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Conversando con… Emmanuele Francesco Maria Emanuele

18/07/2014

Al via una nuova rubrica, in cui _Elisa Greco_ incontrerà alcuni dei più autorevoli esponenti del mondo culturale italiano. Questa settimana, in esclusiva per Ferpi, l’intervista con il Presidente della Fondazione Roma, _Prof. Emmanuele Francesco Maria Emanuele,_ nell’ambito degli Stati Generali della Cultura e del decreto legislativo Art Bonus.

di Elisa Greco (*)
A lei, Professor Emanuele, che è un sostenitore, fin dalla prima edizione, degli Stati generali della Cultura chiediamo le sue considerazioni sul decreto Art Bonus, fil rouge e protagonista dell’ultima recente edizione.
Da molti anni ho sostenuto l’esigenza che il nostro Paese si dotasse, come quasi tutti i Paesi occidentali, di una legge sul mecenatismo. Anche in occasione dell’edizione 2013 degli Stati Generali della Cultura, tenutasi a Milano, avevo reclamato un provvedimento che favorisse l’intervento dei privati per la valorizzazione del nostro straordinario patrimonio culturale. Finalmente questo mio stimolo si è trasformato in realtà, grazie al decreto Cultura varato dal ministro Dario Franceschini. Il cuore di questo pacchetto di misure è rappresentato dall’artbonus, ossia l’incentivo fiscale a favore del mecenatismo, costituito da un credito d’imposta, del 65 per cento, per le donazioni dirette a interventi di manutenzione e restauro di beni culturali pubblici, musei, siti archeologici, biblioteche e teatri pubblici, fondazioni lirico sinfoniche. Il decreto prevede norme sulla semplificazione a favore delle imprese turistiche e la creazione di «circuiti nazionali di eccellenza», sempre in ambito turistico. L’ottica è quella di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale e di utilizzarlo come leva per far crescere i visitatori del nostro Paese, modificando al tempo stesso il sistema ricettivo e quello di promozione del marchio «Italia». Un’altra misura prevista dal decreto «Franceschini», di cui parimenti da anni proponevo l’introduzione, è rappresentata dal fatto che le entrate di musei e siti archeologici andranno finalmente, in maniera integrale, alle strutture che le hanno prodotte. Anche in questo caso, non si tratta di una novità assoluta, perché era stata già prospettata dalla legge n.112/2013 «Valore Cultura» voluta dall’ex ministro Massimo Bray. Adesso questo elemento viene ulteriormente perfezionato: una piccola, semplice, ma significativa rivoluzione, che segna un punto di forte discontinuità con il passato. Prima l’incasso dei ticket d’ingresso e delle royalties pagate dai gestori privati dei servizi aggiuntivi finivano in un fondo unico del ministero dell’Economia e delle Finanze, che ne assegnava una parte al Mibact. Questa parte veniva poi ridistribuita a tutti i musei, secondo criteri piuttosto complessi e burocratici. Il ministro ha annunciato che sono già pronti 3,5 milioni di euro della prima tranche relativa a gennaio-marzo 2014, i quali saranno ridistribuiti assegnando a ogni museo o sito quanto incassato nel periodo. I soldi saranno trasferiti ogni tre mesi e dovranno essere impiegati per la valorizzazione, la conservazione e la sicurezza dei siti culturali. Questa misura va nella giusta direzione, quella cioè di premiare chi riesce a produrre valore, anche economico, dall’offerta culturale, mediante una gestione manageriale in grado di coniugare tutela e valorizzazione, finanziamento pubblico e contributi privati. Altro elemento largamente positivo previsto dal decreto, e da me chiaramente richiesto, così come emerge dalla lettura del mio libro Arte e Finanza del 2012, è l’introduzione della figura del manager, ovvero un amministratore unico che si affiancherà al soprintendente e avrà competenze gestionali per la valorizzazione del bene.
Nella sua relazione, ha sottolineato il valore aggiunto prodotto dalle industrie culturali e creative e il loro esser volano di produttività. L’economia della conoscenza, quindi, quanto e come può incidere nella visione strategica del nostro Paese?
Nella mia relazione ho citato i recenti dati presentati dalla ricerca della Fondazione Symbola e di Unioncamere, secondo cui le industrie culturali e creative si confermano un pilastro del made in Italy e continuano a muovere una quota consistente dell’economia nazionale, 214 miliardi di euro, il 15,3% del valore aggiunto, e danno lavoro a 1,5 milioni di persone, ossia il 6,2% del totale degli occupati, includendo settore pubblico e non profit. Questo processo virtuoso avviene nonostante il disinteresse, ampiamente manifesto, della classe politica. Tutti i governi, di ogni colore, che si sono succeduti alla guida del Paese negli ultimi anni hanno destinato alla cultura cifre a dir poco risibili. Nel 2013, per fare un esempio, i contributi pubblici alla cultura sono stati pari allo 0,1 per cento del Pil. Si tratta di una visione miope, e non solo perché ovunque la cultura è considerata giustamente uno strumento di crescita economica, ma perché il nostro Paese ha una storia di creatività e un patrimonio culturale con pochi rivali al mondo. L’economia della conoscenza è strategica per l’Italia e lo studio delle materie umanistiche non può essere considerato un vezzo intellettuale. Anzi, a questo proposito ho molto apprezzato il fatto che il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, abbia fatto proprio un altro mio vecchio cavallo di battaglia, ossia la reintroduzione dello studio della storia dell’arte nelle scuole, a tutti i livelli. Mi auguro che questi siano i segnali di un radicale cambio di mentalità, perché sono convinto da tempo che la cultura sia il motore della ripresa del nostro Paese, “l’energia pulita” in grado di rappresentare la leva del nostro sviluppo economico. “Energia pulita”, non petrolio, che è materia in prospettiva esauribile, nonché altamente inquinante.
Qual è il valore della meritocrazia e il ruolo del management nella gestione del patrimonio culturale (con riferimento al suo ultimo libro Arte e Finanza)?
La meritocrazia, la gestione di un bene culturale da parte di chi ha le competenze giuste, è il punto fondamentale. Come detto, il decreto Franceschini prevede l’adozione della figura del manager, a cui viene dato l’incarico di affiancare il soprintendente, in modo da valorizzare un determinato sito culturale. L’auspicio è che questa figura non venga selezionata in base alle tradizionali logiche clientelari, ma abbia quei tratti che io ho delineato, come lei giustamente sottolinea, nel libro «Arte e Finanza», uscito nel 2012, in cui ho raccolto tutte le riflessioni sul tema della cultura come motore dello sviluppo economico, elaborate nel corso degli anni. «Arte e Finanza» partiva dal presupposto che, per poter guidare un’azienda culturale, occorre avere lo stesso livello di conoscenza manageriale richiesto per condurre una qualsiasi altra impresa. Il volume è un contributo destinato a chi deve confrontarsi con la gestione di un’impresa culturale, per cui vengono affrontate questioni come l’elaborazione di un budget, la cura del bilancio e della contabilità, la ricerca di fonti di finanziamento, l’utilizzo di strumenti finanziari, il ricorso a prodotti assicurativi, le dinamiche del mercato internazionale dell’arte. Si tratta di argomenti che, purtroppo, non sono mai stati considerati rilevanti, e che, invece, se padroneggiati con cura, consentirebbero all’Italia di tutelare e valorizzare al meglio il proprio straordinario patrimonio artistico-culturale. Il libro riserva un’attenzione particolare al sistema fiscale, perché gli incentivi a favore dei privati permettono di valorizzare il patrimonio, incrementando i risultati economici che derivano dalla cultura. Ecco perché l’Art Bonus va nella giusta direzione. Molti invocano, in base alla norma contenuta nella Legge Bottai del 1939, il valore della tutela di un bene culturale. Concetto importante, è vero, quando non fa rima con conservatorismo ed immobilismo. La parola chiave, però, deve essere “valorizzazione”, ossia creazione di valore, tanto culturale quanto economico, dal patrimonio posseduto.
Giovani, Startup, Industrie Culturali, Comunicazione. Solo categorie separate oppure ci può essere correlazione e diventare i punti cardine di un progetto con una prospettiva immediata e non solo di lungo e medio termine?
Prima ho parlato di management dei beni culturali: oggi l’essere un buon manager è una condizione decisiva per assicurare il successo di un’attività culturale, che non può dipendere unicamente dalla qualità del messaggio. In questo contesto, anche l’ambito della comunicazione diventa essenziale. Al tempo stesso, la formazione dei giovani ricopre, anch’essa, un ruolo fondamentale. La Fondazione Roma è molto attiva in questo campo. Tra le varie iniziative, mi piace ricordare il Master in Management delle Risorse Artistiche e Culturali (MaRAC) realizzato in collaborazione con l’Università IULM, perché riassume i concetti che ho espresso sinora. L’obiettivo, infatti, è quello di creare professionisti qualificati nell’ambito della gestione delle risorse artistiche e culturali, figure manageriali in grado di collegare il mondo dell’impresa con quello della cultura e dell’arte. Dalla legislazione dei beni culturali al project management degli eventi artistici e culturali, dalle strategie di marketing a quelle di comunicazione, dal fundraising all’organizzazione delle risorse umane, dall’analisi della fattibilità economica alle relazioni tra strumenti finanziari e finalità culturali, il Master fornisce le competenze necessarie a lavorare in qualunque settore legato alla gestione delle risorse artistiche e culturali. Formazione, comunicazione, imprenditoria giovanile, industria culturale: tutti questi elementi sono correlati.
Alla luce del ruolo e dell’impegno della Fondazione Roma nell’ambito dei beni e del patrimonio culturale, quale ritiene sia la via corretta nel rapporto tra pubblico e privato?
Oggi il vero grande problema del rapporto pubblico-privato è la pesante macchina del Ministero e delle Soprintendenze, su cui è necessario intervenire con ferma determinazione, ben al di là di quanto viene oggi promesso dal ministro. La mia esperienza nel settore mi porta a concludere che il binomio pubblico/privato non funziona. Anche quando questa sinergia si realizza, è frutto di compromessi piuttosto complessi, che per loro natura finiscono per annullare i potenziali vantaggi di questa formula. Al contrario, la sinergia tra privato e privato, ovviamente anche non profit, si rivela molto più efficace, sia per la celerità delle intese sia per la convergenza delle posizioni, che non partono dal presupposto, così caro alla burocrazia pubblica, di una supremazia degli interessi statali su quelli degli altri soggetti. A mio parere, la forma corretta del rapporto tra pubblico e privato dovrebbe essere questa: lo Stato si concentra sul fronte della tutela e sull’attività di regolazione e di controllo, mentre i privati erogano i servizi e gestiscono gli spazi museali, i monumenti, le aree archeologiche, il tutto nella massima trasparenza. Occorre far operare chi effettivamente è in grado di assolvere al meglio questo compito. Per ottenere tutto questo bisogna introdurre nell’articolo 118 della Costituzione, quello che parla di sussidiarietà, orizzontale e verticale, una norma sanzionatoria nei confronti delle autorità pubbliche che utilizzano il loro potere per impedire al privato di agire a favore della collettività. Non siamo più nell’era pre-Rivoluzione francese, non è possibile che ci siano soggetti preposti all’amministrazione della cosa pubblica che si trincerano dietro il “silenzio-rifiuto”, impedendo ai privati di gestire quei progetti che lo Stato non può realizzare, e non pagano le conseguenza del loro immotivato operare.
(*) Delegato Ferpi Cultura

Emmanuele Emanuele
Emmanuele Francesco Maria Emanuele vive e lavora a Roma. Professore presso alcune delle più prestigiose università italiane ed europee, è anche avvocato cassazionista, economista, banchiere, esperto di materie finanziarie, tributarie e assicurative; editorialista, saggista, autore di pubblicazioni scientifiche in materia di finanza e di diritto; presidente e amministratore di imprese nazionali ed internazionali, nel campo delle costruzioni, chimico, meccanico e finanziario. In campo artistico e culturale è stato insignito del Dottorato Honoris Causa in Belle Arti dalla St. John’s University di Roma e della Laurea Honoris Causa in Humane Letters dall’American University of Rome. Ha rivestito nell’ultimo periodo le cariche di Presidente della Azienda Speciale Palaexpo e Consigliere di Amministrazione della Fondazione Biennale di Venezia; è attualmente Presidente della Fondazione Roma e della Fondazione Roma – Mediterraneo e Presidente Onorario dell’Orchestra Sinfonica di Roma.
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