’intesa sottoscritti dall’azienda tra il 2004 e il 2006 come “una colossale presa in giro” e, snocciolando una serie d’infrazioni reiterate e documentate dal nucleo operativo ecologico, le indica come prova della volontà da parte dell’Ilva “di continuare pervicacemente in un’attività criminale e pericolosa per la salute delle persone».
A seguito del sequestro dell’impianto, l’azienda, tramite un comunicato stampa dichiara “non abbiamo nulla da nascondere, non abbiamo mai avuto comportamenti ambigui (…) siamo sempre disponibili a ragionare con il governo centrale e locale su soluzioni che possano coniugare ambiente e lavoro. Lo abbiamo fatto in questi giorni, lo faremo nei prossimi”.
Due storie, due film, due storytelling opposti: in uno – quella della magistratura – sembra che le forze del bene devono fermare una banda di criminali impuniti, ricercati da tempo e che utilizzano il ricatto del diritto al lavoro per uccidere la vita di chi richiede quel diritto, nell’altro – a firma dell’azienda – si racconta di un’impresa ecosostenibile che opera sul territorio in modo leale e trasparente verso tutti i suoi pubblici, a partire dai suoi dipendenti, per cercare quotidianamente soluzioni atte ad assicurare reddito e salute delle persone.
Ecco, allora, che tra la spy-story e la telenovela si collocano tutte le istituzioni del Paese: il Pontefice, il Presidente della Repubblica, il Ministro dell’Ambiente, il Presidente della Regione Puglia e la maggior parte dei commentatori dei grandi giornali hanno fatto sentire la propria voce puntando sull’“ingiustizia” determinata dal bivio creatosi a Taranto tra occupazione e salute.
Ma nelle buone intenzioni di chi si colloca in mezzo ai “contendenti” si scorge una retorica linguistica che non semplifica la questione ma che, anzi, rischia di lasciarla in stallo e di lasciare il campo libero ai contendenti. Al contrario, se si vuole che i messaggi guadagnino in efficacia, se si intende veramente far percepire ai protagonisti quali siano i comportamenti politici, istituzionali o mediatici conseguenti alle parole, bisognerebbe abbandonare il politically correct delle dichiarazioni di principio per passare a una comunicazione di analisi (reale e coraggiosa) e di sostanza.
Quando la scorsa settimana i mercati e le borse europee sprofondavano sotto l’ennesimo attacco a Eurolandia, una semplice e breve frase del governatore della BCE, Mario Draghi, ha stoppato in maniera inequivocabile le violente scorribande speculative (e non solo…). Il governatore non si è limitato a dire “la BCE farà di tutto per salvare l’Euro” ma ha pure aggiunto “e questo basterà!”: in poche e calibrate parole si è lanciato un messaggio forte, chiaro, netto, autorevole e, soprattutto, facilmente traducibile in azione.
Eccola qui la differenza tra comunicazione autorevole e melliflua: la prima contiene una soluzione, la seconda lascia intatto lo status quo…
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