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Comunicatori come pionieri

17/04/2020

Diana Daneluz

La comunicazione – e non solo – che verrà secondo il Direttore Generale CENSIS, Massimiliano Valerii, protagonista dell’incontro organizzato lo scorso 16 aprile dalla Delegazione Ferpi Lazio.

Con gli appuntamenti de Il Mondo in una Stanza, Ferpi Lazio ha inaugurato una serie di momenti di ascolto di professionalità altre dai comunicatori per una fotografia della società durante l’emergenza epidemiologica e in vista del suo auspicabile superamento. Punti di vista sociologici, filosofici, storici ed altro, capaci di aprire una finestra su questo nuovo mondo e di fornire strumenti ai professionisti della comunicazione per lo svolgimento del loro lavoro.

Giovedì 16 aprile è stata la volta del direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii, che dialogando nella conversazione moderata da Giuseppe De Lucia con i soci Daniela Bianchi, Jerry Del Core e Biagio Oppi – che hanno messo sul tavolo le loro opinioni e stimolato alcuni importanti interrogativi – ha offerto la propria visione del possibile futuro “da generare”.

Partendo dai dati, che da demografo esperto costituiscono da sempre il suo ancoraggio alla realtà, ma ibridandoli con le proprie convinzioni e letture della società e della storia, Valerii ha innanzitutto voluto sgombrare una volta di più il campo dalle retoriche politiche del passato: concetti come democrazia dalla rete, globalizzazione=benefici (pur raccontando numeri alla mano quali in effetti siano stati, seppure accompagnati da un rovescio della medaglia), Europa unita, sono entrati in forte contraddizione, così come si è acuito il divario tra èlite e popolo. Essenziale per lui recuperare invece una dialettica socio-politica, un recupero nel quale i corpi intermedi tanto bistrattati hanno/potrebbero avere un grande ruolo ed una grande responsabilità.

Nell’analisi di questo unico momento storico, Valerii ha intravisto tre fasi, succedutesi in rapida, rapidissima, sequenza, cui hanno corrisposto altrettanti fasi di narrazione comunicativa: la scoperta del virus, ma percepita come evento lontano, altro da noi, durante la quale sono entrate in crisi le reti lunghe delle relazioni (confini, esportazioni, importazioni, mobilità); la constatazione della presenza del virus in casa, con epicentro per giunta in un piccolo, ma fondamentale, territorio, importante per il tessuto produttivo del Paese. E qui ad entrare in crisi sono state le reti corte delle relazioni, ad esempio quella osmosi tra manifattura del nord e la città con i suoi servizi evoluti di commercializzazione e marketing; infine l’avvento della pandemia e la chiusura in casa, che ha spezzato le reti più intime, quelle della socialità, dell’amicizia, finanche degli affetti.

Durante la prima fase, a dominare è stato il linguaggio della scienza. Ad esso si è presto affiancato quello degli analisti, a porre l’accento sulle conseguenze della crisi economica, legata a doppio filo a quella sanitaria. Un linguaggio che non deve, avverte Valerii, essere considerato cinico, perché indubbi sono i risvolti sul piano del tessuto sociale anche della crisi economica, oltre che di quella medico-sanitaria.

Ma ad affiorare è anche un terzo linguaggio, quello della politica, nel suo senso più alto di nostro linguaggio comune. E qui il rischio c’è: se a questo linguaggio della politica dovessero restare attaccate, anche dopo l’emergenza, categorie estreme come quelle di ‘contagiati’ e ‘immuni’ quali paradigmi della politica stessa; se prevarranno le polarizzazioni – di cui ci sono già tante avvisaglie – e i nazionalismi nel loro senso più difensivo, più chiuso; se si tornasse a frontiere impermeabili, per Valerii  avremmo intrapreso al bivio la strada sbagliata. Le norme di distanziamento sociale, avverte, e lo fanno in molti, non devono diventare viatico per una immunizzazione dall’altro. Sono fenomeni delicati e importantissimi, che ci toccano nella nostra vita più profonda, ma anche fenomeni complessi, che richiedono risposte non semplici o volutamente semplificate, ma complesse e una governance, per Valerii, senz’altro sovranazionale. E il problema dell’Unione Europea e delle sue risposte forse inefficaci è per lui è un problema di effettivi poteri dei suoi organi, rispetto a quelli dell’Eurogruppo, dove non c’è integrazione, ma sovrapposizione di voleri dei diversi Stati nazionali che ne fanno parte.

Pessimismo o ottimismo? L’analista vuole avere qui una visione lunga, di opportunità per la costruzione di istituzioni politiche migliori, ma a patto, appunto, di non semplificare.

A questo proposito innegabile il ruolo fortissimo che in queste settimane hanno avuto, nel bene e nel male, l’informazione e la comunicazione, con una definitiva affermazione dell’era biomediatica: una vera e propria voracità nelle diete mediatiche nutrite con numeri da record tanto da informazioni provenienti dai mezzi tradizionali quanto dal digitale, con le nostre stesse opinioni a diventare, grazie ai social, comunicazione e con le annunciate App che consentiranno una integrazione della tecnologia nella nostra esistenza che non ha precedenti. Informazione, comunicazione, esistenza come parti di una stessa realtà, integrate per il mezzo dei nostri dispositivi personali.

Fin qui lo scenario per chi vive di questo: analisi del presente e costruzione di impalcature di senso per il futuro.

Ma quale ruolo, invece, e quale responsabilità per i professionisti della comunicazione? Alla narrazione di una scarsa credibilità o poca fiducia nei comunicatori presso gli stakeholder, Valerii contrappone la certezza di una forte domanda alla ripartenza – ma già qui ed ora nell’immaginare quella ripartenza – di buona comunicazione, da parte di istituzioni, organizzazioni, aziende e delle stesse persone comuni. Tutti, indistintamente, hanno, avranno, bisogno di comunicare e di farlo bene. Come? Attraverso sicuramente l’ancoraggio ai valori, meglio se condivisi, e senza abdicare alle logiche e al miraggio della disintermediazione digitale, con convinzione e fiducia nelle proprie competenze. Se è vero che a tutti i livelli si sta scrivendo una pagina nuova della storia, anche dal punto di vista della comunicazione,  i relatori pubblici, i comunicatori, paiono a Valerii “pionieri”, così li ha definiti, di fronte alla sfida di sperimentare soluzioni comunicative e linguaggi inediti che raccontino quella che è e sarà una situazione inedita, non solo nella nostra società, ma nell’umanità intera. “La notte di un’epoca” è il titolo del saggio di Valerii, pubblicato a luglio scorso. Può sembrare un titolo negativo, ma è tutt’altro.

Non c’è sempre un’alba?

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