Corporate blogging.
08/01/2008
Press, marketing, ceo, product... sono tante e diverse le forme che può assumere un blog aziendale. Ce li descrive Nicola Mattina, uno dei maggiori esperti italiani di social media.
di Nicola Mattina
Quali sono gli approcci possibili al corporate blogging? Penso che si possa delineare una progressione che parte dall'atteggiamento difensivo fino ad arrivare al coinvolgimento degli utenti nel processo di disegno ed evoluzione di un prodotto/servizio.
0. Fake blog
Quello del blog fasullo è l'approccio dei relatori pubblici inetti e incompetenti. L'idea luminosa sarebbe quella di simulare un cliente entusiasta che ha deciso di scrivere meraviglie dell'azienda. Peccato che in Internet, le bugie abbiamo le gambe corte, come ha mostrato Wal-marting across America, un blog fasullo inventato da Edelman per Wal-Mart e smascherato nel giro di qualche settimana.
1. Commenti
Alcune aziende fanno monitoraggio delle conversazioni online ed intervengono per rettificare informazioni errate. Una di queste, per esempio, è Vodafone, il cui ufficio stampa interviene in modo trasparente in newsgroup, forum e con commenti ai blog. In questo stadio, si ascolta e si agisce soprattutto per evitare il formarsi di catene di sant'Antonio.
2. Press blog
Con Press blog intendo la trasformazione dell'area ufficio stampa di un sito web in un vero e proprio blog, con commenti, feed Rss e widget. In un mondo dominato ancora dalle aree riservate ai giornalisti accessibili con password e dai comunicati stampa in formato pdf, non sono molti gli esempi che si possono citare: in Italia c'è l'area news di Samsung Italia. In questa categoria, inoltre, possiamo annoverare gli esperimenti di Edelmann, che ha rivisto la formula del comunicato stampa introducendo il social media news release.
3. Marketing blog
Il marketing blog è un blog gestito da professionisti della comunicazione, che serve a sostenere il lancio di un prodotto o di un servizio. Un buon esempio italiano è rappresentato da Quellichebravo, che viene scritto a quattro mani da due product manager di Fiat e da due consulenti (uno dei due è Marco Massarotto). E' un passo avanti rispetto al press blog, perché c'è il coinvolgimento di persone che normalmente non vengono esposte al contatto con i clienti: costoro vengono aiutati da professionisti che si occupano essenzialmente degli aspetti relazioni del blog.
4. Ceo blog
Poiché la pratica del blogging suggerisce che sia una persona ad apparire come autore perché la blogosfera è una conversazione tra individui, occorre individuare un portavoce aziendale che ci "metta la faccia". La prima scelta è ovviamente l'amministratore delegato o il presidente, giacché egli svolge già il ruolo di rappresentante aziendale ed è l'unico che può assumersi la responsabilità di quello che dice a nome di tutta l'azienda. Ovviamente occorre avere un capo presentabile e disponibile come Jonhatan Swartz di Sun, cosa non troppo frequente. Il Ceo blogging ha un difetto perché i vertici delle grandi aziende cambiano con una certa frequenza. E' accaduto, per esempio, in Ducati, anche se il nuovo amministratore delegato (Gabriele del Torchio) ha raccolto l'eredità lasciatagli da Federico Minoli trasformando Desmoblog in un brand blog.
5. Testimonial blog
Il testimonial blog si muove sulla falsa riga del Ceo blog: una persona mette la propria faccia per perorare la causa aziendale. In Italia mi viene in mente Antonio Tombolini che ha attivamente bloggato a favore di San Lorenzo conquistandole le simpatie della blogosfera. Antonio ha iniziato inviando pacchi di prova ai blogger e ha proseguito spedendo aiuti alimentari per sfamare i partecipanti ai barcamp. Poi ha creato un vero e proprio social network su Ning e ha organizzato l'iniziativa "Il vino lo portiamo noi". Alla fine, però, l'idillio si è interrotto: San Lorenzo, infatti, è risultata particolarmente antipatica quando è diventato di pubblico dominio il suo atteggiamento nei confronti degli operatori del call center. A questo punto, Antonio ha di fatto sospeso la sua attività di proselitismo verso i blogger, coerentemente con l'approccio dell'azienda che ha adottato la tattica del silenzio. Da quello che leggo, rimane in piedi solo l'iniziativa "Il vino lo portiamo noi".Un altro esempio interessante riguarda il network di blog di Telethon: anche in questo caso, non si tratta di persone che lavorano direttamente per l'organizzazione. Molti di loro, infatti, sono ricercatori che beneficiano dei fondi e rappresentanti delle associazioni dei malati. Costoro ricevono dei contributi da Telethon e testimoniano il loro supporto all'associazione anche così.
6. Brand/Product blog
Alcune aziende decidono di avere un blog collegato al proprio marchio o a uno specifico prodotto, ospitando i contributi dei propri dipendenti. In funzione dell'ampiezza dell'argomento potremo parlare quindi di brand o di product blog. Tra gli esempi internazionali, possiamo citare il blog ufficiale di Google, in cui i diretti responsabili trattano solo temi importanti per l'azienda: per esempio, è abbastanza frequente che vi siano annunciate le acquisizione e che l'annuncio sia dato direttamente dal management dell'azienda acquisita. Per l'Italia, potrei citare The Duck Side, il blog della Mandarina Duck, che si presenta come una vera e propria conversazione attorno all'azienda. Il tutto è così naturale e ben fatto, che una delle autrici principali del blog è la signora Valeria, l'assistente alla presidenza e alla direzione generale e le biografie dei blogger non sono curricula, ma candide auto-biografie.
I product blog sono invece molto focalizzati su uno specifico prodotto (o linea di prodotti) e sul team che lo sviluppa. Oracle, per esempio, ne ha un buon numero, come quello del gruppo che si occupa della sicurezza. La stesso cosa in Microsoft, dove per esempio è possibile leggere quello del team che sviluppa Internet Explorer. E così di seguito. Questi blog rendono conto dell'attività, forniscono informazioni e suggerimenti, annunciano le nuove release e raccolgono feedback. Nel mondo del software, in particolare, servono per tenersi in contatto con le comunità di sviluppatori.
7. Internal blog
I blog interni all'azienda possono avere molti scopi diversi: per esempio, possono essere usati da gruppi di lavoro come diario per la gestione dei progetti, oppure da individui per rendere più comprensibile agli altri la propria identità personale e professionale. Un'azienda che permette ai propri dipendenti di avere un blog individuale riconosce implicitamente che un'organizzazione è fatta innanzitutto di persone. Non è un passaggio scontato: l'individualità e il merito personale non sono sempre valori che vengono coltivati, anzi. In molte grandi aziende, soprattutto quelle che hanno una cultura verticistica oppure che operano in mercati fortemente regolamentati e poco dinamici, può essere molto più importante l'appartenenza a una cordata che non la capacità di fare. In questi contesti, essere riconoscibili e rendere palese il fatto di essere dei leader informali (coloro a cui gli altri si rivolgono quando hanno dei problemi) può risultare controproducente. Come si dice: vola basso e schiva il sasso!
Invece, le organizzazioni che fanno della valorizzazione delle competenze e della condivisione della conoscenza un fattore cruciale per sopravvivere in un mercato fortemente competitivo, non dovrebbero avere particolari turbe a permettere ai propri dipendenti di aprire dei blog interni sia individuali che di gruppo.
A mio modo di vedere, infine, l'internal blogging dovrebbe essere propedeutico all'employee blog: lo si può infatti considerare una palestra di conversazione, utile a far familiarizzare le persone con lo scambio informale di opinioni. Certo, all'interno dell'azienda è difficile che si creino dei conflitti o che vi siano fenomeni di trolling; ciò non di meno questo rimane un prezioso allenamento in vista di essere catapultati nel mondo vero, quello in cui c'è anche gente che non ama le cose che fai e non si fa problemi a dirtelo.
8. Employee blog
Uno dei totem della comunicazione d'impresa è il cosiddetto one company one voice: l'azienda ha una sola voce e si presenta al mondo come un monolite. Purtroppo, questo approccio sembra essere assai poco perseguibile quando si ha a che fare con i media sociali. Questi ultimi, infatti, sono basati su una struttura reticolare: una ragnatela che connette un numero assai vasto di nodi che hanno una propria personalità. In questo contesto, la comunicazione non può che essere individuale, perché ciascun nodo con cui l'azienda si connette è diverso da tutti gli altri.
L'aspirazione a comunicare con una sola voce diventa di fatto impraticabile, se non addirittura controproducente. Nel mondo dei media sociali, chi si occupa di comunicazione non può far finta che i suoi interlocutori siano tutti uguali e inevitabilmente non può gestire le relazioni con ognuno di essi. Ammettere che i propri impiegati abbiano un blog di fatto significa ampliare lo spettro di competenze dei relatori pubblici. Essi non possono più governare le relazioni per conto di altri, ma devono fare in modo che i nodi interni all'organizzazione si connettano in prima persona alla propria rete di stakeholder fornendo loro gli strumenti e le conoscenze per gestire tali relazioni. Come dire: non più giocatori, ma allenatori.
Tuttavia, il vantaggio di avere una rete di persone che mostra il proprio attaccamento all'azienda e la propria passione ripaga del rischio che alcuni blogger possano andare sopra le righe. Basta pensare a Robert Scoble.
9. Product management blog
Il product managemet blog rappresenta probabilmente l'uso più sofisticato e aperto di corporate blogging: si tratta di coinvolgere gli utenti nel processo di costruzione del prodotto o del servizio. Anche in questo caso non è affatto un passaggio banale: il problema principale è probabilmente rappresentato dalla tutela della proprietà intellettuale. Abbiamo due estremi: da un lato, per esempio, Apple che risponde alle lettere di suggerimento con una diffida per paura che qualcuno possa avanzare delle pretese dall'azienda. Dall'altro le start-up come PassPack che usano i propri blog per sopperire alla cronica mancanza di denaro da allocare in ricerca e sviluppo.In questo contesto, i product management blog dovrebbero avere un approccio open source: ha senso condividere tutto quello che non rappresenta elemento distintivo brevettabile, mentre è conveniente condividere e rendere aperto tutto quello che può essere replicato senza danno per l'azienda.
tratto dal blog di Nicola Mattina