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Come dirlo?

25/08/2010

Un libro di _Adelino Cattani_ sugli strumenti per esprimersi. Nella recensione di _Giampietro Vecchiato,_ vicepresidente di Ferpi, le ragioni per cui questo volume, un vero e proprio manuale, non può mancare nella libreria di un buon relatore pubblico.

di Giampietro Vecchiato
Tante sono le ragioni per le quali vi consiglio di leggere il libro di Adelino Cattani: Come dirlo? Parole giuste, parole belle . Vediamo prima quelle più semplici e immediate, quelle che si vedono e si apprezzano in libreria, ad un primo sguardo alla copertina, prima ancora di iniziare la lettura:
1. l’autore, Adelino Cattani, insegna “Teoria dell’argomentazione” all’Università degli studi di Padova, Dipartimento di Filosofia, è promotore di un progetto educativo al dibattito, conduce tornei di disputa negli istituti scolastici e una “Palestra di botta e risposta”;
2. il libro è pubblicato da “Loffredo Editore, University Press” nella collana Suadela. Suadela è lo splendido nome dato dai Romani alla Peitho greca, semidea e personificazione della persuasione. Suadela è altresì assunta a personificazione della non prepotenza e del rispetto del pensiero altrui. C’è chi la chiama tolleranza. C’è chi la chiama civiltà;
3. il monogramma irlandese “& dixit” riportato in copertina fonde, in un suggestivo arabesco, fantastico e acrobatico, il dirlo e il come dirlo, messaggio e ornato, dicere e declarare (dal Book of Kells, manoscritto miniato del IX secolo conservato al Trinity College di Dublino).
Se queste suggestioni non vi hanno ancora portato sul sito www.loffredo.it, vi propongo questo raccontino tratto da una “Bustina di minerva” di Umberto Eco intitolato: “Il Gesuita e il domenicano”. Il Gesuita e il Domenicano stanno facendo esercizi spirituali e il Gesuita, mentre recita il breviario, fuma beatamente. Il Domenicano gli chiede come possa farlo e quello gli risponde che ha chiesto il permesso ai suoi superiori. L’ingenuo Domenicano dice che anch’egli ha chiesto permesso ma che gli è stato negato. “Ma come lo hai domandato?” gli chiede il Gesuita. E il Domenicano: “Posso fumare mentre prego?”. Era ovvio che gli fosse stato risposto di no. Il Gesuita, invece, aveva chiesto “Posso pregare mentre fumo?” e i superiori gli avevano detto che si può pregare in qualsiasi circostanza.
Il libro di Cattani affronta proprio il “come” dirlo.
Per essere ancora più convincente vi invito a riflettere su tre chiavi di lettura per leggere il libro che sono contemporaneamente tre skill fondamentali per un manager delle relazioni: strumenti che fanno parte della valigetta degli attrezzi del professionista delle relazioni pubbliche.
Innanzitutto, la capacità di scrivere (e quindi di informare). La scrittura è infatti lo strumento più utilizzato dal professionista di RP: per informare, per comunicare, per progettare. Tanto che John D. Graham afferma “Noi cerchiamo gente che sa scrivere perché, in ultima analisi, non siamo altro che un’agenzia di scrittura”. Elementi fondamentali di questa abilità sono la correttezza della composizione, l’articolazione delle idee, l’abilità nel suscitare l’attenzione e la capacità di persuasione. Inoltre, anche la scrittura richiede “empatia”: quando si scrivere bisogna sapersi mettere dalla parte di chi legge. E’ quindi necessario fare molta attenzione alla chiarezza e alla leggibilità e va ricercato un costante equilibrio tra scrivere tecnicamente bene e scrivere in modo interessante. In ogni caso l’obiettivo è sempre quello di conquistare l’attenzione e l’approvazione del lettore.
Il secondo strumento è la capacità di argomentare. Come dice Toni Muzi Falconi (nel suo fondamentale “Governare le relazioni”, Edizioni Sole 24 Ore) “la capacità di argomentare è il cuore delle relazioni pubbliche. A differenza di altre discipline della comunicazione come la pubblicità e le promozioni che “affermano”, le relazioni pubbliche “argomentano”. Di qui la loro complessità relazionale e la tendenza degli studi più recenti a valorizzarne gli aspetti “negoziali” rispetto a quelli esclusivamente “persuasivi”.
Il terzo strumento è l’abilità di persuasione. Abbiamo visto che una delle principali attività del relatore pubblico è quella di argomentare (advocacy) – per conto di un committente che può essere una persona, un’organizzazione, una causa – con l’obiettivo di convincere i pubblici su una questione che sta a cuore al committente (sostenere una posizione). Quest’attività di convincere gli altri del nostro punto di vista si chiama “persuasione”: il modo in cui la conduciamo fa sì che l’argomentare ed il persuadere siano a elevato rischio etico e carichino il relatore pubblico di responsabilità gravissime. Come afferma Patricia Parsons, infatti, spesso i relatori pubblici sono ricorsi, in nome della persuasione, a tecniche che oscillano dalla persuasione alla propaganda, dalla verità alla manipolazione o alla menzogna.
Per essere efficace la comunicazione deve rispondere a tre principi fondamentali: il messaggio deve essere compreso, deve essere accettato dal ricevente, deve essere ricordato. Quando una comunicazione viene accettata, viene ricordata e riesce a modificare i comportamenti delle persone, viene chiamata comunicazione persuasiva.
Ma c’è un’altra chiave di lettura – la quarta – da utilizzare per leggere questo libro: il “come” si dicono le cose è infatti e spesso fonte di conflitto nei rapporti interpersonali a tutti i livelli, in ogni organizzazione. La comunicazione aiuta le persone a soddisfare due bisogni: da una parte, essere capiti, stimati ed apprezzati; dall’altra, comunicare efficacemente con gli altri. La comunicazione efficace richiede lo sviluppo di skill e competenze nel formulare chiaramente e senza ambiguità i nostri messaggi, in funzione dell’effetto che si vuole ottenere sul ricevente (ascoltatore). Comunicare in modo autentico ed efficace significa, in altre parole, comunicare con gli altri rispettando sé stessi, sforzandosi di percepire la realtà (propria, altrui, del contesto) nel modo più chiaro e trasparente possibile. L’autenticità e i contenuti etici della comunicazione possono però essere “traditi”, spesso in modo inconsapevole, con estrema facilità. Un movimento della mano, una smorfia non controllata, un sorriso appena accennato, uno sguardo sfuggente, una incerta stretta di mano, un improvviso cambiamento nel tono della voce, un’ambiguità lessicale, una particolare costruzione del messaggio, ecc. possono infatti modificare, in modo determinante, il “senso” di un messaggio che può essere interpretato in maniera distorta, ambigua, opposta alla volontà dell’emittente.
Adelino Cattani insegna Teoria dell’argomentazione; ma non a Scienze della comunicazione, né a Relazioni pubbliche: alla Facoltà di Scienze della formazione, Dipartimento di Filosofia.
Se i riferimenti ad alcuni strumenti concettuali della professione non vi hanno ancora convinto a recarvi in libreria, provo ad usare, direttamente dal libro, le parole di Confucio. Fu infatti chiesto a Confucio: “Dove cominceresti se dovessi governare il popolo?”. “Migliorerei l’uso del linguaggio” – rispose il maestro. Gli astanti rimasero sorpresi: “Ma non c’entra con la nostra domanda!” dissero, “Che significa migliorare l’uso del linguaggio?”. E Confucio rispose: “Se il linguaggio non è preciso, ciò che si dice non è ciò che si pensa; e se ciò che si dice non è ciò che si pensa, le opere rimangono irrealizzate; ma se non si realizzano le opere, non progredirà né la morale né l’arte; e se l’arte e morale non progrediscono, la giustizia non sarà giusta, la nazione non conoscerà il fondamento su cui si fonda e il fine a cui tende. Non si tolleri perciò alcun arbitrio nelle parole. Ecco il problema primo e fondamentale”. Abusare delle tecniche di persuasione per influenzare gli altri e l’opinione pubblica: ecco il rischio più grande per un relatore pubblico (ogni riferimento alla situazione del nostro paese non è casuale).
Conclusioni.
Prima conclusione. Possiamo affermare che l’uomo si definisce per la sua vocazione alla parola e quindi alla relazione con l’altro. La parola però è passibile di mille metamorfosi (pensate alla frase: “Non ho mai conosciuto nessuno come te!” e alla sua carica di ambiguità), oppure possiamo esprimerla direttamente, indirettamente, urlare o sussurrare (pensate alla frase Vietato sfogliare le riviste piuttosto che a Comprereste una rivista già sfogliata?). Non c’è quindi un modo unico e obbligato di dire qualcosa (quando attenuiamo una lode negandone il contrario; “non è uno stupido” significa “è piuttosto intelligente”) e spesso il come ha la meglio sul cosa (il contenuto). Il come vince. Nel profondo e insieme divertente libro di Cattani il lettore troverà tante risposte al come dirlo. Ecco una lista non esaustiva degli argomenti più stimolanti: parlare per comunicare; dirlo con un nome diverso; parlare per chiarire (o parlare per oscurare?); parlare con lingua biforcuta; dire il falso dicendo il vero (e viceversa); dire bene male dicendo; offendere senza offesa; dirlo in modo accettabile.
Seconda conclusione. A questo punto vi chiederete chi sono, secondo l’autore, le persone e/o le professioni più a rischio nell’efficacia comunicativa. Cattani individua almeno quattro categorie professionalmente predisposte al doublespeak: i giornalisti, i politici, gli accademici, i pubblicitari. Categorie che l’autore strapazza con raffinato sadismo, ma spietatamente obiettivo e sincero. Stranamente nella lista non ci sono i Relatori Pubblici e gli spin doctor. Colleghi relatori pubblici, facciamo in modo che la prossima edizione del libro non includa anche la nostra professione tra quelle accusate di doublespeak!
Concludo “veramente” citando un antico proverbio arabo: Ogni parola, prima di essere pronunciata dovrebbe passare tre porte. Sull’arco della prima sta scritto “È vera?”. Sulla seconda campeggia la domanda: “È necessaria?”. E sulla terza è scolpita l’ultima richiesta: “È gentile?”.

COME DIRLO?
Parole giuste, parole belle
Adelino Cattani
Loffredo Editore, University Press
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