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Come la pandemia può cambiare la comunicazione?

27/05/2020

Diana Daneluz e Mauro Covino

Cinque lezioni dall’era Covid-19. Sono quelle emerse dall’incontro organizzato dalla Delegazione Ferpi Lazio, lo scorso 21 maggio, con Luigi Di Gregorio, docente di Scienza Politica presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo dell’Università della Tuscia di Viterbo.

Proseguono gli incontri settimanali online proposti da FERPI Lazio, che ha mantenuto e mantiene così il contatto visivo con la propria base associativa e non solo. Il virtual talk più recente ha impegnato lo scorso 21 maggio Luigi Di Gregorio, docente di Scienza Politica presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo dell’Università della Tuscia di Viterbo. Con lui, Massimo Di Cintio, delegato FERPI Abruzzo e Molise e Alessandra Grasso, delegato Ferpi Liguria. L’incontro, aperto per gli onori di casa da Giuseppe De Lucia, delegato Ferpi Lazio, è stato moderato da Mauro Covino, Consigliere FERPI Lazio.

I delegati ospiti hanno parlato delle conseguenze della Pandemia dal punto di vista comunicativo. Alessandra Grasso riguardo ad alcuni aspetti positivi, come un accesso democratico alla comunicazione, l’apertura di nuove opportunità, nuovi canali, nuovi pubblici. Di contro, tanta confusione e rumore di fondo che hanno suscitato una voglia di affidarci, di fiducia, di sostenibilità, di nuovi incroci di competenze e scambi tra i vari mondi. Per esempio nel Terzo Settore. E ha fatto l’esempio di “Good Morning Genova”, una comunità che in pochi giorni ha raggiunto un numero impressionante di followers. Massimo Di Cintio ha rappresentano uno scenario composito: per quanto riguarda gli strumenti di comunicazione, il Digital Divide si è forse naturalmente ridotto. O meglio, chi utilizzava già prima strumenti tecnologici, lo fa meglio. Gli altri sono ancora in difficoltà: la fruizione della tecnologia per comunicare non è ancora ovunque diffusa, specie nei piccoli Comuni, specie nella PA. La pandemia si è rivelata fattore di accelerazione del cambiamento anche all’interno delle organizzazioni, ma senza una capacità gestionale della comunicazione il livello sarà basso. Emerge la necessità di dotarsi di professionalità capaci soprattutto di leggere la complessità dei tempi prima ancora che di comunicarli. L’asse si sposta ineluttabilmente sul prevenire, fornire anticipazioni, renderci proattivi piuttosto che reattivi. Forse c’è anche l’occasione da cogliere di provare a riportare il ‘lungo periodo’ nella politica. Competenze ibride, tenendo presente che qualcosa della comunicazione non è stato tuttavia cambiato dalla Pandemia: comunicazione è relazione, incontro con l’altro.

Invertire la marcia. Di Gregorio ha commentato queste osservazioni insistendo soprattutto sulla crisi delle leadership, così come sulla crisi di percepito, se pensiamo agli orari improbabili delle conferenze stampa convocate dal Presidente Conte. Ma ha anche cautamente ammesso la necessità di uscire dal tunnel del presente prima di poter valutare con sufficiente approssimazione quello che abbiamo visto e quello che saremo. Per questo il suo ultimo contributo, confluito nell’Instant book “Dopo. Come la pandemia può cambiare la politica, l’economia, la comunicazione e le relazioni internazionali” - a cura di Alessandro Campi e reso disponibile gratuitamente al link: https://www.store.rubbettinoeditore.it/dopo.html - intende offrire per lo più una griglia,  per osservare una crisi che è un inedito globale: per la portata, per la durata, per la intensità che ha visto coinvolte in un lockdown contemporaneamente 4 miliardi di persone: un mondo straordinario completamente diverso dal mondo ordinario.

Di fronte a questa extra-ordinarietà, Di Gregorio vede come necessarie almeno 5 inversioni di marcia: 1) Il bisogno di chiusura cognitiva: riempire le incognite non con illazioni: in questi mesi hanno galoppato le teorie complottiste perché nell’individuo medio prevale un pregiudizio di proporzionalità. Fatica a vedere la Natura come causa, gli è più semplice pensare che “ci sia qualcosa dietro”. L’inversione di marci dovrebbe consistere nell’aspettare la prova prima di condividere alcunché. Proviamo, dice, almeno come singoli, a testare la veridicità di quanto contribuiamo a diffondere; 2) il bisogno di rassicurazione: l’inversione della media logic basata sul sensazionalismo 3) il bisogno di gratificazioni immediata: l’inversione della fast politics. Il virus ha colpito in un momento in cui eravamo molto fragili, una società dell’Io priva di difese psicologiche date da forti credenze religiose o ideologiche, quei mondi dove tradizionalmente si costruiva il “noi” – Parlamento e Chiese – chiusi; ; 4) il bisogno di una comunicazione di crisi: il percepito conta più del reale.L’Italia ha un’ottima protezione civile e unità di crisi, ma sono unità di crisi per la gestione reale delle crisi e non per la gestione della percezione della crisi. E questo è già un segnale organizzativo, dove la comunicazione pensa che la crisi finisca con il risolversi dell’emergenza che l’ha provocata. Invece restano da ricostruire fiducia e reputazione; 5) il bisogno di leadership: riempire il vuoto di futuro.

Cosa non ha funzionato? Oltre le sue griglie Di Gregorio ha provato anche a capire cosa non sia andato: la mancanza di strutture di crisi management; scelte sbagliate sugli stessi orari delle comunicazioni; il format delle comunicazioni istituzionali; perché usare Facebook? I toni stessi della comunicazione, che dalle intenzioni empatiche, sono presto scaduti in paternalistici e, in qualche caso, grotteschi; la scelta degli emittenti delle comunicazioni; la gestione ‘scombinata’ tra Stato e Regioni; l’assenza di ‘portavoce’ all’americana. Il politico “sa” lui come e quando comunicare. E fa danni.

Dalla platea (virtuale) tante domande e stimoli. Ferruccio Di Paolo ha ricordato la necessità di inquadrare la comunicazione di crisi da parte dei suoi responsabili in un adeguato frame narrativo, e secondo una strategia condivisa. Antonio Mangiola ha sottolineato la gravità di quanto accaduto perché seppure riusciremo a dimenticarci dell’evento in sé, non riusciremo a dimenticare come ci ha fatto sentire. Francesco Rotolo ha parlato di menti “a lungo confinate sull’attuale”, quindi fragilità, poca capacità di visione. Si chiede come uscire da una crisi culturale che era già precedente? La risposta è, probabilmente in termini di intelligenza collettiva. Emidio Piccione partendo dalla ricerca sulla fiducia degli italiani nei brand durante l’emergenza epidemiologica ha riportato come 92% del campione ha manifestato di aspettarsi che le aziende cooperino con il Governo per affrontare la crisi. Invece c’è stata una mancanza di ascolto degli stakeholder principali, testimoniata ad esempio dall’assenza degli imprenditori nelle Task force governative. Vincenzo Manfredi ha mostrato apprezzamento per l’analisi critica ascoltata nell’appuntamento con Di Gregorio della comunicazione del Governo in questa crisi. E poi tanti altri imput come quelli sulla ritrovata solidarietà, sulla necessità di sensibilizzare alla cultura della comunicazione, ribadendone il ruolo professionale, che ancora a molti sfugge ed altro ancora.

Ultime battute. Di fronte ai tanti feedback, Di Gregorio chiude con qualche cenno di pessimismo e lo sguardo però puntato avanti. Fare marcia indietro dall’egocentrismo, dalla logica del carpe diem verso un nuovo modello di sviluppo non sarà facile. O ancora, riguardo alle leadership, in tutto l’Occidente è salito il gradimento dei leaders, ma ciò ha generato anche effetti dannosi sulla liberà di parola e di pensiero. Abbiamo l’opzione culturale, però, avverte Di Gregorio e qui FERPI potrebbe giocare – lui ne è convinto e ne siamo convinti noi – un ruolo importante di riflessione, studio e affermazione di una buona comunicazione, di crisi e non solo. A concludere il talk Mauro Covino, ponendo in luce che in questa Pandemia sono esistiti ed esistono tre segmenti che non sono mai entrati in reale contatto: le teorie (a cura dei medici e degli scienziati), le opinioni (a cura dei comunicatori) e le analisi dei Big Data (a cura degli specialisti del settore). Questa mancata interrelazione ha probabilmente causato il corto circuito mediatico di cui siamo stati tutti vittime. Speriamo che ciò ci serva da lezione per il futuro.

 

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